Paola Volonghi

 

 

appunti tratti dalle lezioni di filosofia del
 prof. Maurilio Lovatti 
(anno scolastico 2006-07)

 

Arthur Schopenhauer

 


VITA
Nasce a Danzica (Prussia) il 22 febbraio 1788, da una ricca famiglia di commercianti e banchieri. Suo padre muore suicida nel 1805 lasciandolo erede di una grossa fortuna.
Nel 1809 si iscrive alla facoltà di medicina dell'università di Gottinga, per passare subito a quella di filosofia. Si dedica allo studio di Platone e di Kant, che rimarranno al centro della sua riflessione. Nel 1813 si laurea a Jena. Nel 1814 rompe anche i rapporti con la madre e si trasferisce a Dresda.
Nel 1818 porta a termine la sua opera principale: Il mondo come volontà e rappresentazione. Compie un viaggio in Italia e risalgono a questo periodo i progetti di matrimonio che però sfumano.
Tornato in Germania, per affrontare una crisi finanziaria pensa di dedicarsi alla carriera accademica.
Verso Hegel nutrirà costantemente una forte antipatia. Dal 1820 al 1831 tenterà inutilmente di contendergli la fama, programmando le sue lezioni universitarie gli stessi giorni e le stesse ore del filosofo idealista, ma le sue lezioni sono disertate dagli studenti, mentre Hegel raccoglieva folle straboccanti di studenti. Lo definiva "sicario della verità" e affermava che "il suo sistema filosofico è una buffonata". Per Schopenhauer la dialettica non è un metodo valido di pensiero.
Nel 1831 si trasferisce a Francoforte. Nel 1836 pubblica lo scritto Sulla volontà nella natura. Già nel corso degli anni quaranta si è venuta formando intorno all'anziano filosofo una piccola cerchia di ammiratori e seguaci.
E' il primo filosofo che studia a fondo le filosofie orientali, soprattutto quella indiana, e ne trae degli insegnamenti che inserisce nella sua visione del mondo.
La morte lo coglie nel 1860 in seguito a una polmonite.
La sua fama come filosofo è in gran parte postuma e si lega alla fortuna di cui godrà la sua dottrina "pessimistica".

"IL MONDO COME VOLONTÀ E RAPPRESENTAZIONE"
Schopenhauer si ispira soprattutto a due filosofi: il "divino" Platone e il "sorprendente" Kant.
Schopenhauer è un grande ammiratore della "Critica alla ragion pura" di Kant.
Utilizza un lessico kantiano e da questo punto di vista sembrerebbe un vero e proprio kantiano. Il realtà usa i termini kantiani in maniera sviante: Schopenhauer era d'accordo con Kant sul fatto che noi abbiamo solo una conoscenza fenomenica, perciò la cosa in sé è inconoscibile. Però se per Kant la conoscenza fenomenica era la vera conoscenza oggettiva, per Schopenhauer la conoscenza fenomenica è solo una specie di inganno, una conoscenza illusoria che nasconde l'autentica verità delle cose.
Nell'opera troviamo due valutazioni della conoscenza fenomenica:
1) il fenomeno è come una corda abbandonata in terra che da lontano sembra un serpente, ma se ti avvicini ti accorgi che è solo una corda. Nel senso che l'apparenza può ingannare.
2) il viandante nel deserto vede un oasi, ma questo è solo un miraggio, in realtà l'oasi non c'è.
In questo senso la conoscenza fenomenica è ingannevole.
Lo scopo della filosofia di Schopenhauer è quello di giungere alla verità, nonostante l'ostacolo della conoscenza fenomenica; bisogna quindi trovare la via adatta.
Il soggetto conferisce validità al mondo oggettivo applicandogli le forme a priori della sensibilità e dell'intelletto: spazio, tempo e causa (unica categoria kantiana ritenuta indispensabile e sufficiente). Ciò che viene così conosciuto non è la realtà in se stessa, ma il suo fenomeno.
Quindi come si può uscire dalla conoscenza fenomenica, come si può oltrepassarla?
Tutto ciò che entra nella nostra mente è percepito e fa parte della conoscenza fenomenica. Tutto ciò che penso è già conoscenza fenomenica. Secondo Schopenhauer c'è qualcosa che noi possiamo conoscere fuori dalla conoscenza fenomenica: il fatto che noi abbiamo dei desideri e vogliamo qualcosa. Questo desiderio lo avvertiamo immediatamente, lo intuiamo.
Es: quando ho fame, il desiderio di mangiare lo avverto immediatamente, non ho bisogno dei cinque sensi per saperlo. È chiaro che, una volta che capisco che ho fame, devo poi usare la ragione per soddisfare questo desiderio, scegliendo i mezzi idonei per raggiungere il fine .
Schopenhauer dice "La volontà è la vera cosa in sé del nostro essere". Tutto ciò che conosciamo di noi stessi con i sensi o l'intelletto è una conoscenza fenomenica e quindi ingannevole. L'essenza di tutta la realtà è invece la volontà (che è l'unica cosa in sé).
La volontà è la cosa in sé di tutta la realtà. Si concepisce la realtà in una prospettiva monistica: tutto è volontà, vi è un'unica sostanza, rispetto alla quale le persone e le cose sono come i suoi modi (nel senso di Spinoza).
La volontà ha quattro caratteristiche:
Cieca e irrazionale: la volontà non ha uno scopo. Se si prende in considerazione la volontà umana, quando una persona vuole qualcosa è perché ha un fine. La scelta dei mezzi è in funzione del fine desiderato. Schopenhauer dice che la volontà vuole tanto per volere, non le interessa il fine. Perciò il fine ultimo della volontà non esiste. Quindi la volontà è irrazionale, se per razionalità intendiamo la scelta di un mezzo adeguato per raggiungere un fine.
Inconscia: non sempre la volontà è consapevole. Una pianta ha una volontà (l'istinto che la porta a vivere, a tendere verso ciò che mantiene la vita), ma non è consapevole di questa volontà. La volontà come un tutt'uno è inconscia. Nella teologia cristiana il soggetto che è totalmente consapevole della propria volontà è Dio. Perciò la volontà è inconscia perché non consapevole.
La volontà non è soggetta al principio di individuazione: nella filosofia scolastica tale principio generava l'individualità.
Es: due biro hanno la stessa essenza, ma sono comunque diverse, sono individui perché distinti tra loro e dall'universale.
Per Schopenhauer la volontà non è determinata dal fatto di essere individuata in un singolo uomo, o in un singolo essere vivente, ma è ontologicamente un tutt'uno, come è uno il mare nonostante si manifesti come composto da molteplici onde.
Esaminando l'ontologia di Spinoza abbiamo paragonato il mare alla sostanza, e le onde agli accidenti.
La volontà è il mare, le volontà dei singoli sono le onde (ossia un modo di essere della volontà come cosa in sé). Il mare sta alle onde, come la volontà come cosa in sé sta alla volontà dei singoli essere viventi.

