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La cultura e la condizione di vita
in Abruzzo alla fine del XIX secolo
Introduzione
Abbreviazioni
Presentazione della busta
Processi Penali
Elenchi
Ricerca e riflessioni
Glossario
Bibliografia
Introduzione
Il presente lavoro è il risultato di un lungo ed accurato studio
delle fonti giudiziarie (Processi Penali della Corte d’Assise aquilana)
consultate presso l’Archivio di Stato dell’Aquila, oltre che
di saggi e testi sulla storia e la cultura dell’Abruzzo di fine Ottocento.
Esso è nato dall’interesse a voler ricostruire (o almeno tentare
di ricostruire), attraverso il contatto diretto e personale con la fonte storica,
la cultura e le condizioni di vita degli abruzzesi alla fine del XIX secolo.
I documenti citati sono stati analizzati (e “sintetizzati”) soprattutto
a tale scopo.
Di conseguenza, sono stati volutamente tralasciati i dati inerenti l’aspetto
giuridico e sono stati studiati, invece, quelli riguardanti la situazione
sociale in cui si trovano gli abruzzesi dell’aquilano fra il 1880 e
il 1900.
A tal fine, infatti, una particolare attenzione è stata rivolta agli
aspetti–indice della loro posizione socio-culturale, come:
- l’abbigliamento;
- l’alimentazione;
- le armi (possedute e adoperate per compiere i delitti);
- le condizioni economiche;
- le condizioni igieniche e sanitarie;
- la donna;
- l’emigrazione;
- l’istruzione;
- il lavoro e le sue modalità;
- la struttura della casa;
- la viabilità;
- gli usi e i costumi.
Un altro punto fondamentale sul quale è interessante soffermarsi è
la differenza che intercorre tra l’ambiente cittadino e quello campagnolo,
quindi tra i diversi modi di vivere.
I temi–guida qui elencati sono stati sviluppati traendo informazioni
dai numerosi atti contenuti in ogni singolo fascicolo, ossia dagli interrogatori,
dai verbali, dai certificati, dalle lettere e, soprattutto, dalle testimonianze,
espressione più schietta e diretta della vita e della cultura del periodo.
Nota: alcune parti delle fonti giuridiche esaminate sono state trascritte
ed inserite direttamente nel presente lavoro al fine di conservarne l’obiettività
e di dare maggiore consistenza e veridicità alla ricerca svolta.
Abbreviazioni archivistiche
A.S.A.: Archivio di Stato dell’Aquila.
Altre abbreviazioni
Agg.: Aggettivo.
Avv.: Avverbio.
B.: Busta.
Cit.: Citato.
Cong.: Cong.
Doc.: Documento.
F.: Femminile.
Fs., Fss.: Fascicolo, fascicoli.
M.: Maschile.
N.: Nome.
N., Nn.: Numero, numeri.
Op. cit.: Opera citata.
P., Pp.: Pagina, pagine.
S.d.: Senza data.
Sin.: Sinonimo.
Vb.: Verbo.
Presentazione
della busta
A.S.A., Corte d’Assise, Serie Processi, Busta n. 104
Fascicolo N. 1193 Reato: Ribellione (con violenze e ferimenti) ed omicidio
volontario.
Luogo e data: Paganica(Aquila), 28 Luglio 1880.
Fascicolo N. 1194 Reato: Omicidio volontario.
Luogo e data: Ponte di Sopra (Frazione del Comune di Castel S.Angelo), 7
Marzo 1880.
Fascicolo N. 1195 Reato: Furto.
Luogo e data: Camarda (Aquila), 29/30 Dicembre 1880.
Fascicolo N. 1196 Reato: Ferimento volontario.
Luogo e data: Aquila (contrada Cappuccini), 28 Dicembre 1880.
Fascicolo N. 1197 Reato: Grassazione accompagnata
da
omicidio.
Luogo e data: Bussi sul Tirino (Pescara), 4 Maggio 1880.
Fascicolo N. 1198 Reato: Furto.
Luogo e data: Aquila, 26 Dicembre 1879.
Fascicolo N. 1199 Reato: Assassinio
e ferimento.
Luogo e data: Spedino (frazione di Borgocollefegato, in
provincia di Rieti), 14 Aprile 1879.
Fascicolo N. 1200 Reato: Omicidio volontario.
Luogo e data: Monte Giano (Antrodoco), 29 Maggio 1880.
Fascicolo N. 1201 Reato: Mancato omicidio
volontario.
Luogo e data: Aquila (quartiere di Santa Caterina), 12
Luglio 1878.
Fascicolo N. 1202 Reato: Spendimento doloso di false carte consorziali.
Luogo e data: Villa Macchia (Teramo), 8 Aprile, 8 e 25 Maggio 1878.
Fs. N. 1193
Atti relativi alla causa a carico di:
- De Paolis Giovanni di Berardino, anni 33, contadino di Paganica (Aquila),
accusato di ribellione (con violenze e ferimenti) e di omicidi volontari
(avvenuti il 28 Luglio 1880) contro la forza pubblica composta da:
- il Brigadiere dei Reali Carabinieri Scortini Antonio, anni 37, nato
in Cittaducale da madre e padre entrambi proprietari e residente in Paganica.
- il Milite dei Reali Carabinieri Proietti Paolo, anni 28, nato in Piglia
(circondario di Frosinone ) da padre e madre ignoti, residente in Paganica.
Entrambi vengono uccisi durante l’esercizio delle loro funzioni per
mantenere l’ordine pubblico.
Compendio
“Giovanni De Paolis, rotto al delitto ed al vizio, era preso di amore
per Margherita Buontempi, moglie di suo fratello Luigi che trovavasi nel carcere
e sovente tentò di sedurla e violentarla; ma la virtù e costanza
di lei rese vani sì malvagi tentativi; ed i suoceri concorsero a tutta
scossa a tutelarla da siffatta perfidia, non ostante che egli li maltrattasse.
Alle ore pomeridiane del 28 Luglio decorso cominciò di nuovo a cimentarla
con dei pizzicotti; e la povera giovane, di ricorso, gli diè un morso
al braccio; e non potendo più tollerare tale audacia ed immoralità,
ricorse ai Carabinieri Reali che promisero di prendere le disposizioni opportune,
al ritorno del Brigadiere. Ella, tornata in casa, si fermò nel cortile
(…). Suo cognato continuò a molestarla con pizzichi sul volto,
sicché fu obbligata a chiudersi nella sua stanza : pur quel giovane
temerario minacciò di abbatterne la porta. A questo, sopraggiunsero
il Brigadiere Scortini Antonio ed il Carabiniere Proietti Paolo con le armi
ed in divisa. Lo sconsigliato giovane stava seduto su di un macigno, ed,
in vedendo la Forza Pubblica, prese la volta della stalla dove s’introdusse.
I Carabinieri dicendogli “ferma, ferma” lo seguirono.(…).Di
lì udito il rumore di una zuffa. Indi a poco, uscì fuori nella
via il Carabiniere barcollante, cadde, rialzossi e ricadde. Il De Paolis
videsi fuggire, ma il Brigadiere non ricomparve e tutti supposero uscito
per inseguire De Paolis; ma sventuratamente lo si rinvenne freddato nella
cennata stalla. (…). Il Brigadiere era coperto da 16 ferite ed il
Carabiniere aveva una sola ferita, prodotta con arma contundente e tagliente.
Si rinvenne l’arma feritrice, la quale combaccia con gli abiti tagliati
e con le ferite. Interrogato, il De Paolis disse che si trovava ubbriaco
(…), che i Carabinieri lo afferrarono nella stalla, vibrandogli pugni
e calci gittandolo a terra, cosicché, per liberarsi, trasse di tasca
un piccolo coltello e vibrò dei colpi, senza sapere se li avesse feriti,
essendo il locale assai buio (…)”.
Successivamente, il De Paolis si rese latitante. Verso le ore 12 della notte
dell’omicidio riapparve nei dintorni della sua abitazione e penetra
in casa dalla parte del finestrone del fienile. Andò a prendere la
giacca e le scarpe, oltre che a rubare danaro e biancheria da una cassa
di sua madre. Un primo tentativo di arresto avviene ad opera del Brigadiere
Forestale di Camarda, Sacco Salvatore, in viaggio (“cavalcando una
giumenta”) da Assergi a Aquila per affari di servizio. L’assassino
De Paolis Giovanni viene poi arrestato il 30 Luglio 1880, in aperta campagna,
dopo un inseguimento da parte dei Carabinieri e dei contadini che lo colpiscono
con pietre, mazze e calci gridando “morte all’assassino!”.
Notizie sull’imputato De Paolis Giovanni :
- Non ha moglie.
- Sa leggere e scrivere.
- Non ha assolto il servizio militare.
- E’ povero (la sua povertà è comprovata dal certificato
del Sindaco di Paganica e da quello dell’agente delle imposte).
- Abita nella casa paterna con i suoi genitori e con la famiglia di suo fratello
Luigi. Prima del delitto, nell’imbrunir dell’aria, è visto
seduto davanti casa, presso l’arco del cortile, su un grosso macigno,
col cappello di paglia in testa. Indossa “una giacca di panno lana
color blù sbiadito, calzone e gilet di cotone a quadriglie ed una
camicia di tela di canapa”.
- E’ stato già condannato diverse volte per ferimento, furto,
porto di coltello a molla fissa e ribellione con ferimento ai Reali Carabinieri,
rispettivamente negli anni 1869, 1871, 1872 e 1875. “Sortito dalle
carceri nel decorso mese di Marzo” e rientrato in famiglia, diede ai
suoi genitori “argomenti di disturbo e di seri timori”. Arrivò
anche a minacciarli, in campagna, appuntando loro un coltelluccio nella gola
affinché sua cognata Margherita venisse cacciata di casa (oltre che
lasciata sola sia in casa che in campagna) ed egli potesse, quindi, appagare
le sue “turpi voglie”. In seguito a ciò e all’omicidio
dei due componenti della Forza pubblica citati, Giovanni De Paolis è
condannato alla pena capitale, alla perdita dei diritti politici, della potestà
patria e maritale ed alla interdizione legale. E' condannato, inoltre, alla
riparazione del danno verso le parti lese ed alle spese del provvedimento
a favore dell’Erario dello Stato.
- E’ di pessima indole e condotta .
- Durante l’interrogatorio nega di possedere un lungo coltello da macellaio
ed uno piccolo che porta in tasca. Nega anche di aver attentato all’onore
di sua cognata Margherita Buontempo e di aver minacciato di vita i suoi genitori
che cercavano di difenderla.
Verbale per visita e descrizione di località :
Si è accertato “che nella strada detta Concia nel Comune di Paganica,
a man destra di chi viene, muovendo dalla via della Pretura, vi esiste un
arco che immette in un cortile. Dirimpetto a detto arco, in fondo del cortile,
trovasi la porta dell’abitazione di Bernardino De Paolis, padre dell’imputato,
ed in prossimità di essa dei grossi macigni ad uso sedili. In linea
diagonale all’arco mentovato, trovasi la porta della stalla, priva
di serratura. La medesima riceve luce ben fioca da una piccola finestra.
Sulla soglia della porta d’ingresso di detta stalla si scorgono delle
macchie di sangue, sull’interno, a man sinistra di chi entra vi si
vede una larga pozza di sangue, unita a terra e sterco”.
Verbale di visita, descrizione, ricognizione e perizia di cadavere
Dal documento si evince che le ferite ritrovate nei cadaveri di Scortini Antonio
e Proietti Paolo sono lunghe circa 5 centimetri e sono state prodotte
da un’unica arma, pungente e tagliente. In entrambi esse sono state
causa di emorragia e di morte, immediata per il primo.
Esame dei testimoni
I testimoni del discarico fatti citare a spese dell’Erario (Galizio
Carolina detta “vaghe di pepe”, anni 63, contadina nata e domiciliata
in Paganica, Luigi Di Cesaris detto “bepiscino”, venditore di
vino e Giuseppe Rossi, anni 22, contadino e venditore di vino) dichiarano
che l’accusato, prima dell’avvenimento, era eccessivamente “ubbriaco”,
avendo egli trascorso le ore mattutine bevendo “molto vino e di varie
qualità” nella taverna di Giuseppe Rossi.
