Vai alla HOME PAGE

COMPLICANZE DEL TRATTAMENTO ORMONALE NELLE PAZIENTI CON CARCINOMA MAMMARIO

Dr. Gian Paolo Andreoletti, specialista in Oncologia, Giornalista scientifico, Bergamo

 

 

Numerose evidenze sperimentali, epidemiologiche e cliniche hanno chiarito ormai da molti anni che il carcinoma mammario è una neoplasia estrogeno-dipendente. L’introduzione del tamoxifene, sostanza che agisce a livello mammario in senso antiestrogenico attraverso l’inibizione competitiva del legame degli estrogeni con i loro recettori nucleari, ha consentito nel tempo di ridurre il ricorso a terapie chirurgiche aggressive (ovariectomia, ipofisectomia o adrenalectomia), finalizzate al blocco della produzione endogena di estrogeni e, conseguentemente, alla riduzione dello stimolo proliferativo sulle cellule carcinomatose mammarie. Il tamoxifene venne approvato dalla Food and Drug Administration nel 1977 per il trattamento delle donne con cancro mammario avanzato e, diversi anni dopo, per il trattamento adiuvante di neoplasie mammarie trattate chirurgicamente in modo apparentemente radicale. Da allora l’utilizzo del tamoxifene si è progressivamente diffuso, anche, recentemente, in senso preventivo (in particolare in donne ad alto rischio familiare o individuale di sviluppo di cancro mammario). Parlare oggi di endocrinoterapia del tumore della mammella significa perciò essenzialmente parlare di tamoxifene, dei suoi benefici e dei rischi potenziali connessi al suo utilizzo. Altre terapie endocrinologiche (progestinici, analoghi LHRH, inibitori delle aromatasi, raloxifene), seppure in certi casi promettenti per il futuro, hanno, allo stato attuale delle conoscenze e della pratica clinica, un ruolo ancora marginale.

 

IL TRATTAMENTO ENDOCRINOLOGICO DEL CARCINOMA MAMMARIO

Lo stato recettoriale del tumore mammario costituisce il principale fattore biologico che influenza o determina la risposta della neoplasia alla terapia endocrina. Numerosi studi hanno evidenziato il valore dei recettori per gli estrogeni (ER) e, secondariamente, dei recettori per il progesterone (PgR) come indicatori di sensibilità del tumore. Oltre allo stato recettoriale (ER+ o ER-; PgR+ o Pgr-), anche il livello recettoriale, cioè la quantità dei recettori ormonali espressa in fentomoli, condiziona in modo significativo la risposta al trattamento ormonale. Un livello recettoriale di 20-100 fentomoli è associato ad un valore di 45% di risposte obiettive; un livello recettoriale superiore a 200 fentomoli determina invece un 80% di risposte obiettive alla terapia endocrina. Va tuttavia sottolineato che tassi di risposte obiettive dell’ordine dell’8-10% sono state riportate in donne con neoplasie povere di recettori ormonali (<10 fentomoli). Questo dato può essere spiegato sia con l’eterogeneità biologica dei tumori (presenza contestuale di cloni cellulari a diverso contenuto recettoriale), sia con il fatto che gli estrogeni sembrano agire non solo direttamente, attraverso il legame con recettori propri, ma anche indirettamente, provocando la liberazione di fattori di crescita (Epidermal Growth Factor, EGF; Transforming Growth Factor, TGF); il blocco dello stimolo estrogenico è quindi in grado di inibire la produzione di questi fattori, che stimolano la proliferazione cellulare.

Il trattamento endocrinologico del carcinoma mammario trova i suoi principali campi di applicazione nella terapia adiuvante post-chirurgica e nella cura palliativa dei tumori metastatici. Recentemente è stato proposto un suo utilizzo anche nella terapia preoperatoria (o neoadiuvante) di neoplasie localmente avanzate.

 

 

 

 

EFFETTI BENEFICI ANCILLARI DEL TRATTAMENTO CON TAMOXIFENE

Il trattamento endocrino del cancro mammario con tamoxifene può determinare dei vantaggi accessori, di cui occorre tenere conto in quella valutazione del rapporto rischio/beneficio, che sempre deve guidare la decisione di una terapia farmacologica.