La conoscenza umana è solo fenomenica quindi illusoria, la vera realtà è data dalla volontà che ha queste caratteristiche.
La volontà non si manifesta in se stessa, ma lo fa oggettivandosi. La volontà è una, ma la realtà è molteplice.
Schopenhauer credeva che Platone avesse ragione quando pensava all'esistenza di un mondo ideale e di due livelli di realtà (idee e cose).
Anche la volontà quando si oggettiva, cioè diventa realtà, lo fa non immediatamente, ma in maniera mediata: prima la volontà diventa idea, modello e poi enti e cose.
Perciò da Platone trae la concezione secondo cui la volontà si oggettiva prima in un mondo ideale.

CONCEZIONE STRUMENTALE DELLA RAGIONE O RAGIONE STRUMENTALE
È un'idea che si diffonde soprattutto nel '900, ma che troviamo già in Hume e Schopenhauer.
Schopenhauer ponendo la volontà come cosa in sé, ribalta quello che era il più diffuso modo di comprendere i rapporti tra ragione e volontà.
Es: nel mito platonico della biga alata la ragione, impersonata dall'auriga, guida le passioni e i cavalli sono gli strumenti che permettono all'anima razionale di agire.
Perciò la ragione decide e la componente volitiva dell'uomo è un mezzo per attuare le deliberazioni razionali.
Schopenhauer ribalta il discorso: la volontà è quella che guida (il cavaliere), la ragione è il mezzo, (il cavallo).
La ragione ci serve a scegliere i mezzi adeguati per raggiungere il fine. È razionale la scelta di mezzi adeguati al fine (ad es. è irrazionale decidere di andare in America a nuoto).
A -> B -> C -> D -> … -> X
A è adeguato per raggiungere B, B è adeguato per raggiungere C….
X è il fine ultimo, di cui non si può decidere se sia razionale o no, se per essere razionale deve essere un mezzo adeguato per raggiungere un fine.
Per definizione il fine ultimo è quel fine che non viene utilizzato come mezzo per raggiungere un altro fine.
Quindi è la volontà e non la ragione che determina il fine. Con la ragione possiamo solo individuare i mezzi idonei.
Aristotele aveva detto che l'uomo può deliberare i mezzi per essere felice, ma il fine non deve essere deciso (è già intrinseco alla natura umana che il fine sia la felicità).
Per Aristotele essere felici fa parte della natura umana e quindi la ragione può riconoscere questo fatto, per Schopenhauer, siccome la volontà è cieca, ci fa volere tanto per volere, ma noi non possiamo dare una giustificazione razionale a questo volere.
La ragione svolge un compito ausiliario.
Da qui nasce la visione pessimistica.
"Ogni rosa ha molte spine, ma ci sono le spine senza le rose": per ogni piacere raggiunto ce sono molti altri desideri che non riusciamo soddisfare.
"La vita umana è un pendolo che oscilla incessantemente tra noia e dolore, passando talvolta in un momento illusorio di piacere": se non abbiamo desideri forti ci annoiamo, se abbiamo desideri che non possono essere soddisfatti proviamo dolore.
Quindi si ha noia o dolore e a volte piacere quando si riesce a soddisfare il desiderio, anche se questo piacere è considerato come un breve intervallo di una vita che è infelice.
"Per ogni desiderio appagato ce ne sono almeno 10 che sono inappagati".
L'uomo è sempre costretto a scegliere quindi le frustrazioni aumentano. Inoltre la natura umana fa sì che il piacere sia instabile e momentaneo. È questa una conferma della visione pessimistica.
Schopenhauer dice che tutti gli animali si trovano nella condizione dell'uomo, ma per l'uomo è peggio perché più consapevolezza equivale a più dolore. L'uomo, essendo consapevole, soffre di più (sa che, dopo aver mangiato, il suo piacere non durerà a lungo).
Secondo i romantici l'amore era un elemento importante. Schopenhauer, da antiromantico, scrive che l'uomo si illude di amare; l'amore non è altro che un trucco della volontà per perpetuare la specie. Noi siamo dominati dalla volontà che ci fa desiderare inconsapevolmente la riproduzione della specie.
Perpetuando la specie si perpetua la volontà.
L'uomo di fronte alla volontà può scegliere: o si adegua alla volontà e cerca di conseguire il piacere il più possibile, oppure deve fare uno sforzo per depotenziare e annullare la volontà.
Secondo Schopenhauer la prima soluzione va evitata, perché l'uomo accettando la volontà va verso l'infelicità. Schopenhauer è invece convinto che la strada da seguire sia la seconda: depotenziare la volontà, che però non può essere annullata del tutto, ma può essere indebolita.