I numerosi testimoni del carico (sono 13) dichiarano che l’imputato,
armato di un coltello a manico fisso, da beccaio (lungo 21 centimetri), dopo
l’arresto del fratello avvenuto l’11 Giugno decorso, “attentava
continuamente ed in tutti i modi all’onore della cognata, in qualsiasi
sito, con pubblico scandalo e disordine nella famiglia”. Minaccia di
vita la cognata “che non cede alle turpi sue brame ” ed i suoi
genitori.
Una di loro, Rachele Moro, anni 30, contadina nata e domiciliata in Paganica,
dice di aver visto Giovanni De Paolis nel proprio fondo, col coltello e la
camicia insanguinati, nel mentre esclamava “ho fatto ciccia fresca”,
volendo intendere di aver ammazzato qualcuno.
Fs. N. 1194
Atti relativi alla causa a carico di:
- Colasanti Carlo di Antonio, anni 21, contadino di Piedimozza (Castel S.Angelo,
Rieti);
- Pompili Arcangelo di Luigi, anni 26, contadino di Ponte;
- Purini Antonio di Giovanni, anni 23, contadino di Ponte;
Imputati di omicidio volontario (avvenuto il 7 marzo 1880 nella cantina di
Domenico Gregori) fatto con coltello non distinto in persona di:
- Gregori Angelo (…), anni 25, contadino di Ponte.
Compendio
“Nelle ore pomeridiane del 7 marzo andante anno, nella cucina della
casa abitata da Domenico Gregori fu Andrea in Ponte di Sopra (Frazione del
Comune di Castel S.Angelo) nella quale cucina il Domenico fa vendere il proprio
vino giocarono a spara-coccia più litri i nominati Angelo Gregori,
germano del padrone di casa, Carlo Colasanti, Arcangelo Pompili, Antonio
Purini e Giuseppe D’Antoni. Nel giuoco sursero quistioni tra il Gregori
e il Colasanti per irregolarità nella distribuzione delle carte, ma
furono sedate. La perdita uscì quasi equiparata. Giuseppe D’Antoni
andò via e rimasero gli altri quattro in detto locale. Sul tanto e
quanto da pagarsi dal Gregori e dal Colasanti si ripresero quistioni. Si
alterarono. Il Gregori prese la porta della casa. Cotesta mossa non piacque
ad Arcangelo Pompili (…). All’osservazione del Pompili, Colasanti
rispose che neppure a lui piaceva l’uscita del Gregori. (…)
Il Gregori ed il Colasanti s’impennarono. Il primo alzò una
sedia. (…) All’alzata della sedia cadde una pertica che stava
sospesa al soffitto ed una estremità andò in una tasca del
Purini, per lo che costui rimase impicciato. Arcangelo Pompili si frappose
tra i rissanti, cercando di mantenere Gregori che vedeva inchinato a menare
a detto suo avversario. Mentre Purini si spastoiava dalla pertica, cavato
di tasca un coltello non distinto, colpì più volte Angelo Gregori.
Appena ricevuti i colpi, il sangue del Gregori incominciò grosso a
correre. Il feritore e gli altri due si allontanarono. L’offeso andò
loro debolmente appresso, ma giunto solo fuori la porta di detta cucina cadde
spossato sopra un mucchio di sassi allagandolo col sangue che scaturiva dalle
ferite. Corse gente e tolsero l’infelice da quel luogo, adagiandolo
in mezzo la ripetuta cucina. Non potè profferire che qualche incompleta
parola e di vago senso. Ben poco ne scorse e spirò!”
Notizie sull’imputato Colasanti Carlo:
- E’ celibe.
- E’ impossidente .
- Sa leggere e scrivere.
- Non ha assolto il servizio militare.
- E’ di condotta cattiva .
- E’ stato già condannato a due anni di carcere per furto. In
seguito all’omicidio qui trattato viene condannato alla pena della
reclusione per anni nove.
- La sera del delitto indossa “una giacca alla contadina di questa vallata,
di panno di lana fatto in casa di colore blù scuro, foderata di grosso
panno di canapa bianco: detta giacca è usata. All’interno della
tasca esterna vi è un pezzo di tufo scuro per arruotare strumenti di
campagna, una borsetta di lana per tabacco. La giacca medesima ha molte macchie
di sangue specialmente alle braccia. (…) Un cappello di lana colo nero
ad uso dei contadini del luogo, orlato di fettuccia nera, punteggiata, mancante
della fodera. Questo cappello è molto usato, sporco e macchiato per
l’uso: appartenere deve a persona di non piccola età”.
- Durante l’interrogatorio dice di non ricordare nulla perché
“ubbriaco” nella sera del fatto. Dichiara che le questioni con
Gregori sorsero a motivo del giuoco stesso ed anche per antecedenti “rancori
per gelosia di donne”. Dice di aver agito nell’ira.
Notizie sull’imputato Pompili Arcangelo:
- E’ celibe.
- E’ illetterato.
- Non soldato
- E’ un piccolo possidente.
- Ha serbato sempre ottima condotta .
Notizie sull’imputato Purini Antonio:
- E’ celibe.
- Sa leggere e scrivere.
- E’ militare in congedo illimitato.
- E’ impossidente.
- Ha serbato sempre ottima condotta .
Interrogati, Pompili Arcangelo e Purini Antonio dichiarano che il Gregori è stato ucciso dal Colasanti con un coltello non distinto nelle fattezze. Ad entrambi viene concessa la libertà provvisoria.
Verbale di visita, descrizione, ricognizione e perizia di cadavere
Dal documento si evidenzia che le tre ferite ritrovate nel cadavere
riguardano la regione sotto scapolare. In seguito all’autopsia i periti
notano che esse sono state prodotte da strumento di punto e taglio. Una di
esse ha provocato l’emorragia arteriosa, causa di morte dopo circa
15 minuti dal ferimento, mentre le rimanenti , non essendo pericolose di
vita per loro natura, avrebbero comportato solo malattia ed impedimento al
lavoro per otto giorni.
Esame dei testimoni
I testimoni del discarico (per le cui spese il Colasanti chiede l’ammissione
del beneficio dei poveri) degli imputati dichiarano a proposito delle quistioni
nel giuoco e della loro ubbriachezza. Tuttavia ritengono costoro uomini di
buona condotta ed incapaci di cattiva azione.
Le testimonianze del carico riguardano soprattutto la rissa avvenuta nella
cucina del germano dell’ucciso. In particolare, Annunziata Colasanti,
anni 38, cognata dell’estinto dice di aver visto delle sedie alzate
per aria e di aver sentito il Pompili profferire “per la madonna”.
Altri testimoni raccontano di aver sentito un parapiglia ed un rumore di
sedie, oltre che piangere e strillare più persone. Dichiarano altresì
di aver visto per terra il Gregori “che stava in un lago di sangue
e quasi privo di vista”. Al fine di salvare quest’ultimo il testimone
Angelantonio Bersiti, anni 36, contadino di Ponte, partì per andare
a chiamare il medico del Comune in Castel S.Angelo, ma ritornato all’incirca
dopo tre ore, trovò detto Gregori già cadavere.
Fs. N. 1195
Atti relativi alla causa a carico di:
- De Vecchis Pietro fu Gianfelice, anni 25, muratore di Paganica (Aquila);
- De Cecchis Achille di Tommaso, anni 36, mugnaio di Camarda (Aquila);
- Ferella Andrea di Gaspare, anni 29, muratore di Paganica (Aquila);
Imputati di furto qualificato pel mezzo (falsa chiave) e pel luogo (stalla)
di vacca del valore di £ 100 in pregiudizio di:
- Bernardino Olivieri fu Girolamo, anni 80, contadino di Camarda.
Compendio
“Nella notte tra il 29 e il 30 dicembre 1879 venne rubata nella stalla
di Bernardino una vacca del valore di £ 100 e di due galline. Dalle
indagini giunte a mezzo della pubblica sicurezza e quindi dall’Autorità
giudiziaria si venne a liquidare che Achille De Cecchis di Camarda con Pietro
de Vecchis e Ferella Andrea rubava la suddetta vacca menandola in Paganica
per poi venderla in Aquila a Olimpio Antonetti, beccaio, pel prezzo di £
68.
De Vecchis e Ferella non negano aver ricevuta la vacca nella notte in Paganica
dal De Cecchis”.
La moglie del derubato, Carolina Olivieri, contadina di anni 27, dichiara
che nella notte tra il 29 e il 30 dicembre, ignoti ladri hanno aperto con
chiave falsa la porta di casa sua ed hanno rubato una vacca del valore di
ducati 34.
Notizie sull’imputato De Vecchis Pietro:
- E’ illetterato.
- Interrogato, dice di conoscere Achille De Cecchis che frequenta la sua
casa perché “in amori con la sua germana”. Una sera, vicino
al focolare, parla con quest’ultimo della vacca da rubare. Insieme
propongono al beccaio di acquistarla.
- Viene condannato, in seguito a questo furto, a 3 anni di carcere, in quanto
colpevole di aver assistito l’autore del reato nel preparare e facilitare
quest’ultimo.
- E’ di condotta non riprovevole .
Notizie sull’imputato De Cecchis Achille:
- E’ scapolo.
- Sa leggere e scrivere.
- Non soldato.
- Dice che la notte del furto dormiva a casa e ospitava Ferdinando Baglione,
suo amico.
- E’ già stato condannato a 10 anni di lavori forzati per mancato
omicidio. In seguito a questo furto, di cui è stato ritenuto l’unico
colpevole, viene invece condannato a 3 anni di carcere, in quanto colpevole
di aver assistito l’autore del reato nel preparare e facilitare quest’ultimo.
- E’ di condotta mediocre .
- Ha una quasi incalcolabile possidenza .
- Interrogato, dice di conoscere Achille De Cecchis che frequenta la sua
casa perché “in amori con la sua germana”. Una sera, vicino
al focolare, parla con quest’ultimo della vacca da rubare. Insieme
propongono al beccaio di acquistarla facendogli credere che è di loro
proprietà.
Notizie sull’imputato Ferella Andrea
- E’ scapolo.
- E’ illetterato.
- E’ in servizio militare di seconda categoria.
- Non è stato mai catturato né processato. In seguito al furto
qui nominato viene condannato a 3 anni di carcere.
- E’ di buona condotta .
- Durante l’interrogatorio dice di ignorare la provenienza furtiva dell’animale.
Verbale di descrizione dell’oggetto del furto
La vacca (chiamata anche vaccina), di anni 5 o 6, ha il manto color acquamarina,
ha un corno lungo ed un altro più corto. Lavora nei campi.
Verbale per visita e descrizione di località
Viene qui descritto il luogo del furto, ovvero la stalla di Bernardino Olivieri
sita in via Grottella dell’abitato di Camarda. Essa è sottoposta
al piano abitato da Maria Domenica Alloggia. Vi si accede attraverso una porta
a due imposta alta un metro e settantacinque centimetri, larga un metro e
trenta centimetri. L’interno della stalla non ha alcuna comunicazione
con altre dipendenze. Presenta, lateralmente le mangiatoie per animali. “Questo
locale è proprio ad uso di stalla per animali vaccini ed equini”.
Esame dei testimoni
I testimoni si limitano a descrivere la vacca portata a “cavezza”
dai due imputati e venduta la mattina del 30 Dicembre fuori porta S. Antonio.
I venditori destano sospetto, soprattutto al beccaio al quale è proposto
di acquistare la vacca. Quest’ultimo dichiara di essersi recato, assieme
al De Vecchis e al Ferella, presso l’ufficio del Dazio in piazza Grande,
dove all’Ispettore viene chiesta la bolletta per il dazio di una vacca
che questi due ultimi stavano per vendere. In tale occasione il beccaio confessa
di avere dei sospetti sull’acquisto di quella vacca che riteneva essere
di provenienza furtiva. La proposta di vendita è rivolta anche a Domenico
Biondi di Gesualdo, anni 32, negoziante di maiali.
Fs. N. 1196
Atti relativi alla causa a carico di:
- Papola Giovanni di Valentino, anni 22, contadino di Aquila, accusato di
ferimento volontario (per impulso di brutale malvagità) con malattia
certamente insanabile in persona di:
- Di Marco Gaetano, aani 24, contadino di Aquila
e di ferimento volontario con pericolo di vita ed impedimento al lavoro per
oltre 30 giorni in persona di
- Laglia Angelo, anni 29, fornaio di Aquila.
