Paola Volonghi

 

 

appunti tratti dalle lezioni di filosofia del
 prof. Maurilio Lovatti 
(anno scolastico 2005-06)

 

David Hume

 

Nasce nel 1711 ad Edimburgo da una famiglia che apparteneva alla piccola nobiltà terriera. Nel 1721 frequentò il College di Edimburgo dove coltivò soprattutto gli studi classici. A quei tempi la Scozia era molto più arretrata rispetto all'Inghilterra (basti pensare che l'igiene era molto scarsa, perché mancavano le fognature). Un predicatore calvinista, John Knox, convertì la Chiesa cattolica al calvinismo e instaurò un sistema inquisitorio (controllavano ogni cosa) oltre a stabilire alcune questioni liturgiche (come la durata delle messe di 3 ore). Al tempo veniva poi praticato il cosiddetto "Stool of repetance": ogni settimana il prete sceglieva il peggior peccatore del paese e lo faceva sedere su uno sgabello; durante la celebrazione lo colpevolizzava dicendo a tutti i suoi peccati, per esortare il resto della comunità a non fare le stesse cose. Gli anziani dovevano decidere chi aveva il compito di insegnare nelle università; Hume non riuscì mai ad avere la loro approvazione. Per vivere faceva il bibliotecario dell'ordine degli avvocati. Decide di non pubblicare una sua opera, Dialoghi sulla religione naturale, per paura di essere considerato eretico e conseguentemente bruciato al rogo (erano ancora in corso in Scozia, infatti, i processi per stregoneria che nel resto d'Europa erano già finiti nel '600).
Hume voleva essere ricordato come una sorta di Newton della natura umana, come colui che ha dato una base solida all'antropologia.
Opere:
- "Trattato sulla natura umana": pubblica i primi due volumi nel 1739, il terzo lo pubblica nel 1740. Non ebbe tanto successo, così la riscrisse in altre opere, come "Ricerca sui principi della morale", con gli stessi contenuti, ma esposti in forma più accessibile, che ebbero più ampio successo.
- "I dialoghi sulla religione naturale" e "Storia naturale della religione", su argomenti religiosi.
Nel 1752 divenne direttore della biblioteca dell'ordine degli avvocati di Edimburgo, dove poté consultare diversi libri e dove inizia a scrivere "Storia d'Inghilterra", che ebbe molto successo. Churchill stesso aveva detto che l'interesse per la politica gli era stato dato dalla lettura di Hume, specialmente della sua storia.
Gli ultimi anni di vita trascorsero per Hume serenamente, dediti agli agi e alla revisione dei suoi scritti. Morì nel 1776.

