IL SISTEMA IDRICO E LE CISTERNE


    Il sistema di drenaggio del sottosuolo urbano e la rete di approvvigionamento e distribuzione idrica sono in parte noti grazie alla sopravvivenza di alcune componenti isolate. Essi formano un complesso di notevole rilevanza monumentale e urbanistica, unico al mondo, consistente in pozzi, condotti sotterranei, fontane e soprattutto tre cisterne che sono il monumento più noto e menzionato di Fermo.

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I - Cisterna principale

    La più grande e famosa delle tre cisterne è conosciuta anche come "Piscine epuratorie (o limarie)"; è ubicata sotto parte di via Paccarone, Vicolo Chiuso I, Via degli Aceti e di Largo Maranesi e sotto gli edifici adiacenti, fra cui il Convento di San Domenico e fu costruita con ampi tagli e riempimenti del versante orientale della collina tra le quote 273 (pavimento) e 279 (volta esterna) metri s.l.m.. cisterne10.jpg (16691 byte)

    È una grande vasca di tenuta a pianta rettangolare, delle dimensioni di 65 x 29 metri (planimetria nell'immagine a lato).
    Il muro perimetrale è in opus caementicium dello spessore da 1,5 a 1,65 metri con paramenti in laterizio; all'interno: rivestimento impermeabilizzante in opus signinum (così denominato forse perché prodotto a Segni, città del Lazio).
L'opus caementicium è costituito da ciottoli fluviali di piccole e medie dimensioni, frammenti di calcare e malta in abbondanza.
    L'interno è diviso da muri ortogonali in opus testaceum (di mattoni) e impermeabilizzati con rivestimento in opus signinum che formano 30 camere intercomunicanti a pianta rettangolare disposte su tre file. Le camere comunicano attraverso aperture di varie dimensioni sormontate dai tipici archi a tutto sesto romani, realizzati utilizzando mattoni in laterizio uniti da abbondanti strati di malta spessi fino a quasi 3 cm.
    Il pavimento è in leggera pendenza verso NNE in modo da assicurare il deflusso delle acque verso le aperture degli emissari e quindi ai canali di distribuzione.
Le camere sono coperte da volte a botte di opus caementicium gettato su armature di legno la cui impronta è ancora visibile. I blocchi di caementa sono costituiti da materiale tufaceo, più leggero. Lo spessore della gettata arriva fino a 57 cm.
    Al centro di alcune volte si aprono pozzetti, molti dei quali realizzati in età post romana per accedere alla cisterne dalle nuove abitazioni sovrastanti che le utilizzavano come cantine. Un pozzetto porta direttamente all'aperto, in Largo Maranesi (davanti a San Domenico).
    La cisterna poggia su una robusta e spessa platea in opera cementizia formata da   conglomerato di malta e caementa di piccole dimensioni con superficie abbastanza levigata; in alcune camere il pavimento è stato ricoperto con mattoni durante i lavori di restauro e ripristino del complesso occorsi tra la fine dell'Ottocento e il Novecento.
    La cisterna era alimentata con acqua captata all'interno della sovrastante collina dai numerosi pozzi e canali sotterranei: essi, a diverse quote, captavano abbondante acqua potabile e la convogliavano verso la nostra vasca di tenuta attraverso un grosso condotto che terminava all'interno della cisterna con tanti piccoli tubuli.

    L'esame delle malte, dei laterizi e della tecnica edilizia porta a concludere che questa cisterna è contemporanea all'altra, posta tra Via Mazzini e Viale Vittorio Veneto (sotto al Comune) e a gran parte della rete di cunicoli e canali sotterranei, quindi fa parte di un vasto, organico e contemporaneo intervento di sistemazione dell'apporvvigionamento idrico e di altri aspetti dell'urbanistica cittadina.cisterne04.jpg (31319 byte)
   
    Un impegno pubblico così notevole è ricollegabile solo ai grossi lavori di ristrutturazione urbanistica della città che seguirono, in età augustea, la deduzione dei veterani ad opera di Ottaviano, quindi la realizzione delle cisterne è databile verso la fine del I sec. a.C.; datazione che non contrasta nemmeno con la tipologia dei laterizi: nell'area picena l'uso del mattone cotto fu più precoce che in altre parti dell'impero.