Compendio
“La sera del 28 Dicembre 1879 in Aquila (contrada Cappuccini), Giovanni
Papola, dopo aver giuocato e bevuto con li cognati Laglia Angelo e Di Marco
Gaetano ed altri nella cantina Marchegiani, senza che tra loro fosse avvenuto
alterco e causa di dispiacere qualsiasi, ad un tratto appena sortiti dall’osteria
Papola imbrandì un coltello, si avventò i detti Laglia e Di
Marco e li ferì entrambi cagionando a questo una lesione all’addome
con pericolo di vita e malattia che fu giudicata insanabile; ed a quello una
lesione alla regione dorsale con pericolo di vita ed impedimento al lavoro
per oltre 30 giorni. (…). E’ vero che tutti avevano bevuto ed
il Papola era un po’ brillo; ma non risulta per nulla che egli fosse
ubbriaco, in modo da non sapere ciò che facesse; doppodichè
sortì con gli altri tranquillamente dall’osteria; e con li suoi
atti ben dimostrò di sapere ciò che voleva fare. D’altronde
la sua pessima indole, (…) al reato di sangue e la ferocia dello assalto
e la gravità delle ferite non possono in alcun modo consigliare la
mitezza a suo favore”.
Durante l’interrogatorio Gaetano Di Marco afferma che il motivo della
questione sta nel fatto che il Papola “profittò di una carta”
e, scoperto, stava per lanciargli contro una bottiglia di vino.
Angelo Laglia dice: “Ricordo che nel mezzo del passato anno quando io
smerciavo vino al minuto soleva il Papola frequentare il mio locale e spesso
ubbriaco cercava prommovere briglie con gli avventori. In una volta mi vidi
nella necessità di rimproverarlo e farlo uscir fuori giacchè
egli aveva osato impugnare un coltello”.
Notizie sull’imputato Papola Giovanni:
- E’ scapolo.
- Non sa leggere e scrivere.
- E’ impossidente .
- Durante l’interrogatorio afferma che “in quella sera era stato
con loro in buona armonia nella cantina Marchegiani posta fuori città
(in campagna, fuori Collemaggio) per bere un bicchiere di vino”, assieme
ad altre dodici persone di Aquila. “Ci siamo messi a giuocare la morra
fino alle ore nove e poi, tutti insieme, partimmo per andare a riposare”,
dichiara il Papola. Nega sia di aver ferito Laglia e Di Marco che di “aver
quistionato” con loro nell’Agosto del passato anno.
Processo verbale dei Reali Carabinieri
Il brigadiere dice di essere venuto a conoscenza dell’accaduto dalla
voce pubblica. Afferma che il diverbio tra i citati è avvenuto per
“Questione insorta nel giuoco del vino alla passatella. Risentitosi
il primo appiattavasi in quelle vicinanze attendendo che il Laglia e il De
Marco vi transitassero per recarsi alle loro abitazioni. Questi vennero assaliti
dal Papola che con diversi colpi di pugnali produceva al Laglia una ferita
alla spina dorsale ed un’altra al braccio destro, ed al Di Marco una
ferita all’inguine sinistro”.
Verbale di visita di ferito
Gaetano Di Marco presenta tre ferite gravi: quella al braccio porta impedimento
al lavoro per 60 giorni, mentre le altre sono pericolose di vita.
Angelo Laglia presenta due ferite, una nel braccio destro, l’altra nella
regione dorsale.
Esame dei testimoni
Le testimonianze più interessanti sono quelle rilasciate da coloro
che, la sera del fatto, si trovano nella cantina nominata ed assistono al
ferimento.
Beniamino Stagnini, anni 28, contadino di Aquila, dichiara: “Tutti uniti
giuocammo alla cosidetta passatella ma però gli olmi nella distribuzione
del vino non vi furono perché il Papola bevve sempre (…) il
Papola impugnò un coltello con lama lunga e feriva entrambi i cognati
con ripetuti colpi (…)”. Un altro testimone afferma: “in
quella sera si era giuocato in buona armonia” e “il Papola aveva
sempre bevuto, senza avere occasione qualsiasi di irritarsi, non aveva dimostrato
alcun’ombra di inimicizia; onde tutti restarono meravigliati, né
seppero trovare la ragione di quell’improvviso e feroce assalto”.
Anche altri testimoni ammettono di aver bevuto e di aver cantato per la via
di Collemaggio, di essere “tutti brilli” nel momento in cui il
Papola aggrediva i cognati.
Fs. N. 1197
Atti relativi alla causa a carico di:
- Scipione Vincenzo di Luca, anni 40, di Bussi sul Tirino (Pescara) , accusato
di grassazione accompagnata da omicidio (nella sera dell’8 Maggio 1880
a Bussi ) a danno di:
-Di Luzio Vincenzo del fu Donato, anni 44,fornaio.
Compendio
“Nel mattino del 4 Maggio 1880 Vincenzo Scipione di Bussi e Rosario
Di Luzio (…) partirono da Roccapalumba in cui erano stati a lavorare
per far ritorno nelle rispettive loro patrie, s’imbarcarono in Palermo
sul vapore Galileo, giunsero a Napoli nel mattino del 5 e poscia proseguirono
il cammino a piedi percorrendo la via Caianiello, Barcaraio, Solmona, Popoli,
nel quale ultimo paese giunsero nelle ore pomeridiane del giorno 8 Maggio
fermandosi a bere e a mangiare del pane nell’osteria di un tale Giuseppe
Di Gregorio. Usciti dalla medesima il Di Luzio si avviò verso la Stazione
di Bussi e lo Scipione si fermò ancora in Popoli raggiungendo più
tardi il compagno che era cola’ ad attenderlo, ritirò la bisaccia
del peso di chili 18, che spedita aveva da Napoli, la divise col Di Luzio,
si soffermarono a dormire al di sotto di un albero, nelle vicinanze della
stessa Stazione e poscia sull’imbrunire proseguirono il cammino per
Bussi battendo non la via rotabile, sibbene il sentiero che costeggia il
fiume Tirino nel quale s’introdussero scendendo dal ponte di ferro
messo sul fiume suddetto. Alla distanza di 150 metri e più dal ponte
indicato e propriamente nella contrada Chiusella, lo Scipione percosse con
un bastone sul capo il Di Luzio, lo ferì gravemente, lo derubò
del denaro che portava qual frutto dei suoi risparmi e poscia lo gittò
semivivo nel fiume allo scopo di disperderne le tracce, ma dopo ben 11 giorni
fu rinvenuto il cadavere al di sotto del ripetuto ponte. Procedutosi alla
identità del cadavere del Di Luzio e saputosi che questi aveva avuto
a compagno di viaggio lo Scipione, uomo di pessima condotta e pregiudicato
per furti, quest’ultimo fu tratto in arresto”.
Il viaggio in ferrovia compiuto dallo Scipione e dal Di Luzio (per percorrere
Napoli – Caianiello – Solmona – Popoli – Bussi) costa
£ 24.
Per ritiro della bisaccia , presso la Stazione ferroviaria, bisogna pagare
£ 2,50.
La nominata bisaccia di tela del Di Luzio contiene : 3 camicie di tela
di canapa, 2 paia di calzoni, 1 foderetta, 4 paia di calze (di cui 2 di lana
nera e 1 di cotone color turchino), 2 maglie di lana, 1 pala di ferro (acquistata
dall’impresa per £ 2 ), rasoi e forbici.
Notizie sull’imputato Scipione Vincenzo:
- E’ di pessima condotta, “è di professione camorrista
e vive col furto e la camorra” .
- E’ segnato nei registri penali della Pretura di Capestrano per le
seguenti condanne: percosse che cagionano malattia ed incapacità al
lavoro a due persone, tentato furto, porto abusivo di armi, danno forestale
del valore di £ 29 in pregiudizio del bosco del Comune di Bussi.
- Nei giorni successivi al delitto, nel mentre “si complimenta di un
bicchierino di liquore in un Caffè” di Bussi, vende i panni
appartenenti al Di Luzio, fingendoli di un suo fratello cugino.
- Durante i quattro interrogatori dice di esser stato in Sicilia (ove erano
lavori di ferrovia in costruzione) dal 25 Febbraio al 3 maggio, di aver viaggiato
in compagnia del Di Luzio e ammette anche di aver mangiato insieme
a lui del pane e baccalà pagato dal Di Luzio 9 soldi. Parla dell’insistenza
con cui quest’ultimo chiede indietro il denaro speso all’osteria
ed, infine, della lite sorta fra loro a causa di questo prestito, seguita
da percosse e finita con la caduta del Di Luzio nel fiume Tirino.
Verbale per visita e descrizione di località
“Lungo il sentiero percorso dallo Scipione e propriamente nella contrada
Chiusella, furono rinvenute macchie di sangue ed una scatoletta di latta.
(…) La distanza intercedente tra le medesime e il limite del fiume
è di metri 3, tra le stesse macchie e il punto ove fu rinvenuta la
scatoletta è di metri 4 (…).
Verbale di visita, descrizione, ricognizione e perizia di cadavere
I periti sanitari giudicano la morte del Di Luzio verificatasi per sommersione
a corpo vivo. “La ferita sulla gobba frontale avveniva per percossa
inferta da mano ostile anteriormente al sommergimento; (…)
era grave e pericolosa di vita per sua natura. Il Di Luzio, al momento della
morte, “veste la foggia di contadino abruzzese, giacca di tela e cotone
di color bigio, calzoni lunghi di panno lana casereccia di color tabacco
e camicia di tela canapa”.
Verbale di visita domiciliare e perquisizione
Il Pretore del mandamento di Capestrano perquisisce la casa e la stalla
dell’imputato Scipione Vincenzo. Vengono sequestrati: 1 mantello appartenente
al Di Luzio, il congedo dal servizio militare , in comprova della condotta
serbata dallo Scipione sotto le armi.
Esame dei testimoni
I testimoni “conterrieri” depongono che Vincenzo Scipione, tornato
a casa, invita la moglie a mangiare e a stare allegramente . Promette a quest’ultima
di comprare, in occasione della fiera, vesti nuove per le loro figlie; non
rivela, però, la provenienza del denaro, perché “non
tutte le cose si possono dire alle donne”. E’ interessante la
testimonianza del Sindaco di Bussi, il quale afferma: “lo Scipione
è stato sempre uomo di pessima condotta, dedito ai reati contro la
proprietà, capacissimo a delinquere”. Lo stesso dice che lo
Scipione, lontano da casa per lavoro, scrive lettere ad alcune donne
del suo stesso paese, usando il nome dei loro rispettivi mariti e chiedendo
del denaro per le spese di guarigione e di ritorno a casa. Da un’altra
testimonianza si evince che lo Scipione avrebbe fatto “pochi affari
perché il pane andava molto caro colà” e per questo durante
i suoi cinque mesi di assenza ha mandato alla moglie soltanto £ 40,
mentre gli altri compaesani avrebbero mandato alle rispettive famiglie la
somma di circa £ 100.
I testimoni addetti alla Stazione di Bussi e i contadini che lavorano
la terra nei pressi del luogo del delitto dichiarano di aver visto Scipione
e Di Luzio ritirare la bisaccia, mangiare e bere nell’osteria
e camminare lungo il sentiero della contrada Chiusella verso un’ora
di notte.
Altrettanto interessanti sono le testimonianze rilasciate da coloro che lavorano
nelle ferrovie di Roccapalumbo, alcuni compaesani dello Scipione e del Di
Luzio. In particolare, il caporale delle giornate, depone di aver accolto
questi ultimi (arrivati in Sicilia più tardi, senza lavoro e privi
di denaro) e di averli associati alla sua compagnia. Dice, inoltre, che lo
Scipione si mostrò molto dedito ai vizi e massimamente al vino e al
gioco, “contraeva debiti consumando quello che lavorava e vincolando
mese per mese la sua mesata”.
Altri testimoni affermano che, a differenza dello Scipione, il Di Luzio
è molto preso dal desiderio di voler far ritorno al suo paese per
badare alla sua numerosa famiglia (alla quale invia £ 120) e per acquistare
un po’ di grano per poter ricominciare il suo mestiere di fornaio e
vendere il pane al minuto.
Fs. N. 1198
Atti relativi alla causa a carico di:
-Di Marco Teodoro fu Massimiliano, anni 56, maccaronaio, nato in Caramanico
(Chieti) e domiciliato in Aquila.