 

 

 

 

TAMOXIFENE E SINTOMI MENOPAUSALI

I più comuni effetti collaterali della terapia con tamoxifene sono rappresentati dai sintomi menopausali. Vampate di calore, sudorazioni notturne, perdite vaginali, secchezza e prurito vaginale, riduzione del desiderio sessuale e dispareunia sono comuni durante il trattamento. I sintomi tendono ad essere più accentuati nelle pazienti in premenopausa e nelle donne in postmenopausa precedentemente trattate con terapia ormonale sostitutiva. I disturbi vasomotori divengono meno pronunciati dopo alcuni mesi di terapia con tamoxifene. Durante il trattamento con tamoxifene la funzione mestruale può essere normale, alterata (28%) o interrotta (amenorrea: 19%); in questi ultimi due casi i cicli ritornano comunque normali dopo la sospensione della terapia (a meno di una amenorrea permanente indotta dai chemioterapici).

Un recente studio di Loprinzi e coll. pubblicato su Lancet ha evidenziato un effetto favorevole di un farmaco antidepressivo ad azione inibitoria sulla ricaptazione della serotonina, la venlafaxina, sulla risoluzione delle vampate e sugli altri sintomi menopausali indotti dal tamoxifene.

 

EFFETTI TERATOGENICI DEL TAMOXIFENE

Le donne che assumono tamoxifene possono diventare gravide durante il trattamento. Il tamoxifene ha però evidenziato, in studi di laboratorio sul topo, effetti teratogenici, in particolare a carico degli organi urogenitali. Le pazienti che desiderano una gravidanza devono perciò interrompere la terapia con tamoxifene alcuni mesi prima del concepimento. Durante il trattamento le donne devono inoltre essere sottoposte ad attenti controlli per escludere la possibilità di una gravidanza in atto.

 

TAMOXIFENE E CANCRO DELL’ENDOMETRIO

Il principale rischio di un trattamento prolungato con tamoxifene è sicuramente rappresentato dalla possibile induzione di un carcinoma endometriale (solo sporadiche sono invece le segnalazioni di epatomi). Numerosi studi hanno dimostrato con sicurezza che il tamoxifene, a causa del suo effetto proestrogenico sull’endometrio (e forse anche attraverso una azione carcinogenetica diretta), aumenta l’incidenza di tumori uterini nelle pazienti trattate. Poiché non solo l’epitelio ghiandolare, ma anche le cellule stromali dell’utero contengono recettori per gli estrogeni, il tamoxifene può causare la formazione, oltre che di carcinomi endometriali, anche di sarcomi e di tumori mesodermici misti maligni.

Il rischio di induzione di carcinomi endometriali è più pronunciato nelle donne in postmenopausa, in quelle obese e in quelle precedentemente sottoposte a terapia ormonale sostitutiva. Un cancro endometriale si sviluppa nello 0,5-1% di donne che assumono il tamoxifene per cinque anni, con un rischio quindi triplicato rispetto ai gruppi di controllo. Il tamoxifene può anche indurre iperplasia endometriale, polipi endometriali, formazione di cisti ovariche.

Contrariamente a quanto ritenuto in passato, sembra che le neoplasie uterine indotte dal tamoxifene non abbiano caratteristiche di malignità superiori rispetto ai carcinomi endometriali riscontrati nella popolazione generale.

Per diagnosticare tempestivamente l’insorgenza di un carcinoma endometriale il medico di medicina generale dovrebbe fare eseguire annualmente, alle pazienti in trattamento con tamoxifene, una ecografia transvaginale; in caso di stillicidio ematico vaginale andrà sempre eseguita prontamente anche una biopsia endometriale.

A causa della possibile insorgenza di tumori endometriali dopo trattamento con tamoxifene, si stanno sperimentando altri farmaci per la terapia adiuvante (e preventiva) del tumore mammario. In particolare sembra promettente il raloxifene, modulatore selettivo dei recettori estrogenici ad azione antiestrogenica sulla mammella e sull’utero e ad azione proestrogenica sull’osso e sul metabolismo lipidico. Il raloxifene, in base a studi recenti, sarebbe in grado di ridurre il rischio di cancro mammario senza aumentare contemporaneamente l’incidenza di neoplasie uterine.

