Il Castel Forte di Palena

 

Maestoso, superbo, solitario si erge sull'erta roccia che si staglia nel cielo lo storico CASTELLO DUCALE di Palena, come stanco titano che vive di ricordi. Più volte è stato restaurato a causa della vetustà, di vicende belliche e violenti terremoti. Ma la mano riparatrice dell'uomo lo ha mutilato in più parti: ha perduto così la sua originale caratteristica, costituita dal sontuoso palazzo feudale, da una o più cinte merlate, con torrioni e dal "maschio". Lo stesso panoramico belvedere, demolito dopo il terremoto del 1933, e non ricostruito per non creare pericolo alle sottostanti abitazioni, scomparve del tutto nell'utimo conflitto. Resta soltanto la caratteristica " loggia " che si affaccia ardita sopra la roccia a strapiombo. Recentemente il bel giardino pensile è stato trasformato in terrazzo con pavimentazione a cemento ... !

Questa superba roccaforte, denominata prima il CASTEL FORTE di Palena fu avidamente contesa da potenti feudatari per la sua particolare posizione dominante, specialmente durante le turbinose vicende del sec. XIV con la successione del Regno di Napoli. Intorno alle sue mura s'infransero i reiterati violenti assalti delle milizie del giovane re Ladislao di Durazzo-d'Angiò quando nell'anno 1393, dopo aver scovato ROMONDACCIO CALDORA dal Castello dell'Aquila, dove sventolava ancora la bandiera francese di Luigi II d'Angiò, lo assali nel Castello di Palena dove il Caldora si era rifugiato. Ma l'ambizioso re, dopo uno stretto assedio durato dieci giorni non riuscì ad espugnarlo e per il valore opposto dagli assediati e per l'inaccessibilità della roccia.

L'ultima cruenta lotta intorno a questa munita roccaforte si ebbe nell'estate del 1464 con l'assedio posto dalle milizie di re Ferrante d'Aragona, per snidar-vi il ribelle Antonio Caldora. Intorno a questo storico maniero dell'antico Abruzzo Citeriore, cupe notizie si diffondevano a terrorizzare gli animi dei servi della gleba, che finivano per riconoscervi il luogo proibito, ammonisce, dove, spesso, nelle tetre prigioni tuttora esistenti si torturavano esseri umani e si commettevano nefandezze inopinabili, mentre nelle sale sfavillanti di luci, le dame e i cavalieri trascorrevano liete ore in sfarzosi ricevimenti. Ancora oggi, nei due angusti sotterranei ove venivano rinchiusi ì rei, si nota sul pavimento il telaio del triste, " trabocchetto " che inghiottiva i condannati i quali venivano fatti precipitare dall'erta roccia a strapiombo, e finivano sfracellati da un'altezza di oltre 40 metri. Oltre ad offrire ottima sicurezza di dominio, il Castello era il centro residenziale della Contea omonima l'antico PALATIUM IN DOMO, cioè terra dominicana, terra di demanio (o del padrone-signore), in quanto zona altamente strategica allo sbocco del Valico di Coccia.

Si apprende che nel Medioevo il feudo era costituito da uno o più castelli, da " Ville ", da vari " mansi " (cioè masserie) sparse qua e là. Allorquando, fu accresciuta la proprietà del feudatario, si crearono più corti baronali nell'ambito della stessa proprietà, che dipendevano dalla principale, cioè dal PALATIUM, e in questo modo il demanio dello Stato, pur sotto il dominio accentratore della monarchia, finì per essere ridotta a vantaggio dei baroni. La crescente potenza baronale fu inopportuna e ostile al sovrano. I tentativi della corona per porre loro un freno rimasero pressoché sterili davanti alla nobiltà prepotente. Durante alcuni recenti sgomberi di macerie eseguiti nella parte che dà a levante, al di sotto dei suoi muri, è stata rinvenuta una grossa pietra sulla quale è incisa in rilievo la parola DIA, sormontata da due espressioni ideografiche: in alto, a sinistra, la testa di un bimbo alato con una lacrima in un occhio, che potrebbe identificarsi col sole fecondatore; a destra, uno squadro capovolto, a significare l'ordine della natura. DIA certamente non è altro che la dea CERERE, divinità frigia, la quale raccolse tutti gli attributi della dea OPI che rappresentò la natura vegetale, e che fu detta madre e nutrice delle messi e dell'agricoltura.

Dal mito di CERE ebbe origine presso i Romani il culto di Persefone o di Proserpina. A lei, come a Proserpina, davano il nome di DIA, e con l'attributo LIBERA era ritenuta anche come la protettrice degli schiavi e la fautrice della loro liberazione. 1 Questo singolare reperto ci induce ad opinare con fondatezza che trattasi di un frammento di un tempietto dedicato alla dea benefattrice, posto sull'area che verso il secolo decimo venne occupata dal castello. Nell'alto medioevo, durante la furia devastatrice delle valanghe barbariche, quando non era più possibile fare appello al diritto, sepolto sotto le rovine dell'Impero, ma occorreva per sopravvivere opporre la forza alla forza, si sentì l'urgente necessità di trincerarsi sempre più su località elevate. Sorsero così i castelli medioevali che si moltiplicarono specialmente nel periodo dell'invasione normanna. Si può supporre che fin da quell'epoca, od anche prima risalga la costruzione del Castello di Palena. Le cronache ci riferiscono che intorno all'anno Mille era signoreggiato da un Matteo di Letto; successivamente passò ai discendenti dei Conti di Valda di " natione francorum ", cioè i conti Borrelli; i Mallerius, i Conti di Sangro che ne abbellirono e ne curarono la struttura originale. Durante il periodo Svevo, il Castello di Palena era signoreggiato dal Conte Tommaso di Caprofico, ghibellino, che sebbene fosse stato un ardente sostenitore di Federico II, prendendo parte a tante battaglie, tuttavia era un fervente religioso. Si vuole che fra le mura del suo Castello abbia ospitato il Poverello di Assisi.

Dopo la signoria di Bonifacio di Galiberto, il Castello di Palena fu donato da re Carlo 1 d'Angiò al suo fedele e prode Cavaliere Trovatore: SORDELLO DI GOITO, che aveva seguito il "vecchio Alardo" nella guerra contro il re Manfredi per la conquista del Regno di Napoli, nel febbraio del 1266. Nel diploma di tale investitura si legge: " ... SORDELLO DE GODDO, MILITI, CONCESSIO CASTRI PALENE IN APRUZZO XXX - VI - MCCLXIX "