-Circi Lucrezia fu Giuseppe, anni 50, donna di casa, di Aquila.
imputati di furto qualificato pel mezzo e pel valore (avvenuto in Aquila,
via Accomi, nella notte dal 25 al 26 Dicembre 1879) in pregiudizio di:
-Domenico Cianfarano, detto “Girella”, anni 40, maccaronaio di
Aquila.
Compendio
“Per la via Acconci le guardie hanno arrestato Di Marco Teodoro che
scappava dalla bottega del maccaronaio Cianfarano Domenico. Ricondottolo nella
bottega vi hanno trovato anche la moglie Circi Lucrezia, nel mentre accomodava
nel suo grembiale alcuni generi che aveva rubati al Cianfarani.
Sopraggiunto il derubato ed esaminato il locale, si sono accorti che il cassetto
del bancone era stato sfondato e dal medesimo rubati £ 350 in bronzo
e circa £ 100 in biglietti di banca e degli orecchini in oro, oltre
che la sugna, tre galli o caponi, due interiori di maiale e pochi maccheroni.
Arrestata anche la donna (…)”.
Tale furto è stato “perpetrato mediante chiave adulterina”.
Domenico Cianfarano dichiara di essere stato derubato di 70 cartocci contenenti
ognuno £ 5 in bronzo ed un portafoglio di pelle rossa con circa £
100, una scatoletta con 5 paia di orecchini ed infine della carne di maiale,
tre caponi, dei maccheroni e 5 sacchi per fior di farina. Tali oggetti vengono
successivamente rinvenuti e sequestrati nella casa del Di Marco e nella persona
di Circi Lucrezia . Lo stesso Domenico Cianfarano domanda: “Volersi
benignare ad ordinare che i valori suddetti gli vengano riconsegnati in quanto
trovasi carico di figli e nello stato di doversi mettere come garzone per
campare stentatamente la vita”.
L’ufficio di pubblica sicurezza ritiene che i complici dei coniugi Di
Marco siano:
- Silvestri Filippo fu Nicola, anni 47, fornaio di Aquila.
- Filieri Gianbattista di Giacinto, anni 33, sarto di Barisciano (Aquila).
- Monacelli Luigi di Antonio, anni 38, locandiere di Castel Subequo (Aquila).
Notizie sull’imputato Di Marco Teodoro:
- Non sa leggere e scrivere.
- E’ impossidente .
- E’ stato già condannato per furto qualificato a 25 anni di
lavori forzati. In seguito al furto in questione viene ora condannato alla
pena di 15 anni di lavori forzati ed è soggetto alla pena della sorveglianza
speciale per 5 anni, condannato al ristoro del danno verso la parte lesa
e alle spese del procedimento a favore dell’Erario dello Stato.
- Durante l’interrogatorio dichiara di essere uscito di casa durante
la notte del 26 Dicembre per andare a comprare un soldo di caffè e
di aver trovato aperta la bottega del Girella. La fame lo ha spinto a rubare.
Dice di aver tagliato il lardo con un rasoio trovato sul tavolo della bottega.
Notizie sull’imputato Circi Lucrezia:
- Non sa leggere e scrivere.
- Dice di essere stata già condannata per omicidio volontario. In
seguito al furto in questione viene ora condannata alla pena di 10 anni di
lavori forzati ed è soggetta alla pena della sorveglianza speciale
per 5 anni, condannata al ristoro del danno verso la parte lesa e alle spese
del procedimento a favore dell’Erario dello Stato.
- Durante l’interrogatorio dichiara di essere uscita di casa durante
la notte del 26 Dicembre per andare a comprare un soldo di caffè (per
curare sua madre dai dolori di pancia) nel Caffè detto del Calderaio
posto ai piedi della piazza. Dice di aver rubato per fare uno scherzo al
Girella, suo amico. Inoltre, dichiara che i soldi che le sono stati sequestrati
sono frutti dei suoi risparmi che ella era solita “portare sempre avvolti
in un fazzoletto”.
Esame dei testimoni
I testimoni citati confermano che Domenico Cianfarano era solito depositare
nel tiretto della sua bottega i quattrini che introitava giornalmente dalla
vendita dei maccheroni oltre che gli orecchini d’oro posseduti dalla
moglie. Dichiarano ancora dell’esistenza, nella stanza attigua alla
bottega, di un maiale ucciso e di proprietà dal Cianfarano. Degli
accusati e dei loro complici si dice che sono dediti al vino, non amanti
della fatica e amanti, invece, del divertimento con gli amici. A tal proposito,
un testimone afferma di aver visto, proprio nella sera antecedente il furto,
Teodoro Di Marco e Lucrezia Circi recarsi nella casa di Filippo Silvestri
per bere, dinanzi al focolare, un litro di vino appena comperato.
Fs. N. 1199
Atti relativi alla causa a carico di:
- Giuliani Nicola di Tommasantonio, anni 33, contadino di Torano, accusato
di assassinio per premeditazione in persona di:
- Anna Rubina Amicuzzi, di Spedino.
e di ferimento volontario (avvenuto la sera del 14 aprile 1879 in Spedino
frazione di Borgocollefegato (Rieti)) portante malattia ed impedimento al
lavoro per più di 5 giorni e meno di 30 in persona di:
- Antonia Santucci (madre della prima), anni 61, proprietaria nata e domiciliata
in Spedino.
Compendio
“Nicola Giuliani amoreggiava con Anna Rubina Amicuzzi. Credendo che
costei gli avesse rotto fede per dare la mano ad altro fidanzato sentì
invadersi l’animo da forte gelosia e nel 14 aprile ultimo, mangiò,
bevve e i due sposi tennero colloquio amoroso. Mentre scambievolmente si congedavano
(…) senza che un alterco qualsiasi, una parola o un provocamento avesse
luogo, anzi in piena pace apparente e dopo aver conversato per più
ore in famiglia col la sua amata, il feroce Giuliani, nell’atto di
licenziarsi con contegno calmo e col sorriso sulle labbra, fingendo di voler
dire un’ultima parola alla sua amante la richiamò e la uccise
con due colpi di coltello (…) non contento di ciò, alla povera
madre di lei che accorreva alla strage irrogò pure quattro ferite
che furono lievi perché guaritesi in dieci giorni”.
Prima del delitto il Giuliani offende la sua amata definendola “porca”.
Notizie sull’imputato Giuliani Nicola:
- E’ celibe.
- E’ impossidente.
- Si definisce trafficante di vino, liquori e grano. Durante l’interrogatorio
dichiara anche di essere dedito al vino e di “ubbriacarsi” ogni
otto giorni.
- E’ stato già condannato ad un anno di carcere per ferimento
ed omicidio volontario . Dopo il delitto in questione si rende latitante per
sedici mesi per poi essere arrestato nel mentre si presentava spontaneamente
ai Reali Carabinieri. In seguito a ciò viene condannato alla pena di
lavori forzati a vita, alla interdizione legale con la perdita dei diritti
politici della patria potestà e maritale, nonché alla riparazione
dei danni verso gli eredi dell’estinta e alle spese del procedimento
a favore dell’Erario dello Stato.
- Amoreggia con Anna Rubina da più di un anno e manifesta di essere
seriamente geloso della medesima. Sospetta che ella amoreggiasse con altri.
Tuttavia, ogni dieci giorni si reca presso la famiglia di lei per conto della
quale acquistava nelle fiere quanto potesse loro occorrere. Da circa un anno
aveva stabilito con Anna Rubina “una comunanza di interessi” e,
spesso, progettavano il loro matrimonio, motivo di litigio anche nelle ore
precedenti il delitto, quando l’amata riconsegnò al Giuliani
gli oggetti da lui ricevuti in dono (7 fazzoletti, 5 lire di bronzo ed un
coltello a molla fissa). Con questo atto Anna Rubina rinuncia al matrimonio,
facendo aumentare ulteriormente la gelosia e l’ira del Giuliani.
- La sera del delitto il Giuliani indossa un cappello (di lana color nero,
con un nastro largo circa “due dita”, doppiamente trapuntato,
con fodera bianca interna) che, durante il feroce atto, cade a terra rimanendo
prova della sua presenza in casa dell’amata, oltre che della sua reità.
Verbale per visita, descrizione e perizia di cadavere
“Nella casa (…), propriamente nella cucina che trovasi a pian
terreno giace supina una giovane dell’apparente età di anni
23. Ella tiene gli occhi perfettamente chiusi, le mani conserte al petto
(…). Sulla persona di lei scorgovisi delle macchie di sangue che per
sovrabbondanza erasi riversatosi sul pavimento. (…) Due colpi di coltello
che le traforarono il polmone e la resero istantaneamente cadavere”.
Esame dei testimoni
I testimoni parlano della amata del Giuliani come colei che “mentre
lo lusingava” manteneva relazioni con un certo Pasquale D. Alcuni di
questi si recano nella cantina dell’ucciso e bevono con il Giuliani
che, quindi, prima dell’avvenimento era già “ubbriaco”
e discuteva animatamente con la famiglia di questa. Molti dei citati testimoniano
di aver sentito, a notte fonda, le urla della madre dell’estinta, di
aver appreso la notizia del delitto dalla voce pubblica e, successivamente,
di aver visto personalmente il cadavere.
Fs. N. 1200
Atti relativi alla causa a carico di:
- Chinzari Luigi di Antonio, anni 27, contadino di Antrodoco;
- Cattani Antonio di Lorenzo, anni 18, contadino di Antrodoco;
Imputati di omicidio volontario (avvenuto il 29 Maggio 1880 sul Monte Giano)
a colpi di coltello in persona di:
- Ferretti Antonio, anni 26, garzone di Santopinto Paolo.
Compendio
Antonio Ferretti, la sera del 29 Maggio, stava cenando, vicino al fuoco, sul
Monte Giano assieme ad altri garzoni che stavano a guardia delle bestie. “Sopraggiunsero
Luigi Chinzari e Antonio Cattani cantarellando canzoni frizzanti”.
Sorsero delle quistioni fra gli arrivati ed i presenti. Chinzari disturbò
i primi che “trattavano quelli (Chinzari e Cattani) da ragazzi e da
gente da nulla”. Cattani, da spavaldo, minaccia di precipitare i presenti
giù per i burroni. La briga si riaccende quando tutti hanno i coltelli
in mano per cenare. Cattani disse al Ferretti di farsi avanti e, alzatosi
in piedi, questi si avventò vibrandogli un forte colpo di coltello
alla tempia sinistra. Allora entrambi si colluttarono cadendo Cattani sotto
e Ferretti sopra. Ferretti, ferito, chiede aiuto dicendo “compagni,
aiutatemi. Madonna, aiutami”. A tal motto Chinzari si lanciò
contro Ferretti e gli vibrò due colpi di coltello alla schiena. “Indi
a poco Ferretti cessò di vivere ”.
Notizie sull’imputato Chinzari Luigi:
- Non ha soprannome.
- Unitamente al fratello Domenico figura inscritto nel Catasto Terreni del
Comune di Antrodoco per la rendita di £ 24,26 su cui gravita, nel corrente
anno, un tributo fondiario di £ 11,11. Non risulta inscritto nel catasto
fabbricati né nei registri dei possessori di redditi mobiliari del
Comune suddetto.
- E’ coniugato con prole.
- Sa leggere e scrivere.
- E’ stato altre volte condannato e carcerato per porto d’armi
e ferimento.
- Durante l’interrogatorio dice di essere stato, insieme ad Antonio
Cattani, sulla cima del Monte Giano per accudire il bestiame al pascolo nei
prati comunali. Dichiara di avervi incontrato dei compaesani (che cenavano
in vari gruppi) e di aver seduto vicino a loro. Dice di aver sentito Antonio
Ferretti rimproverare il Cattani per aver maltrattato con i piedi una sua
“coverta”. Afferma di aver difeso quest’ultimo che era
“ubbriaco” e di aver più volte discusso con i compagni
del Ferretti che “continuavano a minchionare”. Ricorda che,
nella sera del delitto, si trovava in stato di ebbrezza ed aveva in mano,
come gli altri, un coltello per tagliare del pane e di essersi difeso con
quest’ultimo dalle minacce avanzategli dal Ferretti.
Notizie sull’imputato Cattani Antonio:
- E’ celibe .
- E’ impossidente. Non figura inscritto né nei registri catastali
né in quelli dei possessori di redditi mobiliari del comune di Antrodoco.
- Poco sa leggere scrivere.