    Da un bollo IMP. ANTO. AUG. (diffuso anche a Ravenna, Rimini, Bologna, Ferrara, Trieste e in Istria), presente all'interno della cisterna si può dedurre che essa  - a causa dell'usura derivante dalla sua stessa funzione - ebbe bisogno di essere sottoposta a primi lavori di restauri già in un periodo databile tra Antonino Pio e i Severi (150 - 300 d.C.).
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    Come già accennato, nel contesto urbanistico di Firmum, la principale cisterna non ebbe solo la funzione di vasca di tenuta per l'acqua, ma anche funzone di contenimento e sostruzione per parte dello spazio forense.

    Verso la fine dell'Ottocento la cisterna fu svuotata dai notevoli detriti accumulatisi nel corso dei secoli, fu restaurata, con l'eliminazione dei numerosi strappi (realizzati, nelle volte e nei muri perimetrali, dai proprietari delle abitazioni sovrastanti per utilizzare le sale della cisterna come cantine) ed è stata in parte riutilizzata come vasca di tenuta dell'acquedoto fermano fino al 1980 quando sono stati completati gli ultimi lavori di restauro che rendono la cisterna oggi interamente visitabile e ammirabile nel suo splendore.
    Oggi vi si accede da un ingresso moderno aperto in Via degli Aceti (foto a lato), l'unico praticabile dopo la chiusura di quelli antichi da Vicolo Chiuso 1, da Largo Maranesi (ex Convento di San Domenico) e di quelli medievali aperti da alcuni edifici privati sovrastanti.

 

 

cisterne16.1.jpg (30379 byte)II - Cisterna secondaria

    La seconda cisterna è stata costruita sul versante sud della collina, fra le quote 290 e 295, all'interno di un terrazzamento contenuto a sud da un muro in opus quadratum oggi prospicente su Viale Vittorio Veneto.

    Sopra di essa nel XIV sec. è stato costruito il convento dei Frati Apostoliti, edificio che oggi ospita gli uffici comunali di Via Mazzini.
    L'accesso alla cisterna (oggi utilizzata come Museo Archeologico) è da Largo Calzecchi Onesti.
   
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    L'interno è a pianta rettangolare (28 x 12,6, planimetria nell'immagine a lato); la muratura perimetrale può essere oggi osservata, nella facciavista e in sezione, in corrispondenza della parete est, che oggi prospetta su Largo Calzecchi Onesti (capolinea degli autobus, immagine sopra) e nella quale sono state aperte in epoca succesiva a quella romana due porte e due finestre. Trattasi di opera cementizia con ciottoli fluviali di medie e grandi dimensioni e piccoli e medi frammenti di pietra misti a malta abbondante.
    L'interno è suddiviso in sei settori rettangolari coperti con volte a botte (altezza circa 4,75 metri) da pareti ortogonali nelle quali si aprono passaggi con archi a tutto sesto e rivestito da laterizi tranne le volte che sono in opera cementizia a vista, gettata in armature lignee di cui sono visibili le impronte. Secondo il De Minicis (1841) l'interno era impermeabilizzato da un rivestimento di uno spesso strato di opus signinum che però deve essere stato asportato nel corso di lavori abusivi compiuti dopo l'ultimo dopoguerra.
    La cisterna poggia su una platea in opera cementizia; il pavimento è in conglomerato di malta con pietre di piccole dimensioni.
    L'acqua era immessa nelle camere da numerose bocchette; non ci sono più tracce di emissari, ma l'acqua poteva essere attinta anche dai numerosi pozzetti aperti sulle volte.
L'ingresso antico era posto sul lato ovest, nella parte superiore della parete verso la volta, poi coperto in epoca medievale. Oggi vi si accede dal lato est (prospicente su Largo T. C. Onesti) attraverso una apertura realizzata in epoca tardo medievale, assieme alle due vicine finestre e ad un nuovo passaggio che la metteva in comunicazione col palazzo sovrastante: in epoca post-romana la cisterna è stata utilizzata per diversi scopi, il più importante, dal Cinquecento all'Ottocento, quello di carcere, quando il palazzo sovrastante era la sede del Governatore o della Prefettura.