TRATTATO SULLA NATURA UMANA
Hume è un empirista, però la terminologia che usa è diversa da quella usata da Locke e Berkeley. Berkeley aveva lasciato inalterato il concetto di idea (semplice e complessa).
Hume chiama percezioni tutti i contenuti mentali (che Locke e Berkeley chiamano idee). Le percezioni si distinguono poi in: Impressioni, più vivaci, chiare e precise, e Idee, più imprecise (come un ricordo può essere meno chiaro e dettagliato di una percezione visiva in atto). Ad es: se guardo un quadro ho idee precise (impressione), se non lo guardo più e cerco di ricordarmelo non mi ricordo tutti i particolari (idea).
Nel Trattato cerca di definire la distinzione tra impressioni e idee in un certo modo, basandosi solo sulla maggior vivacità delle impressioni. Negli scritti successivi dirà che le impressioni sono quei contenuti mentali che percepiamo quando abbiamo una percezione sensibile in atto. Le idee, invece, sono contenuti mentali che non sono prodotti da una percezione in atto (possono essere dei ricordi o delle fantasie o delle idee composte dal soggetto). Nel Trattato queste definizioni non ci sono.
Anche lui, come Berkeley, è nominalista (l'idea universale di biro non esiste, esistono solo impressioni e idee particolari.
Rispetto alle impressioni la mente umana le subisce (mente passiva). Rispetto alle idee la mente ha qualche grado di attività: possiamo associare varie impressioni per formare un'idea. Questa capacità di associazione la chiama "Mild (o gentle) force", ossia forza gentile. Vuole sottolineare che questa capacità è qualcosa di spontaneo e naturale, anche se, chiaramente l'uomo, essendo razionale, può decidere consapevolmente il modo di associare queste idee.
Hume sostiene che l'uomo è portato ad associare le idee e questo avviene senza fatica. È detta "gentle" perché si fa senza fatica e "force" perché la mente umana agisce attivamente (ciò che distingue l'impressione, in cui è passiva, dall'idea, in cui è attiva).
Tre principi di associazione:
- Somiglianza: se vedo una foto nel guardarla mi viene in mente quella persona. Il passaggio dal guardare la foto e pensare alla persona mi viene naturale, lo faccio senza fatica. Perciò le idee somiglianti tendono ad associarsi fra loro.
- Contiguità spaziale o temporale: ho fatto una foto in cui una chiesa mi è uscita solo per metà, l'altra metà me la ricordo io e perciò alla fine la conosco interamente (contiguità spaziale). Oppure vedo una foto di quest'estate e la collego ad un episodio (contiguità temporale).
- Causalità: vedo una persona che ha in mano una biro. Se vedo che sta allargando le dita so già che la biro cadrà, perché so che i gravi cadono sempre…. Noi però tendiamo ad attribuire alla causalità un carattere di necessità che non vi è nelle altre due relazioni.
Cioè: se vedo una foto di quest'estate posso associare ad essa più episodi ma al rapporto causa - effetto (causalità) noi attribuiamo un carattere di necessità. C'è quindi una connessione necessaria tra causa ed effetto (idea).
Ma è sempre vero un rapporto tra causa ed effetto? Questa idea è valida? Un empirista dice che, per verificare se l'idea è fondata, devo tornare alle impressioni dalle quali l'idea deriva.
Es: scaglio un sasso (causa) e il vetro di rompe (effetto).
Analizzo le impressioni: scopro che innanzitutto la causa deve precedere temporalmente l'effetto e che ci deve essere contiguità spaziale fra i due. Queste sono considerazioni indubitabili.