 

TAMOXIFENE E TROMBOEMBOLIE

Diversi studi hanno evidenziato una aumentata incidenza di tromboembolie (tromboflebiti superficiali e profonde, embolie polmonari) in pazienti in terapia con tamoxifene, specialmente dopo trattamenti chemioterapici. Fenomeni tromboembolici, talora ad esito fatale, si verificano nell’1% delle donne che assumono tamoxifene. Il rischio è aumentato nelle donne con flebopatia varicosa agli arti inferiori e nelle fumatrici.

 

EPATOTOSSICITA’ DEL TAMOXIFENE

Occasionalmente (1-4% dei casi) il tamoxifene può provocare alterazioni della funzionalità epatica, rivelate soprattutto dall’innalzamento delle transaminasi. Si consiglia un controllo della funzionalità epatica ogni sei mesi nelle pazienti in terapia con tamoxifene. Come detto si segnalano casi sporadici di epatomi indotti da tamoxifene.

 

EFFETTI EMATOLOGICI DEL TAMOXIFENE

Il tamoxifene può in alcuni casi provocare trombocitopenia (generalmente limitata a valori compresi tra 80 mila e 90 mila per millimetro cubo, senza conseguenze emorragiche) e leucopenia. Raramente però tali fenomeni sono di gravità tale da provocare la sospensione della terapia. Si consiglia comunque un controllo dell’emocromo e delle piastrine dopo 15-20 giorni dall’inizio del trattamento e, successivamente, ogni 6 mesi.

 

TAMOXIFENE E DISTURBI OCULARI

In donne trattate con alte dosi di tamoxifene sono stati riportati casi di retinopatia, non confermati tuttavia da trials clinici condotti utilizzando dosi standard del farmaco. E’ invece sicuramente aumentata, nelle donne che assumono o che hanno assunto tamoxifene, l’incidenza di opacità subcapsulari posteriori del cristallino, che possono richiedere l’intervento chirurgico per cataratta.

 

BILANCIO COMPLESSIVO RISCHIO/BENEFICIO DEL TRATTAMENTO ADIUVANTE CON TAMOXIFENE

Prendendo in considerazione 1000 pazienti affette da carcinoma mammario recettore-positivo (ER+), la terapia adiuvante con tamoxifene è in grado di determinare un 9% di miglioramento assoluto nella sopravvivenza totale a dieci anni; ciò significa 90 vite salvate su 1000 persone trattate. Contro i benefici occorre considerare le complicazioni maggiori e potenzialmente fatali del trattamento con tamoxifene, rappresentate, come detto, dal cancro uterino e dalle trmboembolie. L’eccesso di mortalità correlato al trattamento è dello 0,2%, cioè 2 morti ogni 1000 pazienti.

Complessivamente, quindi, il tamoxifene è un farmaco che si rivela estremamente utile, in particolare per le donne con carcinomi mammari ER+; i benefici del suo utilizzo sopravanzano nettamente i possibili rischi.

 

CONCLUSIONI

Il tamoxifene rappresenta ancora oggi il cardine della terapia endocrinologica del carcinoma della mammella. Questa molecola ad azione antiestrogenica è in grado di ridurre il rischio di recidive neoplastiche e di morte per cancro mammario quando somministrata come terapia adiuvante in pazienti già trattate chirurgicamente; essa è inoltre utile come trattamento palliativo in donne con tumore metastatico.

L’utilizzo del tamoxifene è indicato particolarmente in tutte le donne (in pre o post- menopausa) con carcinoma mammario infiltrante dotato di recettori per gli estrogeni.

I potenziali effetti benefici del tamoxifene nella prevenzione del cancro mammario controlaterale in donne già operate e del cancro mammario primitivo in donne ad alto rischio, giustificano un suo eventuale utilizzo a scopo appunto preventivo.

Il tamoxifene è in genere ben tollerato, anche se raramente può determinare l’insorgenza di complicanze tromboemboliche; il rischio principale, che rende necessario un attento monitoraggio nel tempo della paziente in trattamento, è rappresentato dal possibile sviluppo nel tempo di una neoplasia endometriale.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

Vai alla HOME PAGE