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COMPLICANZE POST-RADIOTERAPIA NELLE PAZIENTI TRATTATE PER CARCINOMA MAMMARIO

Dr. Gian Paolo Andreoletti, specialista in Oncologia, Giornalista scientifico, Bergamo

 

 

Il carcinoma mammario è una neoplasia che richiede, nel suo lungo iter clinico, l’intervento di più competenze specialistiche, al fine di consentire un risultato terapeutico ottimale, sia in termini di sopravvivenza che in termini di qualità di vita. Il trattamento radioterapico costituisce, dopo quello chirurgico e farmacologico, il terzo componente della terapia multimodale (o multidisciplinare) delle neoplasie della mammella. E’ importante che il medico di medicina generale conosca nel dettaglio le complicanze connesse con la terapia radiante, per poterle riconoscere e gestire in maniera adeguata.

 

INDICAZIONI DELLA RADIOTERAPIA NEL CARCINOMA MAMMARIO

Vari studi clinici, condotti in centri oncologici e senologici di alta specializzazione, stanno valutando l'efficacia e l'utilità di una nuova tecnica di erogazione del trattamento radiante dopo terapia conservativa per carcinoma mammario: la Radioterapia Intraoperatoria (IORT).

La IORT utilizza acceleratori lineari di elettroni mobili, forniti di un braccio robotico direzionabile, installati in sala operatoria utilizzando opportuni accorgimenti di radioprotezione. Attraverso la IORT si eroga una dose unica di radiazioni in corrispondenza della sede del processo neoplastico, durante l'intervento chirurgico stesso (che viene prolungato solo di 10-15 minuti). La precocità del trattamento radiante, la possibilità di delimitare con assoluta precisione il bersaglio e di evitare l'irradiazione dei tessuti sani interposti, la possibilità di ridurre la dose totale di radiazioni grazie all'utilizzo di una dose singola anzichè frazionata, sembrano rappresentare elementi a favore dell'efficacia e della tollerabilità di questa tecnica, che può in ogni caso essere utilizzata in associazione alla radioterapia esterna tradizionale.

 

COMPLICANZE ACUTE DEL TRATTAMENTO RADIANTE

 

Durante il trattamento radiante o nelle settimane immediatamente successive si possono manifestare alcuni effetti collaterali, in genere di scarsa entità se la radioterapia è stata eseguita correttamente.

In fase acuta è frequente la comparsa di eritema cutaneo, ben controllabile con la terapia topica cortisonica; l’eritema è spesso accompagnato da edema del tessuto mammario residuo, più evidente se la mammella è voluminosa. Tali complicanze minori sono in genere transitorie e destinate a risolversi nell’arco di poche settimane.

Nelle pazienti sottoposte ad irradiazione della regione sopra-sottoclaveare e delle catene mammarie interne si può riscontrare talora una disfagia transitoria da mucosite, trattabile con nistatina sospensione, con sciacqui di benzidamina cloridrato, con assunzione di Fans e con astensione da cibi e bevande calde.

Nausea, vomito, dolori addominali e diarrea possono comparire nelle donne sottoposte a radioterapia su ampie regioni scheletriche , con inevitabile inclusione, nel volume di irradiazione, di porzioni di apparato digerente. Tali sintomi recedono con la cessazione del trattamento e rispondono in modo soddisfacente ad una terapia sintomatica.

 

REAZIONI PLEUROPOLMONARI E PERICARDICHE

La comparsa di reazioni pleuro-polmonari e pericardiche è per lo più legata ad una irradiazione eseguita in modo tecnicamente non ottimale. Tali reazioni possono manifestarsi alcune settimane dopo il termine della terapia e si presentano clinicamente con rialzo termico pomeridiano, tosse secca e dispnea. La sintomatologia può essere in genere ben controllata con una blanda terapia cortisonica, con risoluzione dei processi infiammatori radioindotti nell’arco di poche settimane. Raramente si sviluppa una pericardite cronica costrittiva, che può richiedere un intervento chirurgico quando la costrizione è importante.

 

 

DANNI MIOCARDICI

Tra le complicanze tardive, la possibile comparsa di danni miocardici post-irradiazione è sicuramente, seppur rara, una delle più temibili, in quanto fortemente invalidante e talora fatale. Il meccanismo del danno cardiaco da radiazioni sembra essere principalmente di tipo ischemico, per azione lesiva sui vasi coronarici (le arterie coronariche presentano fibrosi intimale e avventiziale, con diminuzione dei miociti ed aumento dei fibroblasti). Un incremento di incidenza di infarti del miocardio e di scompenso cardiaco congestizio in donne irradiate per carcinoma mammario è descritto in vari studi clinici. Va segnalato che a carico del cuore sono riportate anche lesioni valvolari, in particolare con interessamento della valvola aortica.