- Durante l’interrogatorio ricorda che, nel giorno del delitto, insieme
a tre compagni, aveva bevuto sei litri di vino e che, per tal motivo
, alla sera era in stato di “ubbriachezza”. Dice di essere stato
offeso dai suoi paesani e chiamato “scacchiato” e “fesso”.
In seguito a tale omicidio i due accusati vengono dapprima ammessi allo stato
di libertà provvisoria (con l’obbligo di prestare cauzione nella
somma di £ 300 per ciascuno e di non allontanarsi dalla residenza di
Aquila sotto pena del loro arresto e della perdita della cauzione) e, dopo,
condannati a 7 anni di carcere, oltre che alla riparazione del danno verso
la parte lesa e al pagamento delle spese processuali a favore dell’Erario
dello Stato.
Verbale di visita, descrizione, ricognizione e perizia del cadavere
I periti sanitari ritengono mortale la sola ferita al temporale. Le rimanenti
ferite sono dichiarate non pericolose di vita per la loro natura.
Esame dei testimoni
I testimoni citati ammettono lo stato di “ubbriachezza” nei due
accusati e ricordano di aver loro consigliato di tornare nelle loro case
piuttosto che salire sui prati del monte Giano.
Fs. N. 1201
Atti relativi alla causa a carico di:
- Deime Giuseppe fu Pietro, anni 42, nato in Salbertrano (Susa), assistenza
al 48° Distretto Militare di Aquila, accusato di mancato omicidio volontario
commesso con premeditazione ed agguato (avvenuto il 12 Luglio 1878 nel quartiere
di Santa Caterina in Aquila) in persona di:
- Tenente Domenico Borrelli.
Compendio
“Al Tenente Domenico Borrelli mancarono nove pulcini che la moglie teneva
in una stanza della casa posta nel quartiere di Santa Caterina. Egli, credendo
che qualche faina li avesse portati via, fece porre sul luogo una trappola.
Giuseppe Deime abitava nello stesso quartiere; ruminò nella sua mente
che i sospetti cadevano su di lui, nonostante il Tenente ben due volte gli
strinse la mano. La mattina del 12 Luglio, al Tenente, scendendo la gradinata
che dal piano superiore mena al terraneo, gli viene esploso un colpo di arma
da fuoco a bruciapelo dal Deime, posto in aguato dietro la parete fiancheggiante
la gradinata. Nove proiettili sfiorano la guancia del Tenente (…).
Deime tentò di fuggire, ma fu trattenuto e confessò di aver
tirato la fucilata al Tenente”.
Il proiettile (che effettivamente andò a conficcarsi a 5 cm di profondità
nel muro) sfiorò la guancia destra del Borrelli in maniera da procurargli
un visibile arrossamento e del bruciore “che venne ammorzato con lavande
di acqua fresca e di neve
Notizie sull’imputato Deime Giuseppe:
- Non ha moglie.
- Sa leggere e scrivere.
- E’ impossidente.
- Durante l’interrogatorio dichiara di aver tirato la fucilata al Tenente
poiché pensava che quest’ultimo lo sospettasse del furto dei
pulcini oltre che di galline e uova. Afferma, inoltre, di essere in possesso
da tempo della cartuccia usata. Dice di essersi sentito accusato (dal Tenente)
più volte di spia oltre che di furto anche in “luoghi ove si
mangia e si beve” e di aver sentito pronunciare in caserma frasi allusive
alla sua colpevolezza.
Perizia del fucile
Il fucile usato dal Deime è oggetto di perizia da parte del Capo Armaiuolo
del Distretto Militare. Costui dichiara: “Ha servito ad un recente
sparo per trovarsi ancora nella camera il bossolo metallico vuoto di polvere
e senza proiettile. (…). Ha una fettuccia, legata al grilletto, lunga
un mezzo metro circa (…). E’ del modello 1870 per fanteria.0
Esame dei testimoni
I testimoni si soffermano a descrivere il carattere del Deime che, nei giorni
precedenti il reato, era molto preoccupato e “fuori di sé tanto
che non rispondeva a tuono alle domande”. Lo reputano un uomo avente
“limitata intelligenza, facile ad adirarsi e ad ubbriacarsi bevendo
anche meno di un litro di vino. Esatto nel compimento dei suoi doveri come
assistente locale”. Secondo alcuni dei testimoni “quando era
ubbriaco se vedeva parlare suoi conoscenti con altri facilmente sospettava
che parlassero male di lui”.
Fs. N. 1202
Atti relativi alla causa a carico di:
- Luizi Carmine di Domenico, anni 39, oliandolo nato e domiciliato in Villa
S.Lucia (mandamento di Capestrano), accusato di crimine di uso doloso di
biglietti falsi consorziali da £ 2 avvenuto il 25 Aprile in Villa Macchia
(provincia di Teramo) a danno di Alessandro D’Amico ed altri di detto
luogo.
- Salvati Antonio fu Francesco, anni 39, oliandolo nato e domiciliato in
Villa S. Lucia (mandamento di Capestrano), accusato di uso doloso di
altri biglietti simili durante il mese di Maggio nel mandamento di
Montereale (provincia di Aquila) a danno di Francesco De Andreis ed altri.
Compendio
“La sera del 25 Aprile 1878 l’oliandolo Luizi Carmine si presentò
all’osteria di Carlo Mazzetto sita in tenimento di Fano Adriano (Teramo)
con l’intenzione di voler fare acquisto di capretti per rivenderli
in Aquila e presi i debiti concerti col Mazzetto il dì seguente si
recarono entrambi a Villa Macchia ove si sarebbe potuto agevolmente riuscire
allo acquisto di detti capretti. Di fatti Luizi comprò diversi capretti
e pelli da alcuni contadini di quel villaggio (…) e a tutti pagò
il prezzo in biglietti consorziali da lire due che poi furono riconosciuti
falsi (…). I Reali Carabinieri avendo raccolti quei biglietti in numero
di 15 li presentarono alla giustizia e sottoposti a perizia ne fu indubbiamente
accertata la falsità (…). Nel dì 8 Maggio Antonio Salvati
aveva comprato due capretti (…) pagando il prezzo con due biglietti
consorziali da £ 2 che vennero di poi riconosciuti falsi. Si attese
per qualche tempo che colui fosse ricomparso; e ciò avvenne la sera
del 21 Maggio; avvegnacchè fossero stati visti insieme i due oliandoli
Luizi e Salvati che spesero e consegnarono un altro biglietto simile
a Domenico Brunamonti; e nel mattino seguente pure ne consegnarono a Giuseppe
Crudele. Indi presero la via della montagna essendone stati avvertiti i Reali
Carabinieri (…), furono raggiunti in tenimento di Castel Paganica
, accortosi che erano pedinati uno di essi fu visto trarre di tasca un involto
e nasconderlo in una maceria. Raggiunti si mostrarono confusi e trepidanti;
vollero negare di aver speso biglietti falsi; ma uno degli interessati glielo
sostenne in viso e dà loro qualche bussa. Praticatosi poi una diligente
ricerca nella suddetta maceria, fu rinvenuto un involto contenente 17 biglietti
consorziali da £ 2 (…)”.
Notizie sull’accusato Luizi Carmine:
- Ha moglie e prole.
- Poco sa leggere e scrivere.
- Il suo soprannome è Carlino.
- Non è possidente.
- E’ stato già condannato alla pena di 3 anni di carcere per
titolo di ferimento susseguito da morte.
- Durante l’interrogatorio non ammette la falsità dei biglietti
adoperati per l’acquisto delle pelli e dei capretti.
Notizie sull’accusato Salvati Antonio:
- Ha moglie e prole.
- Non sa né leggere né scrivere.
- Il suo soprannome è Cicolane.
- E’ un piccolo possidente .
- Non ha alcuna condanna.
Esame dei testimoni
La maggior parte dei testimoni è costituita dai venditori di capretti
e pelli. Essi ricordano di aver visto, al momento dell’acquisto, il
portafogli del Luizi ricolmo di biglietti consorziali da £ 2
“che parevano belli e nuovi”. Ricordano con precisione il prezzo
pagato per ogni capretto (il costo di due capretti ed una pelle è
quasi sempre di circa di £ 8). E’ importante la testimonianza
di Beniamino Fioravante , prevosto di Villa Macchia, che è il primo
a sospettare della falsità delle carte consorziali ricevute e a recarsi
dai Reali Carabinieri per denunciare l’accaduto ed aprire le indagini
sulla loro provenienza.
Fs. N. Arma adoperata
1193 Coltello a manico
fisso detto “da beccaio” o “scannatoio”
1194 Coltello da tasca
1196 Coltello da tasca
1199 Coltello da tasca
1200 Coltello a molla fissa
1201 Fucile (modello 1870
per fanteria)
Mestieri
Fs. N. 1193:
Cancelliere della pretura (n.1).
Contadina (n.3).
Contadino (n.1).
Muratore e venditore di vino (n.1).
Rivenditore di generi di privativa (n.1).
Segretario comunale (n.1).
Fs. N. 1194:
Contadina (n.11).
Contadino(n.9).
Muratore (n.1).
Pastore (n.1).
Proprietario (n.5).
Fs. N. 1195:
Beccaio (n.1).
Bracciante (n.1).
Contadino (n.4).
Fornaio (n.1).
Garzone di fornaio (n.1).
Mugnaio (n.1).
Muratore (n.1).
Proprietario (n.2).
Ramaio (n.1).
Negoziante di maiali (n.1).
Fs. N. 1196:
Beccaio (n.1).
Bettoliere (n.1).
Contadino (n.4).
Fabbro ferraio (n.1).
Fornaio (n.1).
Scalpellino (n.1).
Tintore (n.1).
Fs. N. 1197:
Calzolaio (n.1).
Cantoniere della ferrovia (n.2).
Capo fermata (n.1).
Contadina (n.1).
Contadino (n.3).
Emigrante (n.8).
Pescatore di trote (n.1).
Proprietario (n.1).
Sacrestano (n.1).
Venditore di vino (n.1).
Fs. N. 1198:
Artigiana (n.3).
Avvocato (n.1).
Calzolaio (n.2).
Caffettiera (n.1).
Cappellaio (n.1).
Cocchiere (n.1).
Contadino (n.1).
Cucitrice (n.1).
Donna di casa (n.1).
Fabbro ferraio (n.1).
Fornaia (n.1).
Fornaio (n.1).
Locandiere (n.1).
Maccaronaio (n.3).
Proprietario (n.6).
Negoziante (n.1).
Sarto (n.1).
Fs. N. 1199:
Contadina (n.1).
Contadino (n.6).
Filatrice (n.1).
Mercante di vino, liquori e grano (n.1).
Parroco (n.1).Proprietaria (n.1).
Proprietario (n.4).
Fs. N. 1200:
Campagnolo (n.1).
Carrettiere (n.1).
Contadino (n.
Garzone (n.1).
Proprietario (n.2).
Segatore (n.2).
Fs. N. 1201:
Armaiuolo (n.1).
Assistente (n.1).
Capitano (n.1).
Capitano contabile (n.2).
Caporale (n.2).
Luogotenente (n.1).
Scrivano (n.2).
Soldato (n.3).
Tenente (n.1).
Tenente contabile (n.1).
Ufficiale pagatore (n.1).
Fs. N. 1202:
Bettoliere (n.1).
Contadino (n.7).
Filatrice (n.1).
Oliandolo (n.2).
Prevosto (n.1).
Oltre a questi mestieri sono sempre presenti, in ogni processo, quelli
di:
- Brigadiere dei Reali Carabinieri;
- Carabiniere;
- Guardia di Pubblica Sicurezza;
- Perito Sanitario;
- Medico.
Età degli accusati
Fs. N. 1193:
De Paolis Giovanni di Berardino, anni 33.
Fs. N. 1194:
Colasanti Carlo di Antonio, anni 21.
Pompili Arcangelo di Luigi, anni 26.
Purini Antonio di Giovanni, anni 23.
Fs. N. 1195:
De Cecchis Achille di Tommaso, anni 36.
Ferella Antonio di Gaspare, anni 29.
De Vecchis Pietro, anni25.
Fs. N. 1196:
Papola Giovanni di Valentino, anni 22.
Fs. N. 1197:
Scipione Vincenzo di Luca, anni 40.
Fs. N. 1198:
Di Marco Teodoro fu Massimiliano, anni 56.
Circi Lucrezia fu Giuseppe, anni 50.
