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CARCINOMA MAMMARIO E GRAVIDANZA

Dr. Gian Paolo Andreoletti, Specialista in Oncologia, Giornalista scientifico, Bergamo

 

Da un punto di vista clinico il rapporto carcinoma mammario/gravidanza racchiude per il medico due distinti ordini di problemi: la gestione dei casi di neoplasia mammaria insorti durante una gravidanza e l’azione di counselling nei confronti di giovani pazienti operate precedentemente per carcinoma mammario e desiderose di intraprendere una esperienza di maternità.

Si tratta in entrambi i casi di questioni delicate e complesse, che richiedono da parte del medico precise conoscenze ed elevata professionalità.

 

Gestione dei casi di carcinoma mammario insorti in gravidanza

 

 

I carcinomi mammari insorti durante una gravidanza rappresentano il 2,5% di tutti i carcinomi mammari (1-3 carcinomi ogni 10 mila gravidanze).

Quasi tutti gli studi pubblicati in letteratura evidenziano che, a parità di altri fattori prognostici, la presenza di una gravidanza non costituisce un fattore negativo per la prognosi di una paziente con neoplasia della mammella. Tali studi non hanno infatti evidenziato differenze di sopravvivenza significative rispetto ai casi di controllo.

Le modificazioni ormonali ed organiche indotte dalla gravidanza e le eventuali limitazioni terapeutiche imposte dallo stato gravidico non influenzano quindi in modo significativo l’evoluzione clinica di un carcinoma mammario.

Malgrado tutto ciò va sottolineato che i tumori della mammella diagnosticati durante una gravidanza presentano mediamente uno stadio più avanzato rispetto alle neoplasie mammarie riscontrate in donne non gravide. L’incidenza di casi con interessamento linfonodale nelle pazienti gravide risulta infatti 2,5 volte superiore rispetto a quella riscontrata nelle pazienti non gravide. Ciò sembra essere imputabile ad un ritardo diagnostico (compreso tra 1,5 e 6 mesi), dovuto sia ad una focalizzazione della paziente e del medico sui problemi inerenti la gravidanza ed il prodotto del concepimento, sia ad una minore sensibilità dell’esame fisico per la congestione gravidica della ghiandola mammaria.

 

 

Le procedure diagnostiche preoperatorie da adottare di fronte ad una paziente gravida che presenti un nodulo mammario non differiscono in modo sostanziale rispetto a quelle utilizzate nelle pazienti non gravide. Va privilegiato ovviamente, come esame di primo livello, la ecografia, priva di rischi teratogenici ed in grado di distinguere lesioni solide e lesioni liquide. Di fronte a lesioni solide con caratteristiche ecografiche di benignità (forma ovalare con asse maggiore parallelo alla cute, margini regolari, assenza di attenuazione posteriore del fascio ultrasonoro) è corretto un atteggiamento attendista, con successivi controlli ecografici periodici. Qualora la immagine solida presenti invece caratteri ecografici di dubbia malignità, occorre procedere all’esecuzione di una mammografia (talora peraltro di scarsa utilità a causa della densità radiologica della ghiandola mammaria in gravidanza), seguita da un eventuale agoaspirato per esame citologico. Va sottolineato che la dose radiante assorbita dal feto durante una mammografia con schermatura addominale è sostanzialmente nulla: non esistono quindi rischi teratogenici legati alla indagine mammografica.

Qualora, a fini diagnostici, sia necessario ricorrere ad una biopsia chirurgica a cielo aperto, è preferibile eseguire l’operazione in anestesia locale, benché anche l’anestesia generale non determini rischi particolari per il feto dopo il primo trimestre di gestazione.

 

 

La condotta terapeutica di fronte ad una paziente gravida in cui si sia diagnosticato un carcinoma mammario può variare in relazione al periodo gestazionale.

 

 

Gravidanza dopo un intervento per carcinoma mammarto

 

La maternità non sembra influenzare negativamente la prognosi di una paziente precedentemente sottoposta a trattamento chirurgico e chemio-radioterapico per carcinoma mammario. Alcuni studi evidenzierebbero addirittura una più elevata sopravvivenza libera da malattia a 5 anni nelle donne che hanno intrapreso una gravidanza dopo un trattamento per neoplasia mammaria, facendo supporre un possibile (anche se non certo) effetto protettivo della gravidanza stessa.

Il consiglio, per una paziente che voglia programmare una maternità dopo una terapia per neoplasia della mammella, è di attendere almeno due anni dalla diagnosi; secondo molti autori è comunque auspicabile una attesa di cinque anni, in considerazione del maggiore rischio di recidive, locali o a distanza, in questo periodo di tempo.