Ma l'idea di necessità non posso farla derivare dalle impressioni. Noi ci aspettiamo la necessità, ma se risaliamo alla impressioni non troviamo necessità (non è una nostra idea semplice).
Hume dice che noi ci aspettiamo che avvengano determinate successioni di eventi per abitudine, perché le ho già percepite in passato.
Tavolo da biliardo: se gioco so, per esperienze passate, che se prendo la pallina in centro o lateralmente, prenderà una determinata direzione. Se Adamo ed Eva giocassero a biliardo per la prima volta non potrebbero prevedere l'andamento della pallina a seconda del colpo, perché non hanno esperienze passate.
Quindi l'idea della connessione necessaria l'abbiamo per abitudine.
Questa concezione è distruttiva per la scienza, perché le leggi scientifiche postulano delle relazioni che sono vere sempre e in ogni situazione. Per Hume invece la necessità è soggettiva (un miliardo di volte succede così, ma una volta, dal punto di vista logico, potrebbe non succedere: il sole sorge tutte le mattine, ma domani, dal punto di vista logico, potrebbe non sorgere). Kant stesso ne rimase talmente sconvolto che per 11 anni non scrisse nulla, perché Hume aveva messo in discussione tutta la scienza.
Hume disse che questa sua critica voleva mettere in discussione l'induzione. Perché se dico che i gravi sono sempre caduti, posso dire che allora sarà sempre così. Questo perché io ho fatto la prova in tutti i casi e quindi posso dire che se è avvenuto in passato avverrà anche in futuro. In realtà questo non giustifica l'induzione perché già dicendo questo la si sta già usando (la uso infatti se dico che siccome una cosa è già accaduta in passato ne deduco che accadrà anche in futuro). Hume dice quindi che non posso giustificare l'induzione perché la necessità connessione tra causa ed effetto è solo una questione psicologica, ma non siamo in grado di giustificarla ulteriormente.
Comunque, secondo Hume, l'abitudine ci basta: dal punto di vista pratico non cambia nulla, ma può essere inquietante dal punto di vista logico. Noi abbiamo l'idea (perché è una nostra tendenza psicologica) della connessione necessaria, ma non l'impressione.
Possiamo distinguere due forme di conoscenza:
- Astratta: relazioni fra idee; usata in matematica. È una conoscenza assolutamente certa e la necessità c'è per forza: se prendo un triangolo e voglio dimostrare che la somma degli angoli interni è di 180 gradi, tra dire "questo è un triangolo" e "la somma degli angoli interni è di 180°" c'è una necessità logica: se è vera la premessa, anche la conclusione lo sarà per il principio di non contraddizione.
- Empirica: relazioni fra cose; dati di fatto, usata nelle scienze naturali. Se prendo la formula F=ma la forza è la causa, l'accelerazione l'effetto. Ma fra causa e effetto non c'è necessità logica.
Nelle relazioni fra idee c'è una necessità logica, mentre in quelle fra le cose c'è un margine di probabilità.
Leibniz chiama le relazioni fra idee "verità di ragione" e le relazioni fra le cose "verità di fatto".
L'infondatezza dell'idea di connessione tra causa e effetto porta a dire che le verità di fatto (come la fisica) non sono certe come le relazioni fra le idee (matematica).
Secondo Hume tutte quelle leggi che in fisica erano considerate certezze assolute, in realtà non lo sono perché derivano solo dall'abitudine ma non sono dimostrate.