Fs. N. 1199:
Giuliani Nicola di Tommasantonio, anni 33.
Fs. N. 1200:
Chinzari Luigi di Antonio, anni 27.
Cattani Antonio di Lorenzo, anni 18.
Fs. N. 1201:
Deime Giuseppe fu Pietro, anni42.
Fs. N. 1202:
Luizi Carmine di Domenico, anni 39.
Salvati Antonio fu Francesco, anni 39.
L’abbigliamento
“I vestiti sono di panno lana ordinario di color turchino che le donne
tessono in casa propria (…). L’aquilano veste un abito semplicissimo
e comodissimo. Giacca e calzoni lunghi di panno lana lavorato in famiglia,
di un unico colore turchino scuro. Indossa una camicia candidissima, cappello
nero e scarpe di doppia suola. Non usa cravatta, ed il gilè nel solo
inverno. Questo è l’unico suo vestiario, che gli serve per ogni
stagione .
Le fonti giudiziarie danno più volte indicazione degli abiti indossati
dagli imputati, nella maggior parte contadini.
Per esempio, l’accusato De Paolis Giovanni (in Fs. N. 1193) indossa
una “giacca di panno lana color blù sbiadito, calzone e gilè
di cotone a quadriglie e una camicia di tela di canapa”, oltre che
un cappello di paglia”. La camicia non appare di recente lavata”.
Lo stesso fascicolo contiene anche la descrizione della giubba del Brigadiere
dei Carabinieri: essa è di “panno lana blù carbonella
con i galloni d’argento”.
Un’altra indicazione compare nel Fs. N. 1194 in cui si parla di “una
giacca alla contadina di questa vallata, di panno di lana fatto in casa di
colore blù scuro, foderata di grosso panno di canapa bianco”
e di “un cappello di lana color nero ad uso dei contadini del luogo,
orlato di fettuccia nera”.
Fra i colori, quello più ricorrente è il “blù”,
seguito dal “bigio” e dal “color tabacco” (in Fs.
N. 1197).
Per quanto riguarda l’abbigliamento del ragazzo l’unico cenno
è fatto nel Fs. N. 1198 in cui un testimone di anni 14 dice di aver
prestato all’imputato la sua mantellina.
Non c’è alcuna descrizione degli abiti tipici della donna abruzzese.
L’alimentazione
“L’alimentazione dei contadini ordinariamente è di polenta,
e di pane di misto, di patate, di castagne, fave, fagiuoli, carne di maiale
fresca o secca, carne di pecora, poco pesce salato: (…), bevono vino
ed acquavite, e specialmente del primo abusano nei giorni festivi e di mercato
(…) il vitto del lavoratore della terra con contratto a giornata è
composto della colazione di pane e formaggio o salume, del pranzo con la minestra
ed una pietanza, e della cena simile alla colazione, più un litro
e mezzo di vino annacquato ed un chilo e mezzo di pane in complesso. (…)
Nell’epoca della mietitura: zuppa all’uscita del sole, e cipolla;
colazione di frittata e formaggio, pranzo di minestra e pietanza, merenda
di insalata, frittata od altro, cena come la colazione; il pane è
pure di un chilo e mezzo ed il vino di due litri sempre annacquato”
.
Anche i Processi analizzati confermano tali abitudini; in particolare, si
fa riferimento al pranzo, a base di pane (mezzo chilogrammo per due persone)
e baccalà, consumato durante un viaggio presso un osteria e pagato
nove soldi (in Fs. N. 1197).
Della cena, invece, si fa menzione nei Fss. Nn. 1198 e 1200.
Essa, nel primo caso è la cena dei pastori, consumata all’aperto
sul Monte Giano e composta da pane e cipolla; nel secondo fascicolo, invece,
un testimone fa riferimento ad una cena “con l’insalata”.
C’è, comunque, un elevato consumo di pane.
Altri cibi nominati sono: la carne di maiale (in particolare la ”sugna,
il lardo e il fegato”, in Fs. N. 1198), l’orzata (in Fs. N. 1201),
bevuta nel caldo pomeriggio del mese di Luglio da uno scrivano del Distretto
Militare di Aquila, ed il caffè, comprato per un soldo durante la
notte per guarire dai dolori di pancia (in Fs. N. 1198).
Il vino, infine, è menzionato soprattutto come alimento che spesso
causa lo stato di “ubbriachezza”.
Dai diversi interrogatori si desume che esso è consumato (fino ad
un litro al giorno) solo dagli uomini, specialmente in compagnia.
Si fa riferimento al consumo, a notte tarda, di rosolio e liquore tonico in
un Caffè dell’Aquila (in Fs. N. 1198).
Le armi (possedute e adoperate per commettere
i delitti).
Dagli atti relativi ai reati di omicidio si evince che la maggior parte dei
delitti è commessa per mezzo di coltello.
Le perizie ne descrivono accuratamente la lunghezza e l’uso.
Nel Fs. N. 1200 viene nominato il coltello a molla fissa che viene qui adoperato
anche per cenare, “per tagliare del pane”.
Molto spesso, le deposizioni dei testimoni (in Fss. Nn. 1194, 1196, 1199
) accertano il possesso, da parte dell’imputato, di un coltello da tasca;
anche i verbali (ove si legge “… estrasse un coltello dalla
tasca” oppure “… cavato di tasca un coltello”) confermano
l’abitudine di averne sempre uno a disposizione.
Nel Fs. N. 1199 il tipo di coltello nominato compare anche fra gli oggetti
precedentemente donati dall’accusato alla sua fidanzata.
Il delitto di cui si parla nel Fs. N. 1193 è commesso “per mezzo
di un coltello da beccaio”, lungo 21 centimetri e detto anche “scannatoio”.
L’arma adoperata per il mancato omicidio (Fs. N. 1201) è il fucile
descritto nella perizia del capo armaiuolo della caserma del Distretto Militare
di Aquila: “ha una fettuccia, legata al grilletto, lunga un mezzo metro
circa (…) ed è del modello 1870 per fanteria”.
Le condizioni economiche
Le condizioni economiche degli abitanti della zona aquilana del fine Ottocento
variano in relazione alla attività lavorativa svolta e alla proprietà
posseduta.
Il proprietario (piccolo o grande), generalmente, “ha il podere e la
casa di sua proprietà” . Da alcuni terreni in affitto per mezzo
dei diversi contratti agrari (il più usato è quello di locazione)
e stipula anche altri contratti con operai fissi (fra questi i bovari o bifolchi,
i garzoni, i cavallari, i massari ed i pastori) per meglio gestire la sua
proprietà. I salari sono differenti: essi (nel caso della lavorazione
della terra variano soprattutto in base alla forma di contratto stipulato,
alla stagione (è più alto in estate) e alla concessione o meno
del vitto. Comunque, sembra che le relazioni economiche fra proprietari e
coloni sono assai sfavorevoli ai secondi. Non a caso, le condizioni economiche
della popolazione abruzzese sono andate trasformandosi sin dalla fine dell’ottocento,
quando buona parte dei braccianti ha sentito più forte il desiderio
ed il bisogno di ribellarsi a tale situazione, di riscattare in proprio una
discreta quantità di terreno, di uscire dalla miseria e di accumulare
denaro. Di conseguenza, i depositi bancari, in questo periodo, diventano più
frequenti e consistenti, grazie alla maggiore attività agricola (conseguenza
anche delle trasformazioni delle colture), ai maggiori guadagni e, soprattutto,
grazie al fenomeno dell’emigrazione in atto. Da questo momento, lontano
dalla terra d’origine, l’abruzzese comincia a guadagnare il denaro,
un bene ormai indispensabile in una società ad economia di mercato.
Le condizioni igieniche e sanitarie
“Lo stato della pubblica salute si può dire abbastanza soddisfacente
in tutta la provincia (…) ciò che si deplora in molti comuni
è la mancanza dei medici condotti, delle levatrici e delle farmacie
e dei veterinai per la cura del bestiame” .
L’Inchiesta Jacini non attesta la presenza di gravi malattie contagiose
ed epidemiche presenti in Abruzzo alla fine del XIX secolo; annovera le manifestazioni
di vaiuolo e di difterite, specialmente nei bambini. Queste non prendono,
però, gravi proporzioni grazie alla somministrazione di vaccino. Nella
popolazione agricola, invece, predominano le febbri intermittenti, le bronchiti
e le polmoniti. Una malattia grave è, invece, la sifilide, presente
soprattutto nel Comune di Capistrello. Un’attenzione particolare va
ridervata alla mancanza del servizio medico, avvertita soprattutto dalla classe
agricola residente in campagna, visto che nei centri urbani tale servizio
è esplicato, oltre che dai medici a pagamento e dagli ospedali, dalle
Opere Pie (le pubbliche beneficenze) e dalle società di mutuo soccorso.
Ancora una volta, quindi, si nota lo svantaggio della popolazione rurale,
maggiormente colpita dalle malattie epidemiche (come il tifo ed il colera)
spesso determinate da abitudini alimentari ed igieniche non proprio buone.
Dall’inchiesta sanitaria del 1884-85 risulta che il 40% della popolazione
di Abruzzo e Molise beve acqua mediocre e cattiva, spesso proveniente da
cisterne e pozzi non rivestiti all’interno e, quindi, intorbidita da
sabbia e terra. Anche l’acqua presa dalla fonte, in molti casi, non
gode di buone proprietà ed è pur essa oggetto di forti restrizioni
da parte della popolazione che fa di essa uno scarso uso, sia per l’alimentazione
che per l’igiene. Alla fonte, secondo le testimonianze orali che, spesso,
ho avuto modo di ascoltare, è frequentata soprattutto dalle donne che
vi si recano per poter prendere l’acqua e portarla a casa tramite l’asino
o anche le pesanti conche che portano sul capo con orgoglio e fatica. Nei
Processi qui analizzati non compare nessun riferimento alla fonte, alla sua
presenza ed alla sua utilità.
Compaiono, invece, soprattutto nei casi di omicidio e di ferimento, importanti
informazioni sulle condizioni sanitarie degli aquilani di fine Ottocento.
Le perizie sanitarie riguardanti sia i feriti che i cadaveri sono condotte
con molta cura; i verbali sono altrettanto curati e dettagliati nei particolari,
soprattutto per quanto riguarda la localizzazione, il numero e la profondità
delle eventuali ferite. E’ presente la pratica dell’autopsia
del cadavere.
Dai casi di ferimento, invece, risulta che le ferite sono in genere di lunga
guarigione e sono quasi tutte causa di impedimento al lavoro per un numero
di giorni variabile. Molto spesso le ferite sono anche “pericolose di
vita” e quindi causa di morte soprattutto per la mancanza di soccorso
e di cura immediata.
Il caso esposto nel Fs. N. 1194 riguarda l’omicidio di Angelo Gregori,
ferito “alla calata del sole” e morto (in seguito ad emorragia)
dopo una lunga agonia e nel mentre il testimone Angelantonio Bersiti parte
da Ponte “per andare a chiamare il medico del Comune in Castel S. Angelo
e ritorna all’incirca le ore due italiane”.
Altri due fascicoli meritano di essere citati: i Fss. Nn. 1201 e 1195. Nel
primo è descritto l’uso di “ammorzare il bruciore e l’arrossamento
con lavanda di acqua fresca e di neve”; il secondo, invece, riguarda
l’uso, altrettanto praticato, di guarire dai dolori di pancia (chiamati
viscerali) bevendo del caffè.
La donna
“La contadina abruzzese nella parte materiale e morale non differisce
dall’uomo per ciò che riguarda robustezza, laboriosità,
non hanno però il vizio del vino e non adoperano il coltello; sono
caste e fedeli ai loro mariti, benchè da loro lungamente assenti.
Hanno un vestire semplice e non pittoresco (…). La contadina attende
alla famiglia, alle faccende domestiche ed aiuta il marito in molti lavori
campestri” . Questa citazione riassume quanto si dice della donna nelle
fonti giudiziarie citate. In queste ultime, infatti, non si parla di una
donna ubriaca, mai di una donna assassina. E’ presente (in Fs. N. 1199),
invece, l’immagine di una donna fedele e devota al marito (in carcere
da diversi mesi), superiore alle numerose provocazioni, dedita alla cura
del figlio e ai lavori campestri. Questa immagine di donna ricorre molto
spesso nei Processi dove, però, a fianco della contadina, della filatrice,
o della donna di casa, compare anche la cittadina (abitante in città)
proprietaria del Caffè, chiamata caffettiera, che, assieme a suo marito,
rimane fino a notte tarda nel suo locale a servire caffè e liquori
(in Fs. N. 1198). Lo stesso fascicolo ritrae anche l’immagine della
donna che, al di fuori dei canoni della morale tradizionale va col marito
a rubare e si impossessa avidamente dei beni e dei risparmi altrui.
