FASCISMO
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Storia dal Fascismo alla crisi del '29.

    Le basi della disastrosa dittatura fascista in Italia vennero edificate il 23 Marzo 1919, quando Benito Mussolini, spalleggiato da un gruppo di ex combattenti, futuristi, anarcosindacalisti e repubblicani, fondò a Milano i Fasci Italiani di Combattimento, movimento politico che solo nominalmente perseguiva il rinnovamento sociale. I presupposti per la diffusione del fascismo nacquero fondamentalmente dalla confusione ideologica e dalla crisi economica che si era abbattuta in Italia dopo la prima guerra mondiale. Molto elevato era il numero dei disoccupati e i salari erano spesso inadeguati al costo della vita, tanto che moltissime famiglie erano costrette ai limiti della sopravvivenza. Alla disperazione per le durissime condizioni di vita si unì la delusione per la mancata attuazione delle riforme; il tutto sfociò in una serie di proteste ed agitazioni in una vasta ondata di scioperi in tutto il paese. Gli operai, specialmente quelli del triangolo industriale (Genova, Milano, Torino), erano più compatti sotto l’influsso del partito socialista, avanzavano rivendicazioni di carattere non solo economico ma anche politico.

    Le classi medie avevano in comune con le masse popolari il risentimento nei confronti della grande borghesia, in particolare verso quelle categorie che avevano realizzato enormi profitti e che venivano definite <<Pescecani di guerra>>. A simili problemi economici si aggiungeva il malcontento dovuto al comportamento scorretto degli Alleati, colpevoli di non aver onorato le solenni promesse sottoscritte a Londra ( le alleanze). Durante le trattative della pace di Versailles, il governo italiano, rappresentato dal Presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando e dal Ministro degli Esteri Sidney Sonnino, chiese l’annessione della Dalmazia e della città di Fiume. Le pretese italiane incontrarono la netta opposizione dei rappresentanti dei vari stati e ciò stroncò la nostra ripresa nel dopoguerra. Studenti, piccoli borghesi ed ex combattenti non erano disposti a tollerare la situazione di abbandono in cui era precipitata l’Italia e insistevano perché si delineassero i presupposti ad un rinnovamento politico, sociale e radicale, tale da far diventare il paese sufficientemente solido, sia economicamente che istituzionalmente.

    Inizialmente, gli esponenti politici dei <<Fasci di Combattimento>> predicavano idee anticlericali, antimonarchiche, antiborghesi e perfino antisocialiste. In breve, i Fasci divennero il partito degli scontenti, sempre più numerosi , che vi aderirono in massa. Nel 1921, il nome troppo aggressivo, <<Fasci di Combattimento>>, mutò in Partito Nazionale Fascista, il cui <<Uomo Faro>> divenne il fondatore stesso, cioè Benito Mussolini. Questo, passato da neutralismo all’interventismo e per ciò espulso dal partito socialista e costretti a dimettersi dalla direzione dell’<<Avanti!>.

    Gli obbiettivi dei fasci erano la repubblica, il suffragio universale maschile e femminile, l’abolizione dal servizio militare obbligatorio, ampie libertà politiche e civili, misure contro gli affaristi di guerra, maggiore giustizia fiscale, migliori condizioni per i lavoratori, assegnazione a cooperative contadine delle terre non coltivate dai proprietari. Il fascismo era suddiviso in due movimenti, quello urbano e quello rurale, che perseguivano fini ideologicamente identici, ma contrapponendosi a realtà molto diverse, nelle città il fascismo rappresentava uno strumento di riscatto per il ceto medio, nelle campagne esso però come braccio armato della proprietà agraria contro il movimento contadino. Nel momento in cui al fascismo urbano si unì quello rurale nacque lo squadrismo, movimento che aveva fatto sin dall’inizio ricorso sistematico alla violenza. Le squadre fasciste organizzarono spedizioni punitive a ritmo frenetico contro organizzazioni e le istituzioni democratiche (associazioni operaie e contadine, giornali socialisti e popolari, cooperative, partito socialista, partito comunista , partito popolare, amministrazioni comunali) le cui sedi venivano devastate o incendiate, sia singoli individui (uomini politici, sindacalisti, giornalisti, operai e contadini in sciopero), che furono sottoposti ad aggressioni, bastonati con il manganello, costretti a bere olio di ricino. Abusi indescrivibili contro i quali lo Stato non muoveva dito, terrorizzato da una possibile affermazione elettorale di nuove forze democratiche.

