Il burrascoso periodo durazzesco (1381-1442)

2a parte

UN BALDANZOSO GIOVANE RE POSE L'ASSEDIO ALLA ROCCAFORTE DI PALENA

Ladislao, divenuto re di Napoli per aver raggiunta la maggiore età, trovò le casse dello Stato vuote, e non avendo mezzi per continuare la guerra contro il d'Angiò, sposò, per interesse, la bella Costanza di Chiaramonte, ricchissima siciliana, e col danaro di questa principessa sostenne la guerra. Esaurito il danaro, nel 1412 divorziò dalla bella siciliana per sposare un'altra ricca: la sorella del re di Cipro. Rimpinguato l'erario, mosse baldanzoso alla volta dell'Abruzzo per abbattere il suo rivale, Luigi II. All'angioino dava man forte anche Romandaccio Caldora, Conte di Palena. Nel 1393 le sorti della guerra volsero completamente a favore di re Ladislao, il quale pose l'assedio alla città dell'Aquila, dove sventolava ancora la bandiera francese e alla cui difesa erano schierate le milizie di Romondaccio Caldora. Dopo aver opposto una dura resistenza, il Caldora, con sorprendente abiiltà, riusci a rompere la stretta morsa abbandonando precipitosamente la città.

A tappe forzate, incalzato dalle forze del baldanzoso vincitore, dopo aver attraversato le giogaie dell'Appennino abruzzese, a lui molto note, si rifugiò con le sue milizie nella roccaforte di Palena, sicuro di non esservi snidato. Ladislao dispose uno stretto assedio intorno alla roccaforte, ma i reiterati tentativi di espugnazione fallirono tutti per il gagliardo valore opposto dagli assediati, favoriti, fra l'altro, dall'inaccessibilità della roccia. Dopo dieci giorni di inutile lotta, il giovane baldanzoso re, con amara delusione dove alfine desistere e togliere l'assedio. Attraverso il Molise fece ritorno a. Gaeta dove risiedeva con la madre, la regina Margherita, carico di danaro, parte avuto in dono e parte estorto con taglie. Queste dure lotte lasciarono il Regno di Napoli lacerato, diviso e impoverito da distruzioni e saccheggi che desolarono principalmente l'Abruzzo, mentre tante famiglie nobili furono distrutte per aver parteggiato per il re Luigi d'Angiò.

LA REGINA GIOVANNA II D'ANGIO'

Scomparso dalla scena questo giovane re, che aveva per ben tre volte occupato Roma, tenendo in soggezione il papato, (il suo corpo fu tumulato nella chiesa di San Giovanni a Carbonara, presso, Porta Capuana (Napoli) dove gli fu eretto un grandioso mausoleo marmoreo che si ammira ancora oggi nella città partenopea, ascese al trono di Napoli la sorella Giovanna che regnò col titolo di Giovanna II. Altra disgrazia, non minore della prima, toccò al Regno per l'ascesa al tronodi quest'altra infelice regina nota anch'essa per la sua sfrenata dissolutezza come la precedente. E la lotta civile si riaccese ancora fra i sostenitori di Luigi III d'Angiò e la regina Giovanna, la quale, non avendo avuto prole, designò a succederle al trono Alfonso d'Aragona. Ma subito dopo si ravvide dell'errore commesso per l'invadenza di questo giovane principe, revocando l'adozione e proclamando a succederle lo stesso Luigi III d'Angiò! Ciò diede l'avvio al riacutizzarsi della lotta fratricida che sconvolse ulteriormente il tormentato Regno tanto desideroso di pace.

Gli eserciti contrapposti corsero ancora le nostre tormentate alture, abruzzesi, dando luogo a scontri violenti ed inseguimenti rapidi, specialmente per il possesso dei principali passi montani, come quelli di Forca Palena e di Coccia, spesso teatro di cruenti fatti d'arme. La lotta investi la munita roccaforte di Pacentro e Campo di Giove difese da Giacomo Caldora, partigiano del re Angioino, contro le soverchianti milizie di Braccio da Montone, al servizio di Alfonso d'Aragona. Dopo aver espugnata la roccaforte di Pacentro, Braccio si diresse su Campo, di Giove che occupò, dandola alle fiamme. Subito dopo si gettò all'inseguimento dei Caldoreschi lungo l'altipiano del Quarto di Santa Chiara, ricacciandoli oltre Castel di Sangro.

 

I TERRAZZANI DELLE " VILLE " DI PALENA ABBANDONANO LE LORO ABITAZIONI

Un quadro veramente triste e desolante dove essere l'esodo dei terrorizzati abitanti delle undici Ville di Palena, in preda alla disperazione per l'avversa sorte loro toccata. Con alla testa il loro parroco abbandonarono per sempre le povere abitazioni, portando con sé le poche e misere suppellettili, menando avanti le greggi ed altri animali domestici, sui quali avevano caricato derrate e masserizie. Scendevano sgomenti verso Palena unica loro salvezza che, come madre premurosa, li accolse nel suo grembo. Intorno alla roccaforte stabilirono il proprio domicilio ed incorporarono i propri terreni con quello di Palena, di cui, in quel tempo, era possessore e padrone il Conte Giovanni di Manoppello, uomo sagace e benevolo. Per comune consenso venne a formarsi una sola grande famiglia, come un sol corpo.

Siccome poi neanche le chiese di Forca Palena e quelle delle altre dieci Ville sparse nel vasto agro palenese furono risparmiate dai successivi saccheggi ed invasioni nemiche, rimanendo, dette Ville dilapidate e spoglie di popolo, che intanto si era ricoverato in Palena, ciò stante, l'ottimo Conte di Manoppello avanzò premurosa supplica al Vescovo Diocesano di Sulmona, affinché le dette chiese, unitamente ai loro beni, e rispettivi parroci, fossero aggregate ed incorporate alla chiesa principale di Sant'Antonino Martire di Palena. Raccolte benignamente le calde e sagge premure del Conte, il Vescovo di Sulmona Bartolomeo De Scalis ordinò con Bolla emanata il 27 novembre 1373, che la chiesa di Palena dovesse rimanere per sempre chiesa ricettizia, e che i preti e parroci delle suddette Ville fossero addetti al servizio della Chiesa Matrice di Sant'Antonino, e fossero considerait come tanti concurati per l'amministrazione del culto.