L’emigrazione
Dal 1880 al 1930 vero protagonista della storia dell’Abruzzo è
il popolo (contadini, pastori, braccianti e piccoli artigiani) che abbandona
la terra di origine. In questo arco di tempo l’Abruzzo conosce il fenomeno
di spopolamento che riguarda dapprima i territori montani, economicamente
più poveri, e poi le colline e la pianura, che possiedono un terreno
più fertile ed una migliore distribuzione dei proprietari.
L’emigrazione è diretta inizialmente verso l’Agro Romano
e la Maremma, poi, invece, essa si diffonde in ambito europeo e, successivamente,
transoceanico.
Nel primo caso si parla di emigrazione stagionale (riguarda soprattutto l’opera
di bracciantato e l’artigianato itinerante) con carattere temporale
e come consueto movimento annuale; nel secondo, invece, di un fenomeno
stabile.
La vita della popolazione della provincia di L’Aquila per secoli è
scandita dal ritmo delle migrazioni stagionali, compiute per condurre le greggi
a svernare in pianura o per svolgere un’attività diversa da
quella pastorale, soprattutto per lavorare come personale di servizio a Roma
o a Napoli e come bracciante agricolo nel Tavoliere, nella campagna romana
o in Maremma.
“L’abruzzese - scrive Quaranta - è quegli che più
esce dalla sua contrada, e vive volentieri fuori dal suo paese natale ( …
). Egli ha cura della campagna, del gregge e della famiglia, né il
tempo o la lontananza ne scemano o rompono i legami “ .
Le manifestazioni della mobilità territoriale, siano esse migrazioni
interne o verso l’estero, costituiscono la risposta di una grande quota
della popolazione ad una situazione di squilibrio tra risorse disponibili
e/o aspirazioni e possibilità di soddisfarle. A partire dalla seconda
metà dell’Ottocento, infatti, i sistemi tradizionali di sopravvivenza
(come la pastorizia e l’agricoltura) entrano in crisi creando una situazione
di impoverimento dell’economia locale e di sovrabbondanza di manodopera.
Da tale crisi la popolazione vuole assolutamente uscire e, perciò,
gli abruzzesi imboccano la via dell’emigrazione verso terre lontane
che l’immaginario collettivo e l’esperienza di pochi descrivevano
come ricche, fertili e bisognose di lavoro.
Nell’ambito dell’emigrazione continentale, nel periodo 1880-1900,
la provincia aquilana esprime una netta preferenza per i paesi orientali.
Molti emigranti di questa zona vanno a lavorare alla realizzazione di opere
pubbliche nei Balcani, per esempio, alla costruzione di ferrovie in Tessaglia
e Macedonia.
E’ inferiore, invece, la preferenza espressa dai flussi migratori della
provincia di L’Aquila per i paesi dell’Europa occidentale .
Con il nuovo secolo e fino agli anni Venti gli Stati Uniti, il Canada e l’Argentina
divengono le mete più frequenti dell’emigrazione aquilana.
Nascono, in questo periodo, le comunità abruzzesi in terra d’America,
che si amplieranno ulteriormente durante le successive ondate migratorie.
Gli emigranti abruzzesi, e in genere quelli italiani, dimostrano un alto senso
della comunità. I primi nuclei che abbandonano il paese d’origine
aprono la strada agli altri: se le condizioni di lavoro sono favorevoli, vengono
chiamati i compaesani, accolti ed aiutati anche economicamente. Questo meccanismo
di richiamo è uno dei fattori che, assieme alla grande richiesta di
manodopera espressa dalla economia nord-americana, spiega l’imponenza
assunta dal flusso migratorio che dalla provincia di L’Aquila porta
in terra d’America.
In tutte le sue modalità, l’emigrazione è principalmente
la risposta all’esigenza di sostentamento: lontani da casa e, nella
maggior parte anche dalle loro famiglie lasciate in patria, milioni di abruzzesi
di questo periodo sono costretti a sopportare durissime condizioni di lavoro
e di vita, pur di guadagnare meglio che in patria e di risollevarsi dalla
situazione di disagio in cui versano.
L’emigrazione può essere una scelta temporanea o definitiva (espatrio).
In quest’ultimo caso, spesso, la scelta è determinata dalla
presenza, nel luogo di emigrazione, di favorevoli condizioni di vita, della
famiglia, di una attività autonoma.
Spinge al ritorno in patria, invece, la nostalgia per i luoghi natii e gli
affetti per i propri cari, il desiderio di continuare a vivere nel paese
di origine e di migliorare le proprie condizioni di vita grazie al denaro
guadagnato e risparmiato all’estero. “Essi, poi, quando tornano
indietro, dicono che l’America è un <<paese bellissimo>>,
<<un paese fatto di denaro>> e si lamentano un po’ delle
condizioni a casa propria, ma poi tornano dietro con un gruzzolo che viene
speso per dissodare un campo sopra le rocce e per riparare la casa in rovina”
.
E’ molto sentito il desiderio di rimpatriare e di investire il capitale
proveniente dall’estero acquistando piccoli e grandi appezzamenti di
terreno.
Da sempre legato alla parsimonia, anche il rimpatriato continua a mantenere
una forte propensione al risparmio; tuttavia, parte dei soldi guadagnati,
viene adoperata per migliorare l’alimentazione e le condizioni igieniche.
Vengono anche delle migliorie alle case, da sempre considerate il bene più
importante e gratificante. L’uso più evidente che gli abruzzesi
fanno delle rimesse e dei risparmi è dato dalla costruzione di case,
distaccate dal borgo e strutturalmente diverse dalle vecchie case rurali.
C’è un notevole investimento anche nei titoli di studio.
Dopo aver analizzato l’aspetto economico, vediamo anche quello sociale:
quali conseguenze comporta l’emigrazione a livello comunitario e familiare?
Generalmente, la grande emigrazione riguarda non più l’intera
famiglia, ma solo un individuo, spesso, il giovane (e non più l’anziano),
sano e vigoroso, capace di grande spirito di adattabilità e di elasticità
mentale. Si assiste, quindi, al declino della figura del patriarca e del suo
ruolo predominante all’interno del gruppo; contemporaneamente ascende
la generazione dei giovani che, segnata dall’emigrazione, vuole ora
“vendicare l’inerzia del patriarcato del secolo precedente”
.
Le donne assai di rado emigrano e, durante il periodo di assenza dei loro
mariti, acquistano un ruolo di maggiore importanza, soprattutto nel settore
agricolo: la manodopera femminile è ora più richiesta, considerato
anche che i salari corrisposti alle donne sono generalmente inferiori a quelli
degli uomini .
Le mogli degli emigrati continuano a prendersi cura dei figli e della casa;
aspettano con ansia le lettere dei loro mariti (in Fs. N.1197) e la
rimessa di denaro costantemente a loro inviata da questi ultimi. Questo denaro,
però, non viene gestito dalle donne, visto che, nella maggior parte
dei casi, è l’emigrante stesso che dispone anche riguardo a
tale consumo.
L’istruzione
La maggior parte degli accusati e dei testimoni nominati nei processi citati
è analfabeta. Le persone in questione dichiarano tale condizione durante
il proprio interrogatorio e non firmano gli atti ad esso inerenti. Generalmente
sono contadini e piccoli proprietari.
Dichiarano invece di saper leggere e scrivere i medici, i parroci, i Carabinieri
e i Brigadieri, i funzionari del Distretto Militare (in Fs. N. 1201), i proprietari
di bottega (in Fs. N. 1198), oltre che i funzionari della Corte D’Assise
e i diversi periti nominati.
Dallo studio dei Processi in questione emerge anche l’assenza di qualsiasi
altro riferimento all’istruzione e alla scuola. I pochi ragazzi (di
età scolare) nominati sono soprattutto contadini (in Fs. N. 1193)
e garzoni (in Fs. N. 1200).
L’Inchiesta Jacini conferma “che la metà circa dei ragazzi
non gode il beneficio dell’istruzione, cosa che si verifica anche nelle
altre province italiane. (…). Diverse sono le cause di tal mancanza
alla scuola; alcune sono per infermità (…), per indolenza dei
genitori, ed è questa la causa più grave (…); per la
troppa del locale scolastico (…), perché istruiti privatamente
(…), fuggirono dalla scuola per poca fiducia negli insegnanti. (…).
Un’altra ragione per cui non tutte le scuole procedono con quella regolarità
ed attività che si desidera, è lo scarso stipendio che si corrisponde
agli insegnanti .
Il lavoro e la sua modalità
Come si evince dalle tabelle contenute in questo lavoro “la massima
parte della popolazione dell’Abruzzo aquilano si compone di contadini,
agricoltori per eccellenza sia come pastori, che come coltivatori, i quali
si sforzano tanto al lavoro che coltivano non solo il territorio della provincia
ma anche quello di altri territori limitrofi” .
Parliamo innanzitutto dei pastori. Essi passano le notti sotto le stelle,
tra la pioggia e il vento; li accompagna il silenzio dei monti, rotto solo
dall’abbaiare dei cani da guardia, dall’ululato dei lupi e dallo
scoppiettio dei fuochi accesi per scaldarsi. Attorno a questi, i pastori
si siedono in gruppi per consumare lentamente il loro pasto, “per ubbriacarsi
(…) cantarellando canzoni frizzanti” (in Fs. N. 1200).
Trascorrono lunghi periodi sulla montagna, la loro dimora è il “Procojo”
(capanna bassa e tozza di forma quadrangolare, costruita con pietre a secco).
Gioiscono durante la licenza (chiamata quindicina perché concessa
ogni quindici giorni) che da loro la possibilità di tornare a valle
e di trascorrere tre giorni in famiglia.
Così, mentre da Giugno ad Ottobre la pastorizia risiede sui monti
natii, da Settembre a Maggio (precisamente fino al 25, giorno della fiera
di Foggia) gli armenti pascolano sul Tavoliere, nella solitudine della pianura
pugliese, vasta e brulla. La pastorizia transumante abruzzese si sviluppa
prevalentemente nei centri con altitudine superiore nei centri con altitudine
superiore ai 900 metri, dove le uniche colture praticabili sono quelle cerealicole.
Le principali località pastorali sono concentrate in tre aree: il
Gran Sasso, la zona tra Lucoli ed Amatrice e l’attuale zona del Parco
Nazionale.
La transumanza stagionale è un importante fattore di collegamento anche
tra l’interno montano e la fascia marittima, poiché essa rende
le due regioni geografiche reciprocamente funzionali e interdipendenti.
E’ proprio la transumanza che rende così dura la vita del pastore.
Ogni anno, essa costringe migliaia di uomini a spostarsi dalle località
di alta quota alle coste marittime, comportando numerose fatiche inerenti
il viaggio ed il commercio di lana, formaggio, pelli e carne. Lungo i tratturi,
durante il viaggio di ritorno a casa, i pastori pensano continuamente ai ducati
guadagnati e al dolce focolare domestico che li attende. Tornando dal lungo
esilio, portano con sé oggetti d’oro e d’argento, vasellame
decorato e bastoni lavorati. Questo perché, a differenza del contadino,
il pastore conduce una vita nomade, conosce il mondo ed è continuamente
sollecitato da fatti e conoscenze che lo rendono particolarmente sensibile
ai modi di espressione della cultura e alla vita sociale. Egli, non solo attraversa
stazzi e stazioni di posta, ma, durante la transumanza, ha anche modo di
visitare santuari, osterie e agglomerati civili, di partecipare ai mercati
e alle fiere.
Il salario degli addetti al pascolo del bestiame varia in relazione al ruolo
ricoperto da ciascuno (ci sono massari, sotto-massari, giumentari, mulattieri,
vaccari, pastori). Questi ultimi percepiscono all’anno £ 127,50
per ognuno; i pastori giovani, invece, percepiscono da £ 17 a £
85, secondo l’età e la capacità di guidare il gregge .
