CHE L'8 MARZO ISPIRI LE MASSE FEMMINILI A LOTTARE PER L'ITALIA UNITA, ROSSA E SOCIALISTA

di Monica Martenghi*

Novanta sono gli anni trascorsi da quando nel 1910 fu istituita dalla Conferenza delle donne socialiste di Copenaghen la giornata internazionale della donna. A scegliere di celebrare questa giornata ogni anno, l'8 Marzo, fu poi la Conferenza internazionale delle donne comuniste del '21 per ricordare la grande manifestazione di massa delle donne di Pietrogrado - dell'8 Marzo 1917 - preludio della Grande Rivoluzione d'Ottobre.
Noi marxisti-leninisti italiani continuiamo con orgoglio ed entusiasmo a celebrare in modo militante questa giornata perché forte e immutato è il nostro interesse all'emancipazione della donna.
Molte ragazze di oggi non conoscono le origini dell'8 Marzo, ma anche la maggioranza delle donne adulte e anziane le ignorano o hanno perso, per colpa dell'egemonia e dell'influenza della direzione revisionista, femminista e borghese dei partiti falsamente comunisti, la coscienza di classe della storia, del significato e del valore della giornata internazionale della donna. Occorre recuperarla o acquisirla al più presto. Prima che dell'8 Marzo se ne approprino definitivamente il governo, la Chiesa e persino i fascisti.
Perché l'8 Marzo non è la festa della mimosa o una generica festa della donna, e tantomeno il giorno in cui le donne si prendono uno spazio o una rivincita individuale e personale andando da sole a cena o in discoteca.
L'8 Marzo fu istituito, su proposta delle marxiste-leniniste russe ed europee, ispirate da Lenin, per ricordare il martirio delle 129 operaie della Cotton di New York, morte nel 1908 nell'incendio della fabbrica in cui il padrone le aveva rinchiuse. Esso ricorda quindi innanzitutto il tributo di sangue pagato dalla classe operaia femminile nella lotta contro lo sfruttamento capitalista e per l'emancipazione sociale. Esso fu istituito per diffondere, sostenere e trasmettere di generazione in generazione in tutto il mondo il grande ideale dell'emancipazione della donna e con questo spirito è stato celebrato per decenni anche nel nostro Paese prima che i riformisti, i revisionisti, le femministe e i falsi comunisti riuscissero gradualmente a trasformarlo in un appuntamento interclassista, deideologizzato, deproletarizzato e decomunistizzato.
La perdita della coscienza della storia, del valore e del significato dell'8 Marzo ha segnato un grave arretramento per le masse femminili. Perché insieme a ciò esse hanno perso anche il senso del proprio cammino, hanno perso la via della propria emancipazione, sono state impantanate nel parlamentarismo, nel riformismo, nell'elettoralismo e nel femminismo borghesi e rese impotenti di fronte alla continua e feroce aggressione a tutti i loro diritti e conquiste costati anni di sacrifici e di lotta.
Finché le masse femminili del nostro Paese, nonostante la perniciosa influenza ed egemonia del PCI revisionista, erano ispirate dall'Urss di Lenin e Stalin, e in seguito, specie nel Sessantotto, dalla Cina di Mao, hanno volato in alto e osato conquistarsi la loro metà del cielo. Oggi sono disgregate, impotenti e ricacciate dalla classe dominante borghese in camicia nera ai margini della vita sociale e politica, nella famiglia e nelle quattro mura domestiche.