CRITICHE ALLA METAFISICA:
Hume sosteneva che, se noi dubitiamo un'idea, dobbiamo analizzarla risalendo alle impressioni sensibili, (cioè risalire dalle idee alle impressioni per valutare la validità delle idee).
a) Critica all'idea di sostanza: si hanno due diverse concezioni di sostanza. L'insieme delle qualità è determinabile risalendo alle impressioni che le hanno generate. Nel caso del substratum, siccome noi non ne abbiamo la percezione, non possiamo dire che esista: siccome non abbiamo impressioni sul substratum (e noi siamo certi solo delle nostre impressioni) non possiamo essere certi della sua esistenza o meno. La filosofia tradizionale utilizzava il significato di substratum. Emerge quindi l'idea del programma filosofico di Hume: egli delimita il campo di ciò che è conoscibile, ciò che non rientra in questo campo non è oggetto della filosofia. L'uomo deve perciò ammettere che la sua conoscenza è limitata.
b) Critica all'esistenza del mondo esterno al soggetto: noi percepiamo delle cose (albero, strada, banco) e le concepiamo come esistenti di per se stesse secondo il senso comune. Berkeley sosteneva invece che in realtà non esistono e che tutto è voluto da Dio. Hume diceva che nessuno dei due aveva ragione: se mi chiedo perché vedo l'albero? Il senso comune dice chi si vede un albero perché lì c'è effettivamente un albero. Se si ragiona in questo modo però si va oltre l'impressione e si esce dall'ambito della certezza: vogliamo vedere l'esistenza dell'albero come la causa della nostra percezione. Hume dice che se io sono certo delle mie impressioni le cause possono essere: l'albero in sé, Dio (come pensava Berkeley), un genio maligno (di Cartesio) oppure qualcosa che noi non conosciamo. Hume non vuole mettere in dubbio il senso comune, ma vuole solo dimostrare che questo tipo di ragionamento non rientra nella certezza. Potremmo definirlo uno scetticismo moderato: pensa che sia impossibile dimostrare che noi possiamo conoscere l'albero in sé, in quanto dell'albero potrò conoscere solo le impressioni, impressioni che non posso essere certo che derivino proprio dall'albero.
c) Critica dell'unità dell'io: lo stesso ragionamento che si è appena fatto può essere applicato all'io. "Io ieri ero triste" "Io oggi sono lieta". I due "io" coincidono? Chi l'ha scritto direbbe di sì, perché ne è convinto, ma questo non può essere dimostrato. Questo perché posso pensare all'"io" come un insieme di contenuti mentali: ho così una serie di contenuti e la mia mente è definita come una collezione di idee. In questo caso i due "io" sono necessariamente diversi (la totalità dei miei contenuti mentali di ieri non è identica a quella di oggi). Però, nonostante il fatto che i contenuti sono diversi, non cambia il soggetto che conosce i contenuti. Questo soggetto è però come il substratum e perciò non può essere percepito. (non posso percepire il mio io direttamente, ma solo nell'atto di pensare, dubitare, sentire, ecc.)
In conclusione non possiamo essere certi che l'io come substratum esista e quindi non posso essere essere certa che l'io di ieri coincida con l'io di oggi.
Hume voleva scrivere il trattato per essere una sorta di Newton della natura umana. Il II e III libro riguardano le passioni (impostazione per certi versi simile a quella di Spinoza), e l'etica.
La parte dell'etica è molto originale. Per capirla dobbiamo fermarci sulla cosiddetta "Legge di Hume" che dice "non è lecito passare dal piano dell'essere al piano del dovere essere", in altre parole "non può esistere un ragionamento che partendo da premesse descrittive giunga a una conclusione prescrittiva".
Piano dell'essere: linguaggio descrittivo
Piano del dovere essere: linguaggio prescrittivo
La frase descrittiva ("la porta è chiusa") posso dire se è vera o falsa e ci dà quindi un'informazione sul mondo.
Una frase prescrittiva ("non si deve rubare", "il rubare è una brutta cosa", "non rubare") non può essere definita vera o falsa, esprime semplicemente una prescrizione. Lo stesso vale per "chiudi la porta"
L'insieme del linguaggio prescrittivo (imperativo) ha un sottoinsieme delle leggi morali e delle norme. Non possono coincidere questi due insieme perché per esempio "chiudi la porta" non è una legge morale. È l'univeralità che rende la prescrizione una legge morale: se dico "non rubare" lo dico rivolgendomi a tutti, non a una persona in particolare.
Quando usiamo il verbo all'indicativo (is) stiamo dicendo come stanno le cose ("oggi c'è il sole"); quando introduciamo l'imperativo ("non si deve" o "si deve", ought to, must, have to) diamo invece una prescrizione.
Quando i filosofi vogliono giustificare qualche norma morale cominciano sul piano descrittivo (parlano del dolore dei famigliari della vittima) per poi giungere alla prescrizione (non uccidere).
Secondo Hume questo ragionamento è sbagliato: non può esistere nessun ragionamento che abbia premesse esclusivamente descrittive e giunga a conclusione prescrittive.
Prendiamo un sillogismo, la forma più semplice di ragionamento:

