Don Demetrio Magrini

(1869-1942)

 

 

Il 20 maggio 1903 l'Arcivescovo di Bari monsignor Giulio Vaccaro elevò la chiesa di San Michele Arcangelo al rango di parrocchia e nominò parroco il sacerdote barese Demetrio Magrini che già vi risiedeva dal 17 gennaio 1902 in qualità di vicario-curato essendo succeduto a don Francesco Scelsi. Don Demetrio ricoprì l'incarico di parroco per quasi un quarantennio (sino a 1942) lasciando una traccia indelebile nella storia palesina, tanto che alla sua memoria sono dedicati la piazzetta antistante la chiesa e il salone parrocchiale. Fu parroco benemerito, uomo sobrio e colto (lo si ricorda quale autore di un "Discorso pronunziato dal Parroco dott. Magrini nell'occasione di un solenne funerale a pro dei soldati caduti per la Patria nella parrocchia di Palese ed a cura del Comitato di Assistenza Civile", edito da Laterza nel 1916), di grande sensibilità, ma anche dal sorriso arguto.

V.R.


Chi scrive lo ha sempre visto e pensato come il prete buono, cui piaceva perdonare non solo né tanto perché quella era la sua missione, ma perché lì lo portavano l'animo, l'educazione, il carattere.
Succeduto nel governo della Chiesa palesina a don Coletto Maiorano, del quale si diceva che talvolta si pulisse il grosso sedere con... i soldi, vissuto in tempi in cui il rancore e la rabbia littoria limitavano l'influenza ecclesiastica nella borghesia delle grandi città e tra il volgo di piccole borgate, don Demetrio seppe ben adeguarsi alla violenza del momento, senza urtare la scontrosa suscettibilità dei gerarchi locali, con i quali mantenne amichevoli e onesti rapporti. Erano tempi in cui l'Azione Cattolica veniva sottoposta a pressione di vario genere, con manovre oscure, raramente scoperte; il nostro parroco, che aveva costituito folti e vivaci circoli giovanili, evitò scontri pericolosi, esortando alla prudenza, alla calma, alla comprensione.
Adempì al suo ufficio con scrupolo e rettitudine, con gioia intima e soddisfatta, sorridendo sempre. Non di rado amava distrarsi in chiassose partite a carte, cui partecipava un'allegra brigata di uomini importanti: al centro c'era l'altro prete di Palese, don Minguccio, più giovane di don Demetrio, più imponente, più rubicondo; assieme formavano un binomio caratteristico e inscindibile.
Sedevano all'imbrunire, d'estate, davanti all'ex Parco della Rimembranza: don Demetrio pizzicava il tabacco della sua tabacchiera, accompagnando il tutto con generose soffiate di naso; don Minguccio sbuffava robusto dal suo inseparabile toscano, che fumava felicemente tutto beato e perduto in mezzo ad una nuvolaglia azzurrognola.
Vitino De Stefano, giovane di acuta intelligenza, chi scrive e qualche altro tenevano loro compagnia: si discuteva, si programmava, si sbirciava titoli di giornali; De Stefano fischiettava e Ciccio Sivo sorrideva tra l'ammiccare birichino di Nicola Minervino. La sera, ogni tanto in settimana, la domenica sempre, anche di mattina dopo le messe, da don Demetrio c'era il " mauser ", il gioco allora di moda in cui si mandava " in bestia " l'avversario che capitava. Noi eravamo giovincelli e non si era agevolmente ammessi in quella i specie di sacrario, ove troneggiava in uno stanzone, un grosso tavolo con un gentile piattino al centro, ma si capitava così ogni tanto lì, alla girata di via Macchie, nella casa parrocchiale, tra dolcetti e ciambelle e taralli che erano sempre pronti per la delizia dei piccoli e dei grandi.
Ci si accostava timidamente al gran tavolo e ci si beava di assistere e dire, di frasi scultoree e di piatti ricolmi di soldi e soldini, mentre don Minguccio ripeteva e gridava: "Asso e re, non aver pietà ". Don Demetrio sorrideva.

Francesco Maiorano

(Tratto dal periodico L'Erta n. 2/3 Aprile-Maggio 1980)