LA CONDIZIONE FEMMINILE SOTTO D'ALEMA

Sette donne su dieci non hanno un lavoro. Quelle che lo hanno, sacrificate alla flessibilità capitalistica, svolgono per lo più un lavoro precario, a part-time, stagionale, a domicilio, a tempo determinato, interinale, ``atipico'', vanificando così nei fatti anche la formale parità uomo-donna nel lavoro. Il lavoro nero e il caporalato la fanno ancora da padroni, specie al Sud. Secondo uno studio del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, in Italia le donne, occupate o no, si sobbarcano del lavoro familiare e domestico lavorando mediamente il 28% in più degli uomini. Sono ancora milioni le donne costrette nella disoccupazione forzata rappresentata dalla casalinghità.
Le masse femminili stanno pagando un prezzo altissimo alla politica del governo del rinnegato D'Alema che sta lavorando per accrescere la competitività del capitalismo italiano e fare dell'Italia una grande potenza imperialista europea e mondiale. In particolare, la controriforma dello ``Stato sociale'' e l'affermazione a tutto campo della politica familista di stampo cattolico e mussoliniano stanno peggiorando verticalmente la condizione femminile.
Come ai tempi del fascismo e come da sempre auspica la destra cattolica, democristiana e fascista, la famiglia è tornata ad essere l'architrave della politica sociale dello Stato capitalista e al suo interno si tenta di rinchiudere nuovamente la donna.
Questa politica consiste nel porre la famiglia, fondata sul matrimonio possibilmente cattolico e strettamente eterosessuale, come soggetto principale dei diritti economici e sociali in luogo delle masse lavoratrici, femminili e popolari. Lo scopo è quello di scaricare sulla famiglia tutto il peso dei servizi sociali, assistenziali e sanitari che spetterebbero allo Stato. In base a questa politica infatti spetta alla famiglia, magari in cambio di miseri sussidi, organizzare e prestare la cura e l'assistenza ai suoi componenti in stato di bisogno: dai bambini piccoli, agli anziani, agli invalidi, agli handicappati, ai tossicodipendenti.
Vanno in questo senso la legge sui congedi parentali, approvata recentemente dal parlamento su proposta della ministra diessina Livia Turco, che obbliga di fatto i genitori, ma in ultima analisi le donne, ad occuparsi dei figli fino all'ottavo anno di età rinunciando ad ampie quote di salario. Oppure la controriforma degli asili nido che prevede persino l'istituzione dei cosiddetti ``nidi familiari''.
Attraverso la legge Turco-Signorino sul riordino dei servizi sociali, attualmente in discussione alla Camera, la famiglia addirittura sarà obbligata per legge a sostenere economicamente e ad assistere ogni suo membro. Infatti attraverso l'istituzione del ``redditometro'', cioè il documento che attesta la situazione economica del nucleo familiare - che i comuni, come già fanno, possono estendere fino a includere i familiari non coresidenti - e prendendo come riferimento il reddito familiare e non più quello individuale per avere o meno accesso alle prestazioni sociali e sanitarie dello Stato viene elevato a legge il principio reazionario e cattolico del ``solidarismo familiare''.
Tutte queste misure fanno parte integrante della controriforma dello ``Stato sociale'', o meglio della sua totale cancellazione secondo il principio della ``sussidiarietà'' che significa il ritiro dello Stato dai compiti di erogare, organizzare e gestire i servizi sociali, assistenziali e sanitari per lasciarli in mano al mercato privato, al volontariato specie cattolico e soprattutto alle famiglie. Una politica che riflette l'esigenza del capitalismo di ridurre al minimo la spesa pubblica per dirottare le risorse finanziarie dello Stato sulle imprese e il mercato.
Va da sé che questa politica familista torna a rendere primario e irrinunciabile il ruolo domestico e familiare che da sempre il capitalismo assegna alle donne. A loro in ultima analisi spetta il compito di accollarsi gli oneri della cancellazione delle prestazioni sociali pubbliche e della loro privatizzazione.
La martellante campagna sulla ``difesa della famiglia e della vita'', che non tralascia l'accorato appello alla natalità di mussoliniana memoria, condotta in prima persona dal papa e dalla Chiesa cattolica e fatta propria e sostenuta indistintamente dalla destra come dalla ``sinistra'' del regime, serve a supportare ideologicamente e culturalmente questa politica liberista, reazionaria e antifemminile e a giustificare l'introduzione nello Stato, nel diritto e nella pratica sociale della concezione e dei dogmi cattolici sulla famiglia, la maternità, l'embrione e l'aborto.
In questo quadro si inserisce anche la ormai prossima approvazione della legge sulla riproduzione assistita che vieta la fecondazione artificiale ``eterologa'', cioè col seme di un donatore, e introduce per la prima volta nel diritto borghese il principio del diritto giuridico del ``concepito'', e non più solo del nascituro, ponendo le basi per una revisione restrittiva della legge sull'aborto e un serio veto a tutta la ricerca e la sperimentazione scientifica sugli embrioni, anche a quelle finalizzate all'individuazione precoce delle malformazioni e alla loro cura.
è necessario lanciare una grande controffensiva ideologica, culturale e politica contro questa concezione reazionaria e clericale del mondo, della famiglia e della donna e contro le misure governative che da essa derivano. Non si tratta come fa il gruppo dirigente neorevisionista e trotzkista del PRC di contrapporre al familismo borghese l'individualismo borghese, ai diritti della famiglia quelli dei singoli cittadini secondo una classica visione liberale, magari di ``sinistra'', che non mette in discussione la società capitalista e la sua struttura e sovrastruttura economica e sociale.

