Ricordo  di  Paolo Ungari   

    

    La multiforme attività del Professor Paolo Ungari è ben nota anche ad un pubblico estraneo agli ambienti accademici.

   Il giurista, il costituzionalista, il politico e l’editorialista hanno lasciato un segno profondo nella storia civile del nostro Paese, e gli hanno procurato una fama anche internazionale assolutamente meritata.

   Paolo Ungari fu rigoroso nei suoi studi, fu maestro scrupoloso e attento per i suoi tantissimi allievi.

    In ambito politico dobbia­mo a lui non solo convinte campagne in favore dei diritti civili, ma anche un contributo legislativo che meriterebbe uno studio specifico.

   La sua pubblicistica poi, con il suo stile al tempo stesso appassionato e garbato, ha posto alla riflessione dell’opinione pubblica temi assai importanti, come il rispetto delle garanzie costituzionali o la tradizione culturale e civile liberal-democratica, su cui troppo spesso il dibattito politico culturale in Italia colpevolmente sorvola.

   C'é però un'attività di Paolo Ungari che sembra sconosciuta ai più, compresi coloro che gli furono vicini nel lavoro e nell'impegno civile, ed è la concreta azione in favore dei perseguitati per motivi di coscienza.

   Si tratta di iniziative condotte con grandissima riservatezza, sfruttando canali ufficiali ma spesso anche collegamenti per cosi dire coperti, frutto di legami costruiti con pazienza in tantissimi anni di attività interna e internazionale.

   Un lavoro cominciato molti anni prima che assumesse 1'incarico di Presidente della commissione sui Diritti Umani della Presidenza del consiglio dei ministri, conferitagli dal Governo presieduto da Bettino Craxi.

   In questo c'è la grande coerenza di un uomo, cresciuto alla scuola liberal-democratica, che interpretava alla lettera in binomio mazzi­niano "pensiero e azione" traducendolo in atti concreti in favore di chi vedeva ristretto in carcere, o costretto all'esilio, o con condanne a morte pendenti sulla testa.

    È una strada che Ungari comincia a percorrere fin dagli anni della sua militanza nell’Unione Goliardica Italiana, quando si adoperò in favore di dissidenti dell’Europa dell’est, facendosi protagonista di campagne pubbliche, ma cominciando anche a studiare le istituzioni inter­nazionali preposte alla tutela dei diritti umani, che allora muovevano i primi passi.

    Negli anni '70 si interessò anche all'America meridionale e in particolare si impegnò in favore degli esuli cileni in seguito al colpo di stato dal generale Pinochet, costruendo un rapporto di stretta collaborazione con il compianto Beniamin Trenlínskv. giovane collaboratore di Salvador Allende, che trovò asilo proprio in Italia e poté svolgere la sua attività di studioso anche alla Libera Università Internazionale degli Studi Sociali, per poi tornare in patria ed essere chiamato a far parte degli ultimi governi democratici di quel paese andino.

    L'amicizia con Paolo Ungari proseguì anche a distanza, e si tradusse in una serie di attività in favore dei perseguitati politici in America Latina proseguite fino a questi ultimi anni.

   Chi scrive ha avuto la fortuna di incontrare Ungari agli inizi degli anni '80 quando, rispondendo con entusiasmo all'appello di un gruppo di giovani di aria liberal-democratica e socialista riformista, dette un grande contributo al successo dei circolo culturale "Il Voltaire", che animò a Roma il dibattito sui temi dei progresso civile in Italia e del suo ruolo nel consesso di quelli che allora si chiamavano i paesi liberi.  

 

    Il gruppo fu da lui coinvolto anche nel "Comitato di Solidarietà con il Popolo Afgano", nato in seguito a un grande convegno promosso dalla rivista Mondo Operaio e che trovò una sede nell'allora Convento occupato in via del Colosseo grazie a11'ospitalità del dottor Vincenzo Calò.

 

    In quell'ambito nacquero una serie di iniziative umanitarie, le più efficaci delle quali furono poste in essere soprattutto grazie a Paolo Ungari e a Carlo Ripa di Meana, prima a dopo la sua nomina a Commissario Europeo.

 

    Ma l'attenzione del Nostro non si limitava solo a quel paese vittima dell'invasione sovietica.

 

    Capitò che alcuni dissidenti iraniani, soprattutto membri dell'organizzazione chiamata Consiglio nazionale delta Resistenza Iraniana, spesso colpiti da condanne a morte, cercassero asilo in Italia e si trovassero di fronte ad autorità pubbliche scarsamente sensibili.

 

    In molti casi Ungari riuscì a salvare letteralmente la vita a questi esuli, rivolgendosi con estrema discrezione, ma con altrettanta fermezza al Governo, alle competenti agenzie delle Nazioni Unite, alle Ambasciate dei paesi amici.

 

    Grazie a questo lavoro divenne amico di Mohammedan Hossein Naghdi, già diplomatico e rappresentante in Italia del Consiglio, barbaramente trucidato a Roma nel 1993 probabilmente dai servizi segreti iraniani.

 

    Contemporaneamente analoghi interventi furono necessari a proposito di alcuni esuli eritrei, in una situazione assai più intricate dal punto di vista giuridico, essendo l'Eritrea formalmente una provincia dell'Etiopia.

 

     In questi casi fu preziosa la collaborazione dell'allora sottosegretario agli Affari Interni Raffaele Costa, che si dimostrò sempre estremamente sensibile, e che, cosa rara per un uomo politico, non usò mai questi interventi umanitari per acquisire benemerenze presso l'opinione pubblica ma mantenne sempre quella discrezione necessaria a mantenere attivi i canali per gli interventi futuri.

   

    Le iniziative di Paolo Ungari in favore di singoli casi di perseguitati, ma anche contro le dittature i totalitarismi di tutti i tipi, proseguirono con efficacia rafforzata nel momento in cui assunse la presidenza della Commissione per i Diritti Umani presso la Presidenza del Consiglio, che lui interpretò in maniera operativa, facendone centro di dibattito giuridico, civile e culturale, ma anche lavorando per salvare il maggior numero di esseri umani dalle grinfie degli aguzzini.

    

    Una ricerca in merito è assai difficile, per il carattere necessariamente riservato di tali interventi, ma anche per la modestia dell'uomo, che da laico osservava il precetto evangelico in materia di carità “La mano destra non sappia quello che fa la sinistra”.

    

    Talché tra le sue innumerevoli carte è arduo trovare tracce delle molte sue "covered actions" in favore di perseguitati politici.

 

    Una ricerca in merito sarebbe però assai importante, in primo luogo per rendere pienamente merito all'uomo, ma anche, a forse soprattutto, per riscrivere un capitolo delle relazioni internazionali dell'Italia di cui Paolo Ungari, e insieme a lui molti personaggi più o meno noti, scrissero pagine fondamentali.

 

    Testimoni per fortuna ne esistono, e possono essere trovati tra i responsabili di molti organismi e associazioni come Amnesty International, il Comitato Helsinky, Nessuno tocchi Caino, la Commissione per i rifugiati delle Nazioni Unite, le Ambasciate di Stati Uniti, Canada, Georgia, Moldavia, Colombia e altre, e poi i gruppi politici e i rappresentanti della Resistenza Afgana, Iraniana, Eritrea, del Cile, di Cuba a di altri paesi oppressi ancora.

 

    Perché per Paolo Ungari era valida la massima di Thomas Pains che dice: “Dove non è la libertà, là è la mia Patria”.

 

Giorgio Ferrari