Diversa, invece, è la condizione dei contadini che “lavorano
dalla levata del sole sino al suo tramonto, riposandosi appena il tempo necessario
per cibarsi” . Essi lavorano i campi dalla primavera fino al periodo
della semina del grano e della raccolta di uve e castagne. Per lunghissime
ore stanno curvi sulla terra che lavorano adoperando l’aratro, la zappa
e il bidente. Il carattere del contadino “è onesto e leale (…)
è facile perciò ai reati di sangue, in special modo il solmontino,
perché poco sobrio e alquanto dedito all’ubbriachezza”
.
Ancora, dall’Inchiesta Jacini, si evince che il salario del contadino
varia a seconda del contratto stabilito. Tuttavia, esso è maggiore
durante l’estante, soprattutto nel periodo della mietitura, “nella
cui epoca il contadino guadagna, tra vitto e giornata, in media £ 5
al giorno” .
“Lo stesso non può dirsi per i lavoratori della terra che abitano
segnatamente nella valle, ed ancora di più per quelli prossimi ai grandi
centri, ove non manca lavoro e comodi di vita: questi preferiscono di vivere
alla giornata, e nei dì festivi consumare l’economia della settimana
nelle bettole; perciò hanno modificato la foggia di vestire, vorrebbero
lavorar poco e guadagnare molto, amando il vivere libero ed indipendente”
.
Il numero dei contadini è maggiore nei centri rurali e minore nelle
città. In queste ultime si praticano altri mestieri legati soprattutto
al commercio: non mancano, per esempio, il venditore di vino e liquori, il
tavernaro, la caffettiera, il fornaio, il pizzicagnolo, il maccaronaio e
il rivenditore di generi di privativa (in Fs. N. 1198). Oltre che alla vendita,
questi mestieri sono legati anche ad un tipo di vita che privilegia maggiormente
i rapporti sociali, gli incontri, i momenti di festa.
La struttura della casa
Dall’Inchiesta Jacini si evince che le abitazioni degli abruzzesi di
fine ottocento sono anguste e malsane, sovrappopolate e, spesso, prive di
aria e di luce. L’abitazione confortevole, invece, rappresenta il sogno
della maggior parte della popolazione uscita dallo stato di miseria, soprattutto
degli emigranti tornati in patria. Gli atti contenuti in alcuni dei fascicoli
processuali analizzati descrivono la casa come strutturata su due o più
piani; il primo di questi è, spesso, adibita a cucina (detta anche
cantina). Luoghi importanti sono la stalla e l’uscio. La stalla è,
quasi sempre, poco illuminata e affiancata dall’abitazione del suo
proprietario (come in Fs. N. 1193); e tuttavia “si scorge una tendenza
a migliorarle (…), ne costruiscono di nuove fornite di mangiatoie
regolari e comode, di prosciugatori (…), e di provvederle di buon
fieno che per lo più si conserva nel fienile e ben pochi proprietari
lo tengono ammucchiato all’aperto in prossimità della casa colonica”
.
Anche l’uscio ha un ruolo importante nella vita quotidiana: vi si trascorre
gran parte della giornata ed è, assieme al cortile il luogo d’incontro
per i vicini di casa che, soprattutto di sera, si radunano e si siedono sui
macigni, spesso adibiti a sedili, per riposare e conversare, soprattutto d’estate,
nelle prime ore della sera.
Viabilità
Il sistema viario, fondamentale per le comunicazioni e per lo sviluppo dell’economia,
è condizionato dal più primitivo è stabile degli elementi:
la natura.
Nell’Abruzzo di fine Ottocento sono, infatti, molto difficili le comunicazioni
con l’interno montuoso, dalla morfologia estremamente accidentata e
dai lunghi inverni nevosi.
La rete stradale si articola su tre livelli: le strade carrozzabili, i tratturi,
i collegamenti fra i centri minori, percorribili essenzialmente a piedi,
o cavalcabili.
Le prime seguono i percorsi naturali e ricalcano il sistema delle grandi strade
romane. Su di esse si sviluppano traffici intensi, soprattutto sulla strada
Nord-Sud, la famosa “Via degli Abruzzi” che dalla Toscana, attraversando
l’Abruzzo, passa per Aquila ed arriva fino a Napoli.
La rete dei tratturi, attiva e funzionante anche dopo la legge del 1865 che
abolisce la dogana delle pecore e statuisce l’affrancamento del Tavoliere
delle Puglie, è particolarmente fitta ed importante per il passaggio
di uomini e greggi, oltre che di modi di sentire e di vivere. La provincia
dell’Aquila è attraversata dai tratturi Aquila – Foggia,
Celano – Foggia, Centurelle – Montesecco, Pescasseroli –
Candela e Castel Di Sangro – Lucera.
Verso la metà del secolo, il sistema dei rapporti comincia a cambiare
per rispondere alle nuove necessità di collegamento e di trasporto.
Viene prosciugato il lago del Fucino (1875), vengono realizzate le vie rotabili
ed, infine, le prime ferrovie, usate sia per gli spostamenti delle persone
che per lo scambio dei prodotti fra le regioni e i maggiori centri abitati
dell’Abruzzo.
Anche nel caso della rete ferroviaria, si incontra il problema legato alla
morfologia del territorio e, quindi, alla difficile comunicazione con le
zone interne della regione, alla penetrazione nei centri montani, oltre che
al congiungimento dell’Aquila con la capitale e con il versante tirrenico.
A proposito di ciò nei Processi Penali analizzati è contenuto
un unico esempio di viaggio in ferrovia (in Fs. N.1997). E’ compiuto
da due emigranti che partono da Napoli e arrivano a Bussi pagando la complessiva
somma di £ 24.
I viaggiatori dicono di aver attraversato “ Caianiello, Solmona, Popoli
e altri paesi messi in quei dintorni ”.
Nulla è detto sui tempi e i modi di percorrenza.
Usi e costumi
Fra gli usi e i costumi degli abruzzesi di fine Ottocento, spicca l’abbondante
consumo di vino.
Dai Processi Penali analizzati emerge chiaramente quanto questo uso, o meglio
vizio, influisca sull’indole e la condotta di ciascuno.
Molto spesso i reati sono commessi in stato di ubriachezza, stato che accomuna
moltissima gente e che diventa, vista la sua abbondante ed assidua presenza
nei Processi, elemento caratterizzante la popolazione dell’aquilano
della fine del XIX secolo.
Il vino è consumato solo dagli uomini e specialmente in compagnia,
davanti al focolare o nei diversi locali pubblici dell’abitato (chiamati
bettole, cantine, taverne o anche cucine). In questi luoghi è possibile
stare insieme e giuocare con le carte, soprattutto nelle “ ore serotine
“. Spesso, è proprio a tale giuoco che si accompagna il
consumo del vino, bevuto durante la distribuzione di esse o tracannato al
momento della vincita e pagato dal perdente.
Nel Fs. N.1194 si parla, appunto, di un omicidio avvenuto in una cucina di
Ponte e compiuto in stato di “ ubbriachezza ” durante il giuoco
di carte “spara-coccia”. L’omicidio è preceduto
dalle “ quistioni sorte nel giuoco per irregolarità nella distribuzione
delle carte ” e del vino.
La cantina è il luogo per eccellenza del consumo del vino, il luogo
aperto in tutti i periodi dell’anno e frequentato dai soli uomini in
qualsiasi ora e giorno, soprattutto nelle ore successive al lavoro e nelle
festività. E’ il ritrovo principale ove si sta in compagnia e
si fa festa allegramente. All’uscita dalla cantina, generalmente, si
è “ ubbriachi marci ” e si va “ cantarellando per
le strade col tamburello “. La cantina è anche il luogo dei
litigi, dei ferimenti e degli omicidi ( in Fs. N.1194 ). Infatti, la componente
vino si associa spesso alle risse, all’impeto passionale che aiuta
l’omicida a trovare il coraggio, a lasciarsi andare.
Tuttavia, il vino “ non è la causa ultima e assoluta del crimine,
ma si limita ad intervenire abbassando l’autocontrollo “ .
Nel Caffè, invece, è abitudine consumare anche il liquore, il
caffè ed il rosolio.
E’ un luogo di ritrovo tipicamente cittadino: nel Fs. N.1198 si dice
che è situato in Aquila, ai piedi della piazza, ed è aperto
fino a notte tarda. E’ frequentato anche dai Carabinieri in servizio,
oltre che da una donna che vi accede, assieme al marito, per comprarvi un
soldo di caffè.
Adulterina (in Fs. N. 1198), agg.: Cosa falsificata.
Alterco (in Fs. N. 1199), n. m.: Contesa di parole, litigio.
Ammorzare (in Fs. N. 1201), vb.: Diminuire.
Appiattarsi (in Fs. N. 1196), vb.: Celarsi all’altrui vista ponendosi
dietro qualche riparo o in luogo chiuso.
Avvegnachè (in Fs. N. 1202), cong.: Benché, quantunque.
Beccaio (in Fs. N. 1198), n. m.: Quegli che macella e vende animali
quadrupedi per uso di mangiare.
Bettola (in Fs. N. 1202), n. f.: Bottega dove si dà da bere e da mangiare,
frequentata da gente del volgo.
Bettoliere (in Fs. N. 1202), n. m.: Colui che tiene bettola; Sin.:
tavernaro .
Bussa (in Fs. N. 1202), n. f.: Battitura data per castigo o per stizza.
Cavare (in Fs. N. 1194), vb.: Estrarre fuori.
Cimentare (in fs. 1193), vb.: 1. Mettere a rischio, alla prova,.
2. Spingere una persona a fare cose pericolose.
Combacciare (in Fs. N. 1193), vb.: Unire una con l’altra.
Contundente (in Fs. N. 1193), agg.: Capace di produrre una contusione sul
corpo umano.
Coverta (in Fs. N. 1200), n. m.: Coperta.
Dissimulare (in Fs. N. 1199), vb.: Celare ciò che uno ha nell’animo
mostrando nel volto, nelle parole e negli atti il contrario.
Garzone (in Fs. N. 1194), n. m.: 1. Giovane che il contadino tiene in casa
perché accudisca ai lavori del podere. 2. Colui che va con altri per
lavorare o che sta col padrone a bottega.
Germano (in Fs. N. 1200), n. m.: Fratello vero, carnale.
Grassazione (in Fs. N. 1197), n. f.: Assassinio commesso alla strada.
Incetta (in Fs. N. 1202), n. f.: Compra, acquisto di molti oggetti fatta
qua e là con intenzione di rivenderli a più caro prezzo.
Incettare (in Fs. N. 1202), vb. : Fare incetta.
Irrorare (in Fs. N. 1199), vb.: Infliggere.
Maceria (in Fs. N. 1202), n. f.: Mucchio o monte di sassi.
Mandamento (in Fs. N. 1202), n. m.: Circoscrizione amministrativa di territorio.
Menare (in Fs. N. 1194), vb.: Vibrare, muovere con forza.
Mentovare (in fs. 1199), vb.: Nominare, far menzione.
Minchionare (in Fs. N. 1200), vb.: Burlare altrui, farsene burle.
Oliandolo (in Fs. N. 1202), n. m.: Colui che vende l’olio; Sin.: oliararo.
Parapiglia (in Fs. N. 1194), n. f.: Numerosa confusione di persone.
Pertica (in Fs. N. 1194), n. m.: Bastone molto lungo.
Prediale (in Fs. N. 1198), agg.: Attenente a podere.
Premurare (in Fs. N. 1198), vb.: Sollecitare.
Pria (in Fs. N. 1199), avv.; Prima.
Privativa (in Fs. N. 1193), n. f.: Facoltà concessa dallo Stato ad
alcuni di vendere diversi generi di regalia, come sale, tabacchi e polveri.
Ristoro (in Fs. N. 1198), n. m.: Risarcimento dei danni.
Saccoccia (in Fs. N. 1193), n. f.: Tasca.
Serotina (in Fs. N. 1201), agg.: Tardiva.
Sito (in Fs. N. 1193), n. m.: Luogo.
Spastoiare (in Fs. N. 1194), vb.: Sciorsi da impedimento.
Sugna (in Fs. N. 1198), n. f.: Grassume che si trae d’attorno agli arnioni
specialmente del maiale e che si scioglie bollendolo per poi adoperarlo o
a far unguenti, a unger cuoi, mozzi di rote e simili.
Via rotabile (in Fs. N. 1197), n. f.: Strada per la quale si può andare
con carro, calesse o altro veicolo a ruote.
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