Una miocardiopatia da radiazioni insorge più frequentemente in pazienti trattate in precedenza con chemioterapici potenzialmente cardiotossici, come le antracicline (in particolare la adriamicina); a maggior rischio è, come prevedibile, l’irradiazione dell’emitorace sinistro.

Con le moderne tecniche di radioterapia il rischio di miocardiopatia radioindotta è comunque minimo; solo le donne trattate in passato con vecchi protocolli radioterapici e con macchinari oggi tecnologicamente superati presentano un significativo aumento di rischio di sviluppare a lungo termine una cardiopatia.

 

 

FIBROSI DEL TESSUTO SOTTOCUTANEO E DELLA GHIANDOLA MAMMARIA RESIDUA

Il trattamento radioterapico del carcinoma mammario comporta comunemente l’insorgenza di una fibrosi tissutale più o meno marcata a carico dei tessuti compresi nel volume di irradiazione. A maggior rischio, secondo alcuni studi, sono le pazienti precedentemente trattate con chemioterapia adiuvante Se la radioterapia è stata eseguita tecnicamente in modo corretto il grado di fibrosi è comunque in genere modesto.

La fibrosi del sottocute e della porzione di ghiandola mammaria residuata all’intervento conservativo è ben visibile ai controlli mammografici, che evidenziano ispessimento del rivestimento cutaneo, retrazioni cicatriziali e distorsioni del parenchima mammario, calcificazioni ghiandolari. Tali modificazioni sono clinicamente importanti soprattutto perché possono ostacolare la diagnosi clinico-mammografica di recidive neoplastiche locali o di seconde neoplasie. E’ quindi importante una precisa definizione (con mammografia eseguita a distanza di sei mesi dal termine del trattamento) dei cambiamenti tissutali indotti dalla radioterapia sulla mammella interessata, al fine di poter valutare nel follow-up eventuali ulteriori modificazioni che possano far sospettare recidive neoplastiche.

 

DANNI AL PLESSO BRACHIALE

L’irradiazione della regione sovraclaveare con dosi superiori a 50 Gy può causare danni al plesso brachiale (plessopatia brachiale post-attinica). Tale complicanza è comunque sempre più rara, grazie alle moderne tecniche di terapia radiante, con dosi e campi di irraggiamento ridotti; oggi è per lo più riscontrabile solo in pazienti trattate molti anni fa. I primi sintomi della plessopatia post-attinica sono rappresentati da disturbi sensitivi (parestesie, formicolii, ipoestesia nei territori di distribuzione radicolare C5-C6-C7); l’evoluzione della patologia è molto lenta (mesi o anni), con comparsa graduale anche di segni di compromissione motoria (senso di pesantezza, ipostenia, ipotrofia muscolare spiccata, contratture crampiformi).

La plessopatia post-attinica può porre problemi di diagnosi differenziale con i coinvolgimenti radicolari da ripresa di malattia neoplastica. Una risonanza magnetica della regione del plesso brachiale è talora necessaria per dirimere il dubbio diagnostico: la RMN è in grado di fornire precise indicazioni (più della TAC, che non sempre consente di ottenere in questo caso informazioni dettagliate) circa il coinvolgimento delle strutture nervose da parte del tessuto neoplastico.

 

DANNI COSTALI

L’irradiazione toracica per neoplasia mammaria può determinare foci di necrosi ossea a livello costale. Sono descritte in letteratura fratture costali patologiche (cioè non dovute a traumi efficienti) in pazienti sottoposte a radioterapia della parete toracica. Anche in questo caso le moderne tecniche di irradiazione rendono comunque tali complicanze sempre più rare.

 

MIELITE TRASVERSA

La mielite trasversa post-attinica rappresenta una evenienza fortunatamente rara (incidenza inferiore al 2% dei casi) e consegue per lo più a terapie radianti eseguite per localizzazioni vertebrali metastatiche. Poiché il livello critico di radiazioni per lesioni midollari è considerato superiore a 40 Gy, si consiglia di non superare mai tale dose in occasione di irradiazione di tratti vertebrali estesi, anche in caso di trattamenti frazionati.