    L’ascesa del fascismo fu resa possibile anche dall’atteggiamento assunto dalle varie forze politiche, il partito socialista a causa dei contrasti insanabili si scisse in due parti; la parte riformista fedele al Komintern si separò dalla parte massimalista formando il comunismo. Socialisti e comunisti, in oltre, consideravano il fascismo un fenomeno passeggero. Anche il partito popolare era indebolito dalle divisioni: la corrente più democratica condannava la violenza fascista, mentre quella più conservatrice e lo stesso Vaticano assunsero un atteggiamento prima di neutralità e poi di simpatia. La classe dirigente liberale vedeva nel fascismo uno strumento per ridimensionare le forze di sinistra.

    Di colpo la forza dei fascisti era divenuta enorme, anche se non ancora inarrestabile. Però lo divenne non appena il vecchio Giolitti, ottantenne capo del governo, li invitò a partecipare alle elezioni politiche del maggio 1921, inserendoli nelle liste del Blocco Nazionale, insieme ai nazionalisti e ai liberali. Giolitti aveva pensato che entrando nel governo, i fascisti si sarebbero fatti incorporare dal sistema liberale, smaltendo la loro carica di violenza e rendendosi utili nella lotta contro l’evoluzione delle sinistre.

    Le elezioni si svolsero il 15 maggio 1921, i socialisti calarono da 156 a 123 seggi, i comunisti ne ottennero 15, i popolari salirono da 101 a 108, ad altre liste non fasciste andarono 19 seggi, mentre il blocco nazionale ebbe 265 deputati compresi 35 fascisti tra cui Mussolini e 10 nazionalisti. La manovra giolittiana era fallita. Avvenne di fatto l’istituzionalizzazione del terrorismo, e da allora lo squadrismo fascista imperversò nel paese con una violenza ancora maggiore.

    Nel 1922 il potere fascista divenne ancora più forte con l’organizzazione della milizia nazionale, un vero e proprio esercito che avrebbe condotto Mussolini alla conquista del potere assoluto. Tutta l’Italia venne messa in ginocchio dalla violenza fascista, le sinistre reagirono con un innocuo sciopero generale che portò gli industriali milanesi ad appoggiare i fascisti, i quali si offrirono con l’intento di far fallire l’iniziativa socialista. La milizia fascista colpì perfino il municipio da cui vennero espulsi con la forza tutti gli uomini di sinistra, la sede dell’<<Avanti!>> a Milano venne completamente distrutta, disponeva ormai di una forza che gli consentiva di sostituirsi con efficacia all’autorità dello Stato.

    Mussolini pensò allora che fosse giunto il momento di stringere i tempi: il 24 ottobre in occasione di una adunata di decine di migliaia di squadristi a Napoli, affermo: <<O ci daranno il governo o lo prenderemo calando su Roma: ormai si tratta di giorni o forse ore>>. Tre giorni dopo l’esercito squadrista iniziò la marcia su Roma, guidato da un quadrunvirato composto dai rappresentanti delle principali componenti del fascismo: il generale Emilio de Bono, esponente dei quadri filofascisti dell’esercito; Cesare Maria de Vecchi, monarchico fascista; Italo Balbo, ras Ferrarese; Michele Bianchi, sindacalista rivoluzionario e segretario del partito.

    Il capo del governo Facta propose al re, Vittorio Emanuele III, di firmare lo stato d’assedio, con il quale si sarebbe obbligato l’esercito ad intervenire contro i fascisti. Il sovrano decise di non firmare il decreto; Facta si divise. Il 28 ottobre 1922 le camice nere entrarono in Roma senza incontrare alcuna resistenza. Il giorno successivo il re invitò a Roma Mussolini che aveva diretto l’operazione da Milano, per affidargli l’incarico di formare un nuovo Governo (29 ottobre 1922).