P1
P2
C

Se il ragionamento è valido e le premesse sono vere, anche la conclusione è vera.
Hume dice: se la P1 è descrittiva e la P2 è descrittiva non si può avere una conclusione prescrittiva.
Tutti gli animali sono esseri viventi
Tutte le mosche sono animali
Tutte le mosche sono esseri viventi
È evidente che se il ragionamento è valido, è valida anche la conclusione. Se la conclusione deriva dalla premesse significa che nelle premesse è già presente in qualche modo la conclusione.
Se prendo una qualsiasi legge morale (L1) e la voglio dimostrare a partire da premesse, almeno una delle premesse deve essere prescrittivi.
P1 (L2)
D
L1
In questo modo però non faccio altro che spostare il problema su L2 e così via.
Perciò la legge di Hume dice: è impossibile dimostrare le leggi morali.
Le norme morali non possono essere provate con la ragione a partire da proposizioni prescrittive. Noi ci regoliamo secondo delle norme (anche implicite) ed è quindi evidente che per Hume queste regole hanno un punto di partenza non dato dalla ragione.
Il rapporto tra ragione e volontà (o passioni) si può esaminare così: la ragione è uno strumento per soddisfare ciò che la volontà vuole.
Es: ho fame e mi do come regola che devo mangiare. Una volta che la volontà ha deciso cosa fare la ragione agisce di conseguenza (se il frigo è vuoto, la ragione mi dice che devo andare a fare la spesa).
La ragione è come uno strumento che permette alla decisione della volontà di realizzarsi. È questa una concezione strumentale della ragione. È una concezione opposta all'etica di Aristotele, Locke e S. Tommaso secondo la quale è la ragione che guida la volontà. Sono quindi le passioni e le volontà gli strumenti della ragione.
Hume capovolge questa concezione.
Nel mito di Platone della biga alata è la ragione dell'uomo che decide, i cavalli (anima irascibile e concupiscibile) sono solo uno strumento.

ETICA
La ragione è schiava delle passioni.
Scrive Hume: "Non è contrario alla ragione che io preferisca la distruzione del mondo intero piuttosto di graffiarmi un dito".
Io non posso, sulla base della ragione, dire che è meglio graffiarmi un dito piuttosto che il mondo venga distrutto. Se non ho un criterio razionale, ne deriva che la validità dei giudizi dipende dalle passioni.
Abbiamo quindi due possibilità:
- Non c'è nessuna morale, ognuno fa quello che si sente; ma non è questa la tesi di Hume perché renderebbe impossibile ogni forma di convivenza.
- La morale deve fondarsi sul sentimento (tesi di Hume). Difficoltà: i sentimenti sono soggettivi e quindi non posso fondare la morale sul sentimento perché la morale ha bisogno di universalità
Hume dice che esiste un tipo particolare di sentimento morale (moral sense) su cui si può fondare la morale. Questo sentimento morale deve essere un sentimento disinteressato: supponiamo che ci sia un teppista vicino a noi; noi abbiamo paura e quindi dire che è male sprangare una persona può avere motivazioni soggettive.
È questo un sentimento interessato perché magari un masochista non vuole evitare il dolore e dice quindi che è bene sprangare le persone. Se io sono al sicuro e vedo il teppista sprangare una povera vecchietta, io non ho paura e posso quindi avere un sentimento disinteressato, che mi fa dire che è sbagliato sprangare le persone. Il sentimento morale disinteressato, si fonda su una propensione naturale dell'uomo alla simpatia verso i suoi simili e tende all'utilità sociale. Ma se la simpatia fa parte della natura umana, come mai esistono i criminali? Hume, da buon illuminista pensa che la natura umana sia di per sé sia predisposta all'empatia, ma l'educazione, i traumi psicologici, le ingiustizie sociali possano deformare e compromettere il carattere della persona.

CONCEZIONE RELIGIOSA
Hume si trova in Scozia dove erano molto diffusi e dominanti i presbiteriani. Essendo illuminista si trovava in rapporti di amicizia con esponenti della corrente deista, tra cui Adam Smith, padre del liberismo. Il deismo è una corrente religiosa sviluppatasi in Francia, secondo la quale le caratteristiche essenziali di Dio si possono conoscere con la ragione, indipendentemente dalla rivelazione. Anche Voltaire era un deista.
Hume preferiva i deisti ai presbiteriani, ma con questo non si vuole dire che era un deista: infatti Hume era più scettico riguardo la possibilità della ragione di conoscere le questioni della fede.
Nel Trattato e soprattutto nelle sue rielaborazioni vari Saggi e nelle Ricerche sull'intelletto umano, Hume tratta alcuni punti religiosi e critica tutte le credenze ai miracoli (non quelli biblici, ma per esempio quelli dei re che, nelle credenze popolari, potevano guarire i lebbrosi…), considerandoli una violazione della legge naturale. È difficile essere certi di un miracolo, perché dovremmo essere anche certi che non c'è nessuna causa sconosciuta. In conclusione è indimostrabile che esista il miracolo.

