Altri 20 poliziotti indagati per il blitz alla scuola "Diaz'' per i fatti del G8
La Barbera, Gratteri e Canterini accusati di falso e calunnia. Volevano incastrare i no global
Le molotov trovate alla "Diaz'' erano della polizia
Uno dopo l'altro si stanno frantumando i pretesti con cui i massimi dirigenti dell'"ordine pubblico'' a Genova nei giorni del G8 giustificarono il sanguinoso blitz poliziesco di stampo fascista compiuto il 21 luglio 2001 alla scuola "Diaz-Pertini'', che si concluse col ferimento di 62 giovani no global e 93 fermi dei quali poi 92 giudicati illegittimi. Accurati atti istruttori messi insieme dalla procura di Genova stanno dimostrando che quelle prove che avrebbero dovuto giustificare l'irruzione sono fasulle, la polizia le ha "fabbricate'' ad arte per incastrare i no global.
L'ultima svolta delle indagini, sicuramente la più clamorosa, viene dalle due molotov che il portavoce del capo della polizia De Gennaro, Roberto Sgalla, il 22 luglio mostrò come preda di guerra in conferenza stampa, assieme a un ridicolo "bottino'' fatto di coltellini svizzeri, macchine fotografiche, libri, fazzoletti di carta, assorbenti interni, maschere antigas e un piccone (in proposito ricordiamo che nella scuola c'era un cantiere aperto). Ebbene i magistrati sono convinti che quelle molotov vennero rinvenute molte ore prima in tutt'altra parte della città e che alla Diaz furono introdotte dai poliziotti protagonisti del blitz. Finiscono così tra gli indagati i pezzi da novanta delle "forze dell'ordine'' che concordarono e presero parte al blitz. Dovranno rispondere non solo dei reati di concorso in lesioni gravi e omissione di controllo con l'aggravante di essere pubblici ufficiali in servizio, ma anche di falso e calunnia per una serie di episodi risultati fin da subito torbidi, l'ex capo dell'antiterrorismo Arnaldo La Barbera, oggi ai vertici del Cesis, Francesco Gratteri, tuttora capo del Servizio Centrale Operativo e Vincenzo Canterini, dirigente della celere nella capitale e in particolare del Nucleo sperimentale antisommossa sciolto subito dopo il G8. Questa volta gli avvisi di garanzia sono stati firmati da tutto il pool dei magistrati, compreso l'aggiunto Francesco Lalla, che fino ad ora aveva cercato di parare le responsabilità dei vertici della polizia e nascondere le responsabilità politiche del governo.

La vera storia delle molotov
I guai per i tre alti funzionari si sono materializzati il 10 giugno quando nell'ufficio di un sostituto procuratore di Bari è stato interrogato per rogatoria il vicequestore Pasquale Guaglione, per chiarire la storia delle due molotov confezionate in due bottiglie di vino, che in un suo rapporto diceva di aver ritrovato il pomeriggio del 21 luglio in un cespuglio di Corso Italia e di aver consegnato ad un blindato del reparto mobile di Roma (quello di Vincenzo Canterini) per la consegna in questura. Nei verbali della questura però non c'è traccia di questo sequestro. Agli atti ci sono invece quelle "rinvenute'' alla Diaz e che tutti hanno potuto vedere ben inquadrate dalle telecamere. Sul loro rinvenimento durante il blitz però regna la più grande confusione, non si sa chi le abbia trovate materialmente, né in quale stanza, e neppure a quale piano (c'è chi scrive al piano terra, chi al primo). Da un funzionario della questura di Roma viene pure fornito il nome dell'agente che avrebbe custodito le bottiglie incendiarie dopo il loro ritrovamento, ma questi non risultava in servizio quella sera. E ovviamente neppure è dato sapere perché gli zelanti poliziotti abbiano "trascurato'' di rilevare le impronte digitali sui due rudimentali ordigni dal momento che i 93 fermi potevano essere giustificati solo dal fatto di individuare a chi appartenessero le molotov, poiché non è reato possedere coltellini svizzeri né tanto meno ad "armi improprie'' sono assimilabili gli assorbenti interni o i pennarelli indelebili sequestrati ai giovani no global. In ogni caso le molotov non avrebbero affatto giustificato il sanguinoso pestaggio a cui si abbandonarono i celerini.
Il "giallo'' è stato chiarito involontariamente dal vicequestore Guaglione, che alla domanda del pm se riconosceva in foto le due molotov, ha affermato con sicurezza che erano quelle da lui rinvenute in Corso Italia nel pomeriggio.