Il danno midollare da radiazioni si manifesta mediamente a distanza di un anno dal termine della radioterapia e presenta una evoluzione lenta e costante. I segni o sintomi iniziali sono rappresentati da parestesie talora dolorose, deficit motori e sfinterici, paraplegia o quadriplegia in rapporto al livello lesionale. L’evoluzione è nella maggior parte dei casi sfavorevole, con limitate possibilità di recupero funzionale.

Meno grave è la cosiddetta sindrome di Lhermitte, che può manifestarsi dopo alcuni mesi dalla sospensione della radioterapia su distretti vertebrali. Essa persiste in genere alcuni mesi e si risolve lentamente senza lasciare traccia. La sindrome di Lhermitte, causata da un processo di demielinizzazione transitoria, si manifesta clinicamente con ipoestesia e parestesia distali e sensazione di scossa elettrica dopo flessione del capo e del collo, senza turbe di carattere motorio.

 

DANNI ALLA LATTAZIONE

L’irradiazione della mammella può compromettere la capacità di lattazione della mammella stessa, a causa della induzione di fibrosi dei lobuli ghiandolari.

Una mammella che sia stata sottoposta a chirurgia conservativa e terapia radiante non può sviluppare ipertrofia durante la gravidanza ed il puerperio, per cui si assiste in questi casi nelle pazienti ad un ingrossamento mammario asimmetrico. Va sottolineato che alcune donne (dal 25 al 30%) sono comunque in grado di allattare dalla mammella trattata con chirurgia conservativa e radioterapia; nella maggioranza dei casi ciò avviene però con difficoltà e con produzione di quantità inadeguate di latte.

 

DANNI ALLA RICOSTRUZIONE MAMMARIA

Il trattamento radiante di donne con carcinoma della mammella, sottoposte ad intervento chirurgico e ricostruzione immediata con impianto di protesi mammaria, può compromettere, seppur raramente e con dosi di radiazioni elevate, il risultato estetico dell’operazione di chirurgia plastica e provocare complicanze legate al danneggiamento radioindotto della protesi stessa.

Qualora la radioterapia preceda l’intervento di chirurgia ricostruttiva, d’altra parte, i danni fibrotici post-attinici rendono più difficoltosa l’espansione dei tessuti, necessaria per l’impianto della protesi, e aumentano il rischio di fibrosi periprotesica.

In considerazione di tutto ciò non esiste attualmente uniformità di orientamento in letteratura sull’opportunità, in rapporto alla terapia radiante, di un intervento chirurgico ricostruttivo immediato piuttosto che ritardato.

 

EFFETTI ONCOGENICI DELLA RADIOTERAPIA

Uno degli elementi che ostacolò all’inizio lo sviluppo della terapia chirurgica conservativa fu il timore che la terapia radiante successiva all’intervento potesse innescare un processo di trasformazione neoplastica delle cellule normali del tessuto mammario residuo. In realtà i risultati degli studi condotti nel corso di molti anni non hanno confermato questo dubbio ed hanno anzi dimostrato l’assenza di effetti oncogeni del trattamento radiante sulle cellule epiteliali mammarie di donne adulte. L’incidenza di secondi carcinomi mammari primari non è risultata aumentata, rispetto ai gruppi di controllo non sottoposti a radioterapia, non solo nelle mammelle trattate radio-chirurgicamente, ma anche nelle mammelle controlaterali (che pure ricevono una dose non indifferente di radiazioni, che va da 0,5 Gy nella parte più laterale fino a 10-15 Gy nella parte mediale).

Leggermente diverso è invece il discorso per quanto riguarda l’effetto della radioterapia sui tessuti connettivi. I vari studi pubblicati in letteratura evidenziano che il trattamento radiante aumenta in misura modesta (incidenza inferiore all’1%) l’insorgenza di sarcomi (fibrosarcomi, angiosarcomi) a carico delle mammelle esposte alla terapia attinica. Tale rischio è comunque estremamente contenuto e non giustifica l’astensione dal trattamento radiante.

 

CONCLUSIONI

 

La radioterapia del tumore mammario, pur spesso indispensabile per assicurare alla paziente un adeguato controllo locale della malattia e, conseguentemente, un miglioramento delle prospettive di sopravvivenza, è talora gravata da importanti effetti collaterali, sia acuti che a distanza. Due inconvenienti in particolare, seppur non frequenti, possono rappresentare per la donna un pericolo grave: la potenziale tossicità cardiaca, soprattutto in caso di coinvolgimento della mammella sinistra e di precedente trattamento con farmaci chemioterapici cardiotossici come le antracicline, e la possibile induzione di neoplasie mammarie mesenchimali, specialmente sarcomi.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

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