Per indebolirla ci sono tre gradini da salire, tre vie da seguire:
Creazione artistica e contemplazione: nel momento in cui l'artista concepisce l'opera, o crea l'opera, oppure quando osserviamo un'opera d'arte, in questo attimo è come se i nostri interessi egoistici siano messi da parte. Il desiderio da parte dell'artista di dipingere per ottenere la gloria, datogli dalla volontà, viene messo da parte. Attraverso la contemplazione e la creazione l'uomo si sottrae al condizionamento della volontà. Non è però la soluzione definitiva perché è di breve durata.
Livello etico (empatia, solidarietà): se vedo uno che soffre mi immedesimo e voglio aiutarlo. In quest'occasione non penso a me stesso e agisco per il bene dell'altro, mettendo in secondo piano la parte di me che vuole il mio piacere (volontà). Ma anche questa soluzione è momentanea e transitoria.
Ascesi: è la castità, il digiuno, l'autoabnegazione, la povertà volontaria, il sacrificio eroico di sé. Anche nel medioevo c'era l'ascetismo (es: flagellanti) ma questo tipo di ascesi era finalizzata per ottenere la salvezza. La vera ascesi è tale se l'uomo vuole l'ascesi per l'ascesi, senza secondi fini.
Le obiezioni possono essere mosse per quanto riguarda l'ascesi. Prima di tutto Schopenhauer, nella sua vita reale, non ha messo in pratica quello che scrive, però una mancanza di coerenza personale non può essere motivo decisivo di critica.
C'è poi un'aporia poiché la decisione di annullare la volontà proviene dalla volontà stessa.
L'ascetismo si traduce per Schopenhauer in una morale della compassione. Essa consiste nell'abolire ogni distinzione fra l'io e l'altro, nella capacità di patire con l'altro, giungendo a respingere l'egoismo in quanto forma tipica di cui si serve la volontà di vivere per attuare i suoi scopi.
Vi sono diversi gradi dell'ascesi. La castità è il primo e indispensabile gradino dell'ascesi, in quanto rappresenta la scelta, per l'individuo, di liberarsi dalla subordinazione alla volontà della specie, che utilizza le lusinghe dell'amore per uno scopo interessato. Essa, con il suicidio, che viene rifiutato, rappresenta il vero distacco nei confronti della volontà di vivere.
Non è possibile definire in positivo il termine dell'ascesi, che non ha in ogni caso di mira l'annullamento nichilistico dell'uomo e dei suoi valori, quanto piuttosto la loro trasformazione. Schopenhauer può solo esprimerlo in negativo, con il termine di noluntas: che sta a indicare la condizione della volontà liberata, non più cieca volontà di vivere, ma sua catarsi definitiva, non più, propriamente, "volontà", ma "non volontà".

 

 

N. B. Gli appunti sono stati presi durante le lezioni e non sono stati rivisti, ne integrati con le spiegazioni del manuale di filosofia in adozione

 

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