    Le caratteristiche strutturali e la tecnica edilizia del complesso sono analoghe a quella della cisterna principale e inducono a datarla nella prima età imperiale (I sec. a.C. - d.C.) se non addirittura ad un'epoca precedente, tardo repubblicana; in questa seconda ipotesi la costruzione di questa cisterna avrebbe preceduto l'altra e non sarebbe legata ai lavori di ampliamento urbanistico conseguenti alla deduzione della colonia di veterani effettuata in periodo augusteo.
    Dopo svariati usi e numerose modifiche subite nel corso dei secoli (non da ultimo quella di essere diventata, dal XIV sec., le fondamenta del convento degli Apostoliti che gli è stato costruito sopra: odierno palazzo del Comune nella sola ala prospicente su Viale Vittorio Veneto), la cisterna è destinata dal 1957 a raccogliere la raccolta archeologica del Comune, già collocata nella Biblioteca e nel Palazzo dei Priori; ristrutturata negli anni Sessanta e Settanta, oggi ospita l'Antiquarium, Museo Archeologico di Fermo.

 

cisterne15.1.jpg (8182 byte)III - Terza cisterna

    Nel 1927, durante i lavori per la costruzione di un serbatoio eseguiti sul Girfalco, venne alla luce una piccola cisterna rivestita di un laterizio che aveva caratteristiche affini a quelle della cisterna più importante.
    Essa è costituita da quattro ambienti non comunicanti tra loro e coperti con volte a botte; la larghezza totale della struttura (6,8 x 4,6) è compatibile con le dimensioni tipiche di cisterne romane, non invece l'altezza, che è solo un metro e mezzo (planimetria e sezione a lato).
    È ubicata a 14 metri di distanza dall'estremità sud-est della Chiesa Cattedrale alla profondità di 2 metri dall'attuale piano di calpestio dei giardini, in corrispondenza del punto ove essi presentano una sopraelevazione, volutamente non carrabile, utilizzata per bambinopoli.
    A differenza delle altre due, dopo i rilievi del 1927 essa è stata di nuovo interrata e oggi non è visibile.

 

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Nella planimetria a sinistra (tratta dal libro "Firmum Picenum"), la collocazione urbanistica di due delle tre cisterne.

La più grande è ubicata sotto a via Paccaroni, tra la chiesa di San Domenico, il suo convento (22) e il palazzo della ex BNA (23).

La seconda si trova sotto al palazzo che oggi ospita gli uffici municipali (27)

La terza (che non figura nell'immagine) si trova sotto ai giardini del  Duomo (piazzale del Girfalco).

 

 

 

 

IV - Pozzi e condotti sotterranei

    Il sistema di drenaggio e di approvvigionamento idrico era costituito anche da una rete di condotti sotteranei e da un sistema di pozzi.

    1) Cunicolo tagliato dall'ampliamento di Via Ognissanti e di cui si vede la sezione nel pendio a monte di questa, a quota 301 m. s.l.m.;

    2) Cunicolo rilevato nel 1985 e che si sviluppa nei sotterranei del Duomo; l'accesso avviene attraverso un pozzo verticale che si apre nella cripta del Duomo e le cui pareti non sono rivestite, cosa che consente l'osservazione degli strati naturali del terreno della collina (alternanze di arenarie - calcareniti e sabbie: foto in basso); si sviluppa per una lunghezza di circa 17 metri e termina con due ostruzioni dovute a frane.

    3) Cunicolo che si sviluppa sotto al Teatro romano; vi si accede da una camera che ha svolto in passato la funzione di cisterna e che adesso si trova all'interno del cortile dell'Istituto Artigianelli. Numerosi apporti dal fianco verso monte che drenano molta acqua.

    4) Cunicolo complesso formato da due rami di cui quello più lungo si sviluppa nel sottosuolo della collina dietro ai portici a monte; l'altro verso l'abside della Cattedrale. Entrambi i rami arrivano fino all'area di cattura della falda ed entrambi sono ostruiti da frane.
    Questa canalizzazione ha la doppia funzione di collettore per la captazione e il trasporto dell'acqua e di bonifica delle acque di versante che trasudano dalla scarpata occidentale dietro a piazza del Popolo.
    L'accesso avviene da una camera di decantazione (cisterna) riadattata dopo la costruzione, nel XIII sec., del palazzo del Podestà, sede oggi della Biblioteca Comunale.