LE LEVE FONDAMENTALI DELLA EMANCIPAZIONE

Al familismo reazionario, cattolico e antifemminile occorre contrapporre con forza la strategia globale e vincente dell'emancipazione della donna così come è stata elaborata e attuata dai grandi maestri del proletariato internazionale Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao e come è stata ripresa, sviluppata e applicata in Italia dal PMLI.
Come ha affermato l'Ufficio politico del PMLI nel documento del 23 febbraio 1999, ``Noi proponiamo alle donne sfruttate e oppresse di andare al nocciolo del problema impugnando le due leve principali della strategia dell'emancipazione della donna: quella della lotta per il lavoro a tutte le donne e quella per la socializzazione del lavoro domestico. Sono queste le due grandi battaglie capaci di mettere completamente in discussione il ruolo subalterno ed emarginato che il sistema capitalistico, il governo e il papa assegnano alle donne. Queste due grandi battaglie hanno una grande importanza sia per la presa di coscienza del problema da parte delle donne e la rivoluzionarizzazione del loro modo di pensare e concepire il proprio ruolo e la propria esistenza, sia per il terremoto politico e sociale che oggettivamente possono suscitare nei rapporti fra i sessi, all'interno della famiglia e dell'intera società. Attraverso queste due grandi battaglie è possibile infliggere dei colpi durissimi alla classe dominante borghese e al suo sistema economico e politico, alla sua organizzazione sociale e alla sua sovrastruttura ideologica e morale e dare quindi un grande contributo alla complessiva lotta di classe anticapitalista e per il socialismo''.
Per difendere gli interessi immediati delle masse femminili e per far avanzare queste due grandi battaglie strategiche noi proponiamo di battersi senza tregua per il lavoro stabile e a salario pieno, per le 35 ore a parità di salario per legge, in tutte le aziende, comprese quelle con meno di 15 dipendenti, per le pensioni pubbliche, per le pensioni di anzianità e l'età pensionabile a 55 anni per le donne, per l'abolizione del ``sanitometro'' e del ``riccometro''.
Dobbiamo rivendicare la costruzione di una fitta rete di servizi sociali pubblici a basso costo su tutto il territorio nazionale, specie nel Mezzogiorno, e autogestiti dalle masse stesse. Un'attenzione particolare deve essere rivolta ai servizi per l'infanzia, gli anziani e gli handicappati, come asili, scuole materne, refezioni scolastiche, centri estivi e per l'orario extrascolastico, assistenza domiciliare per persone non autosufficienti, centri di riabilitazione psico-motoria e per la cura e la disintossicazione dei tossicodipendenti, servizi di trasporto e accompagnamento pubblici e gratuiti per anziani e invalidi in caso di visite, analisi e cure sanitarie. Per quanto riguarda il lavoro domestico vero e proprio vanno estese le mense aziendali e scolastiche, vanno rivendicate mense di quartiere, lavanderie e stiratorie pubbliche, centri di rammendo e di manutenzione degli indumenti, squadre pubbliche di pulizie degli alloggi a prezzi popolari.
Per emancipare le coscienze, soddisfare i diritti sociali e civili e, infine, per dare un colpo alla concezione dogmatica e cattolica della vita e della famiglia chiediamo la legittimazione delle ricerche e delle sperimentazioni biogenetiche sugli embrioni e sui feti, nonché il diritto uguale per tutti, ivi compresi le coppie di fatto, omosessuali e singoli, ad accedere alla fecondazione assistita ``omologa'' e non, nelle strutture pubbliche.
In questo quadro salutiamo la coraggiosa e storica sentenza del giudice romano Chiara Schettini che ha ammesso la ``maternità surrogata'', autorizzando il prestito gratuito dell'utero all'impianto di un ovulo di una donna sterile.
Chiediamo inoltre il riconoscimento delle unioni civili e di fatto, anche tra omosessuali. Tutti i nuclei familiari, comunque costituiti, vanno considerati alla pari, con gli stessi diritti e gli stessi trattamenti sociali ed economici.
Coerentemente con questa linea, occorre che le masse femminili prendano in seria considerazione il voto astensionista alle prossime elezioni del 16 aprile per il rinnovo dei consigli regionali, provinciali e comunali per punire concretamente la loro politica liberista, federalista e antifemminile che spesso, come nel caso dei servizi sanitari e sociali, precorre quella del governo centrale.

LOTTARE PER IL SOCIALISMO

Tutto questo con la coscienza che nessuna di queste battaglie può essere vinta pienamente e in via definitiva nel capitalismo. Solo il socialismo potrà infatti gettare tutte le basi necessarie per una completa emancipazione della donna che nella sostanza consiste nella più assoluta eguaglianza economica, sociale, politica, giuridica, morale e culturale tra i due sessi, nelle piccole come nelle grandi cose, nella vita privata come nella vita pubblica.
Le masse femminili sfruttate e oppresse hanno quindi un motivo in più per combattere con tutte le loro forze contro la seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista e per aprire la strada all'Italia unita, rossa e socialista. Tanto più concreto e decisivo sarà il loro contributo quanto più comprenderanno la necessità di unirsi al PMLI per costruire un grande, forte e radicato Partito marxista-leninista per dare di nuovo le ali alla lotta di classe e alla lotta per l'emancipazione femminile e il socialismo.
La maggior parte del lavoro per stringere le masse femminili al Partito spetta ovviamente alle nostre compagne che mai in nessuna circostanza e di fronte a nessuno ostacolo devono dimenticare quanto è decisivo il loro apporto per la causa dell'emancipazione, del socialismo e del Partito.
Ad esse, alle simpatizzanti del Partito, a tutte le masse femminili sfruttate e oppresse e alle ragazze rivoluzionarie giunga l'augurio del PMLI di un buon 8 Marzo.
Che l'8 Marzo ispiri le masse femminili a lottare per l'Italia unita, rossa e socialista!
Coi maestri vinceremo!
 
 
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* Responsabile della Commissione per il lavoro femminile del CC del PMLI