Le "prove" fabbricate dalla polizia
Per i pm genovesi la vicenda delle molotov è solo una delle messinscena della polizia. A partire dalla sassaiola che intorno alle 19 del 21 luglio avrebbe preso di mira un'autopattuglia dalle finestre della Diaz, e che secondo quanto ha riconfermato La Barbera ai pm Pinto e Zucca che lo hanno interrogato per sei ore il 19 giugno scorso, fu il motivo ufficiale che determinò la decisione del blitz. Nessuna prova è stata mai trovata per quel racconto, nemmeno una ammaccatura sulle auto di servizio e l'agente che raccontò l'episodio non lo ha mai confermato davanti ai pm.
Poi è venuta fuori la coltellata a Nucera, agente dell'ex celere di Canterini, l'episodio più grave della presunta "resistenza'' dei no global della Diaz. Falso anch'esso, dal momento che secondo una perizia del Ris le lacerazioni su giubbotto e corpetto sono incompatibili con l'aggressione denunciata. Del resto gli stessi poliziotti hanno dichiarato che molti no global dormivano o erano nei sacchi a pelo e che un gruppetto fu trovato addirittura nascosto in uno sgabuzzino per sfuggire ai colpi. Infine, è stato scoperto che i poliziotti si sono "inventati'' due feriti nelle fantomatiche colluttazioni coi "black bloc'': davanti ai giudici hanno ammesso di essersi fatti male all'esterno, uno addirittura mentre portava una barella. Circa le molotov introdotte dalla polizia, manca solo da dimostrare che la "perquisizione'' non venne decisa la sera ma nel pomeriggio e a tavolino. Intanto è stato stralciato il fascicolo sulla perquisizione estesa "per errore'' alla scuola di fronte, la Pertini. Il personale delle squadre mobili al comando di Salvatore Gava, funzionario di Sassari è accusato di aver distrutto computer e attrezzature del Media center e degli avvocati del Gsf. Per i blitz alle due scuole sono partiti altri 20 avvisi di garanzia per perquisizione arbitraria, falso e danneggiamenti (oltre alle lesioni) e furto aggravato. Identificato dai magistrati anche il poliziotto accusato di violenze a Bolzaneto. Sarebbero quasi tutti identificati gli agenti di polizia di stato, polizia penitenziaria e carabinieri indicati come gli autori delle violenze nella caserma di Bolzaneto. Tra questi vi è il nome del funzionario che ha seviziato un manifestante, afferrandogli indice e medio con una mano e anulare e mignolo con l'altra fratturandogli la mano in più punti.

Il blitz fu una spedizione punitiva fascista
Si sfalda così il tentativo di circoscrivere le responsabilità del "massacro'' alla Diaz alla sola "manovalanza'', ossia ai 70 uomini di Canterini. I pm sembrano intenzionati a non contentarsi dei soli capri espiatori, ma a voler dimostrare l'illegittimità dell'intera operazione-Diaz, fatta passare come una perquisizione mentre invece era qualcos'altro, ossia, diciamo noi, una spedizione punitiva squadristica di puro stampo mussoliniano. Una rappresaglia fascista che non può non essere stata concordata e autorizzata dal governo del neoduce Berlusconi. Su questo terreno i pm genovesi però ci vanno ancora cauti. "Forse era una specie di rastrellamento - ipotizza un pm -. Gli arresti eseguiti in piazza erano pochi, poco più di cento a fronte di scontri durissimi e alla Diaz potevano prendere decine di persone in un colpo solo. Certo però non si spiega tanta violenza''.
Riguardo alle molotov, se la ricostruzione sarà confermata, ci sono due ipotesi, la più grave è che tutto sia stato costruito a tavolino, molotov comprese, per giustificare il blitz fascista e gli arresti. L'altra è che si sia deciso di ripescare le molotov di Corso Italia in un secondo momento, per dare una giustificazione al massacro, dal momento che nella scuola non erano stati trovati né "black bloc'' né armi.
Comunque trova conferma quel che noi denunciammo già all'indomani del massacro alla Diaz e delle selvagge cariche di piazza: tutto quello che è successo a Genova non è stato il frutto di "incapacità'' o di "perdita di controllo'' da parte del governo e delle "forze dell'ordine'', ma faceva parte di un piano prestabilito e ben orchestrato dal neoduce Berlusconi col suo fido tirapiedi Scajola e in combutta coi servizi segreti dei paesi "alleati'' per impedire e stroncare a qualsiasi costo quella che si preannunciava, e poi si è realizzata, come la più grande manifestazione internazionale contro la globalizzazione imperialista.

3 luglio 2002