    5) Canalizzazione complessa cui si accede dalle cantine di Palazzo Azzolino e da un tombino in Via del Comune. Il condotto si sviluppa parallelo a Via recanati e lungo Corso Cefalonia; riceve acqua da una ramificazione che si sviluppa verso Piazza del Popolo la quale capta acqua proveniente dall'area del Duomo e dalla scarpata Est-Nord-Est (prospicente sopra alla Biblioteca) di questo. Dispone di tre pozzi intermedi posti lungo il Corso e in Via dell'Università.
    Tra i vari aspetti interessanti, esso dispone di un sistema di canali sovrapposti e paralleli nell'area di cattura che garantivano la captazione dell'acqua sia in piena che in magra, a seconda del livello stagionale della falda.
    Le adduzioni, troncate da opere successive o da frane, avvenivano da monte, mentre la distrubuzione si sviluppava verso valle, in cui c'erano probabilmente aree aperte di drenaggio.
    Ai piedi del ramo verso Via Recanati, ancor oggi è funzionante una fontana, di recente sistemazione (difronte all'angolo del Liceo Classico, detta "Fontana delle pisciarelle"); nella stessa area, più a nord (vicino a Largo Tito Appalio), si trova una fontana di epoca romana (vedi più in basso), mentre sempre in direzione dello stesso canale a valle, però fuori le mura, esiste un sistema di fonti (dette "di San Francesco di Paola" per il vicino convento), la cui sistemazione attuale risale al Medioevo, ma che non è escluso sia il riadattamento di fonti romane.

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IL POZZO CHE PARTE DAI SOTTERRANEI DEL DUOMO

 

V - Le fontane

    Sono due le fontane appartenenti all'epoca romana: una è ancora esistente, dell'altra abbiamo notizie certe della sua rilevazione, avvenuta nell'Ottocento.
   
    1) Nel versante nord est del centro storico, vicino a Largo Tito Appalio, incorporata in proprietà private, è ubicata una fontana o "mostra d'acqua" in opera cementizia (ciottoli di fiume, calcare, malta) con paramento in laterizio (mattoni rossastri o giallo-rosati).
Il prospetto esterno è caratterizzato da grandi nicchie, separate da pilastri o lesene aggettanti, con spazi che ospitavano statue o altri elementi decorativi. L'interno è stato ostruito da superfetazioni di epoca presumibilmente medievale.

    2) Nel corso di lavori eseguiti nel 1830 nelle scuderie di Palazzo Falconi (già Spinucci), venne alla luce un nifale, o cella termale, adorno di quattro statue mutilate, dissotterrato nello scavare le fondamenta del palazzo; c'erano ancora alcune bargnaruole e quattro nicchie per collocarvi le statue. Poteva trattarsi forse anche di un fontana; in ogni caso però l'alimentazione poteva essere assicurata dalla sovrastante cisterna (quella posta tra Viale Vittorio Veneto e Via Mazzini) e da un cunicolo; notare che tutt'oggi sul lato est di Palazzo Falconi è funzionante una fontana.
    Tredici anni più tardi, in occasione delle nozze fra Francesco Falconi e Anna Erioni le statue furono trasferite a Palazzo Erioni e tuttora decorano il monumentale scalone che, proprio per questo motivo, è stato dichiararato dal Ministero Monumento Nazionale.

    Fuori Porta San Francesco è presente un complesso detto Fonti di San Francesco di Paola, dal nome del vicino convento dei Frati Minimi di S. Francesco di Paola (che prima avevano sede dove oggi sono le Benedettine, e che in un secondo momento si sono trasferiti nel complesso che poi, dalla fine dell'Ottocento, ha ospitato l'Ospedale Psichiatrico).
    Dette fonti risalgono al XIII sec.; esse si trovano lungo una probabile direttrice di una delle canalizzazioni romane sotterranee che scendevano dal centro storico in direzione nordest (odierna Via Perpenti) verso il porto e non è escluso che siano una ricostruzione avvenuta nel Medioevo su una precedente struttura romana.


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