    Avendo a disposizione appena 35 deputati, Mussolini non poté che impostare un governo di coalizione, che comunque non gli impedì di assumere di fatto i pieni poteri. A tale scopo potenzio le strutture politiche e militari del partito fascista, con la costituzione le Gran consiglio del fascismo, formò delle milizie volontarie per la sicurezza nazionale. Formalmente si trattava di un’azione <<normalizzatrice>>, in realtà fu una vera e propria istituzionalizzazione dello squadrismo a vantaggio di Mussolini. I partiti di opposizione vennero duramente colpiti dalla violenza squadrista. 

Con il varo di una riforma del sistema scolastico favorevoli alle istituzioni ecclesiastiche e tramite l’intervento della Banca d’Italia a sostegno del Banco di Roma, Mussolini si procurò definitivamente l’appoggio del Vaticano. In campo economico venne avviata una politica economica in linea con gli interessi della ricca borghesia industriale e finanziaria, per questo, fin dal 1923 revocò le principali riforme giolittiane tendenti a realizzare una più equa ripartizione del reddito nazionale ed adotto vari provvedimenti volti a favorire l’espansione dei profitti, gli investimenti e l’aumento di produzione.

    Una volta sistemato il lato economico, Mussolini operò una lenta trasformazione del sistema politico italiano, evitando di eliminare brutalmente la struttura parlamentare, come avrebbe voluto. Egli temeva di essere bloccato, proprio sul più bello, da una reazione improvvisa da parte delle altre forze politiche e quindi non intendeva spaventare gli incauti fiancheggiatori. Soltanto in seguito con calma e <<stile>>, con scrupolo e tecnica sarebbero stati silenziosamente presi per il collo. La manovra decisiva per il consolidamento del fascismo fu varata in occasione delle elezioni politiche nell’aprile del 1924, precedute da una nuova legge elettorale che prevedeva una maggioranza parlamentare pari ai due terzi dei deputati per la coalizione che avesse ottenuto la maggioranza relativa, e comunque un consenso non inferiore al 25% dei voti. Come da copione, le elezioni furono viziate da brogli e violenze e portarono il listone fascista al successo, con un 65%. Durante la campagna elettorale il terrorismo fascista si scatenò per convincere gli elettori a votare, i presidenti delle sezioni elettorali a farsi da parte per il tempo necessario a sostituire le schede sfavorevoli.

    Il 10 giugno 1924 il deputato socialista riformista Giacomo Matteotti, principale oppositore del fascismo, tentò una reazione con un discordo drammatico alle camere, chiedendo che le elezioni venissero annullate a causa delle violenze e le illegalità compiute nel corso delle elezioni. Ben presto, egli venne rapito da un commando fascista, a Roma, e circa un mese dopo il suo corpo martoriato fu rinvenuto nella periferia della città. L’opinione pubblica fu sconvolta dall’evento, al punto che i fascisti temettero di aver fatto un errore irreparabile.

    I partiti dell’opposizione abbandonarono il parlamento e si ritirò sull’Avventino, sperando di indurre finalmente il re a una reazione, ma la situazione rimase in stallo per mesi. Il re non ebbe coraggio di muoversi e diede una volta di troppo carta bianca al fascismo. Mussolini ruppe ogni indugio e decise la sospensione a tempo indeterminato del Parlamento, la decisione venne comunicata con un celebre discorso alla Camera il 3 gennaio 1925, nel quale Mussolini dichiarò di assumersi ogni responsabilità su quanto era accaduto e che la guerra ai suoi avversari politici era aperta.