"DIALOGHI SULLA RELIGIONE NATURALE"
È un dialogo tra 3 personaggi articolato in 12 parti, mai pubblicato in vita perché andava contro i presbiteriani. Per un certo periodo si era illuso di poterla pubblicare, vedendo un maggior influenza della parte tollerante all'interno dell'assemblea dei presbiteriani. Modifica l'ultima parte della dodicesima parte, per ridurre le occasioni di scontro con la chiesa scozzese. I personaggi sono:
- Demea: presbiteriano ortodosso
- Cleante: illuminista o deista
- Filone: scettico, nei primi 11 rappresenta il pensiero di Hume, nell'ultimo ci si sta ancora chiedendo se esprima effettivamente il pensiero del filosofo o se sia stato modificato solo per sviare e evitare le accuse dei presbiteriani.
Filone tende a simpatizzare con Cleante e questo è una caratteristica propria di Hume che si sentiva più vicino ai desti piuttosto che agli ortodossi. Dalla II-III alla VII si ha la critica di una prova dell'esistenza di Dio, che possiamo chiamare argomento teoleologico (prova a posteriori basata sulle finalità, che può essere considerata molto simile alla 5^ via di S.Tommaso).
L'insistenza di Filone porta Cleante e Demea a riconoscere che la prova ontologica non è valida perché non si può dimostrare a priori l'esistenza di Dio.
Hume è quindi Filone: poiché l'esistenza è una questione di fatto (solo l'esperienza ci può dire se considerare un ente esistente o no) e le prove a priori dell'esistenza di Dio non si possono dare.
Le prove a posteriori sono più fondate: se troviamo l'ordine in cose non intelligenti pensiamo che esista qualcosa che ha creato quest'ordine (la 5^ via infatti giunge all'esistenza di un ente finalizzatore).
Hume dice: se prendo le lettere di cui è formata l'Eneide e le mescolo non riuscirò mai con il caso a ricostruire il poema. In casi come questi ci vuole un ente intelligente che abbia dato la finalità.
Però se qualcosa è ordinato non per forza è creato da un ente intelligente (perché se ho un cane che genera un altro cane, il cucciolo è generato da un altro cane che non ha intelligenza).
Però uno potrebbe dire: arriviamo al primo cane in assoluto, questo deve essere creato per forza da un ente intelligente. Nonostante questo Hume sostiene che anche se l'argomento della finalità è plausibile, non basta per dimostrare l'esistenza di un unico Dio onnipotente.
Dal punto di vista logico attraverso il solo elemento della finalità non possiamo capire che Dio è buono, onnipotente e onnisciente perché l'ordine potrebbe essere dato anche da un Dio non onnipotente.
Nella XII parte Filone sembra sostenere la tesi di Demea secondo la quale la fede risolve i dubbi della ragione, perciò la ragione da sola non basta. Questa tesi è interpretata come un modo adottato dal filosofo per evitare la censura.

"STORIA NATURALE DELLE RELIGIONI" 1757
È il primo tentativo di spiegare la nascita del sentimento religioso attraverso la genesi psicologica.
Es: l'uomo è portato a credere a Dio per superare i suoi timori, spinto dalla paura per il futuro.
Hume tenta quindi di ricostruire una genesi psicologica della credenza religiosa.

 

N. B. Gli appunti sono stati presi durante le lezioni e non sono stati rivisti, ne integrati con le spiegazioni del manuale di filosofia in adozione

 

risorse internet su Hume

Collection of essays by David Hume

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