 

 

Il trattamento chemioterapico del carcinoma mammario, compreso quello adiuvante, è frequentemente associato con una amenorrea, che può essere temporanea o permanente ed è determinata dalla tossicità diretta dei farmaci sulla funzione ovarica. L’incidenza della amenorrea chemio-indotta dipende dal tipo di trattamento utilizzato (rischio maggiore con CMF piuttosto che con schemi contenenti antracicline) e dall’età della paziente. Le donne più giovani sono a minor rischio di sviluppo di amenorrea e, qualora la sviluppino, questa è spesso (80% dei casi) reversibile (quindi compatibile con una successiva gravidanza); nelle donne con età superiore ai 40 anni l’amenorrea è invece comune e nel 95% dei casi irreversibile. Le donne che continuano a mestruare dopo la chemioterapia sono comunque a rischio di menopausa precoce. L’amenorrea indotta da chemioterapici è caratterizzata, da un punto di vista ormonale, da una diminuzione del livello di estrogeni e progesterone circolanti e da elevati livelli di FSH e LH; tali variazioni sono simili a quelle che si riscontrano nella menopausa fisiologica e determinano gli stessi effetti clinici.

Durante il trattamento ormonale con tamoxifene la funzione mestruale può essere normale, alterata (28%) o interrotta (amenorrea: 19%); in questi ultimi due casi i cicli ritornano comunque per lo più normali dopo la sospensione della terapia (a meno di una amenorrea permanente indotta dai chemioterapici), in particolare nelle donne sotto i 35 anni.

 

 

Sulla base dei risultati degli studi clinici disponibili si può affermare con sufficiente sicurezza che un precedente trattamento chemioterapico non determina evidenti fenomeni di embrio o fetotossicità. I dati a disposizione riguardo a pazienti sottoposte a trattamenti antineoplastici anche per patologie diverse dal carcinoma mammario evidenziano che il tasso di malformazioni congenite fetali durante una successiva gravidanza è sovrapponibile a quello riscontrato nella popolazione sana di controllo. Si segnalano solo più frequentemente casi di aborto spontaneo, parto prematuro o basso peso alla nascita.

Le donne che assumono tamoxifene possono diventare gravide durante il trattamento (tranne nei casi in cui il tamoxifene determini una amenorrea). Il tamoxifene ha però evidenziato, in studi di laboratorio sul topo, effetti teratogenici, in particolare a carico degli organi urogenitali. Le pazienti che desiderano una gravidanza devono perciò interrompere la terapia con tamoxifene alcuni mesi prima del concepimento. Durante il trattamento le donne devono inoltre essere sottoposte ad attenti controlli per escludere la possibilità di una gravidanza in atto.

 

La resezione conservativa di neoplasie localizzate al quadrante centrale della mammella danneggia in genere la lattazione in modo irreversibile, più di quanto possa verificarsi in seguito a quadrantectomie per neoplasie localizzate in aree ghiandolari periferiche.

L’irradiazione della mammella può a sua volta compromettere la capacità di lattazione della mammella stessa, a causa della induzione di fibrosi dei lobuli ghiandolari.

Una mammella che sia stata sottoposta a chirurgia conservativa e terapia radiante non può sviluppare ipertrofia durante la gravidanza ed il puerperio, per cui si assiste in questi casi nelle pazienti ad un ingrossamento mammario asimmetrico. Va sottolineato che alcune donne (dal 25 al 30%) sono comunque in grado di allattare dalla mammella trattata con chirurgia conservativa e radioterapia; nella maggioranza dei casi ciò avviene però con difficoltà e con produzione di quantità inadeguate di latte.

 

 

Conclusioni

Il riscontro di una neoplasia mammaria in una donna gravida è senza dubbio un fatto molto grave, con importanti ripercussioni fisiche, psicologiche e relazionali. Una corretta gestione del problema è comunque in grado di assicurare alle pazienti dei tassi di sopravvivenza sovrapponibili a quelli delle pazienti neoplastiche non gravide, senza importanti danni al prodotto del concepimento.

Una donna precedentemente trattata per un tumore al seno, d’altra parte, può programmare con sufficiente serenità una successiva gravidanza, avendo semplicemente l’accortezza di lasciar trascorrere un sufficiente periodo di tempo libero da malattia, al fine di evitare il concepimento negli anni a maggior rischio di recidive neoplastiche.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

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