    Superata la crisi al delitto Matteotti, il fascismo inizio la costruzione di un regime totalitario, Mussolini assunse il titolo di Capo del Governo e non dovette più rispondere dei suoi atti al Parlamento, ma al re; furono dichiarati illegali tutti i partiti e privati del Mandato parlamentare i deputati dell’opposizione, venne soppressa la libertà di stampa, fu istituito un <<tribunale speciale>> per giudicare chi cospirava o denigrava il fascismo, i codici vennero uniformati allo spirito liberticida del fascista. Il regime intervenne in modo massiccio sull’educazione e sui mezzi di informazione, ma si interessò anche di turismo e di manifestazioni popolari, allo scopo di far apparire il fascismo come un fatto connaturato alla società italiana, cosicché l’adesione ad esso fosse spontanea e più ampia possibile. Tema centrale della propaganda era il mito del duce, questo termine stava ad indicare che Mussolini doveva essere considerato non solo capo del governo, ma la guida del paese e incarnare tutti i valori su cui si fondava la nazione italiana e lo Stato fascista.

    La stampa fu chiamata a svolgere una propaganda sia diretta tramite l’esaltazione dei fatti, dei personaggi e degli obbiettivi più significativi del regime, sia indiretta attraverso una rappresentazione della società sostanzialmente falsa, ma tale che sembrasse funzionare secondo le migliori aspettative della gente. Anche la radio svolse un ruolo di cassa di risonanza delle grandi manifestazioni di regime.  Nel 1926 un provvedimento rese obbligatoria le proiezione in tutte le sale cinematografiche dei cinegiornali LUCE (L’unione cinematografica educava, un ente parastatale alle dirette dipendenze le Capo del Governo), che esaltavano le varie attività, cerimonie ed opere del regime, i suoi personaggi più significativi e in particolare Mussolini. I mezzi di informazione svolsero insomma un ruolo fondamentale nella diffusione del mito del duce. Il regime fascista intervenne anche in campo demografico, attuando misure per l’incremento demografico, convinto che la potenza di uno Stato fosse proporzionale al numero dei suoi abitanti, il regime fascista cercò di favorire l’aumento della popolazione con misure di vario tipo. La donna secondo il fascismo doveva essere moglie paziente e madre prolifica ed amorosa, mettere avanti a tutto i lavori domestici, rispettare i valori tradizionali, a cominciare dalla accettazione del subalternità nei confronti del marito, e trasmetterle ai figli. Il fascismo cercò di pianificare anche la distribuzione della popolazione sul territorio, cercando di frenare l’esodo dalle campagne.

    A partire dalla metà degli anni 20 a causa di un aggravamento della situazione economica, il governo abbandonò la politica liberalista ed attuo una serie di misure; quali la rivalutazione della lira e la campagna per l’auto sufficienza per la produzione dei cereali, volte soprattutto a raggiungere la stabilizzazione monetaria e il riequilibrio della bilancia commerciale. Sino al 1926 Mussolini attuò una politica estera sostanzialmente moderata, in seguito si fece più aggressiva; il nazionalismo divenne una sua parte integrante, collegandosi ad ambizioni espansionistiche che misero l’Italia in contrasto con la Jugoslavia e la Francia. Altro obbiettivo fondamentale della politica estera fascista era il consolidamento dei rapporti con il Vaticano, per il peso esercitato in tutto il paese dalla chiesa cattolica. A tale scopo nell’estate del 1926 vennero avviate trattative per una conciliazione ufficiale e definitiva dei rapporti tra Stato e chiesa. Queste si conclusero l’11 febbraio del 1929 con la firma dei <<patti lateranensi>>, che consentirono al regime fascista di acquistare il più solido consenso.

    Nel corso della metà degli anni 20, i paesi europei ridussero l’importazione di prodotti agricoli dagli Stati Uniti dove, di conseguenza, si verificò una crisi di sovrapproduzione collegata a un eccesso di credito con conseguente crollo dei prezzi e dei titoli azionari. Il 24 ottobre 1929 crollò la borsa di Wall Steet a New York: una catastrofe che fu ad un tempo conseguenza di una preesistente fragilità dell’economia. Le conseguenze immediate si avvertirono nel sistema economico mondiale. La crisi, che si prolungò fino al 1932, ebbe gravi ripercussioni sociali: 14 milioni di disoccupati negli USA e 15 milioni in Europa, con conseguente fallimento di numerose Banche e Imprese. In questa situazione di confusione, è stato indispensabile l’intervento dello Stato attraverso la gestione di imprese pubbliche.

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