Sulla linea di Porto Alegre e della "democrazia partecipativa"
L'ASSEMBLEA DEI
SOCIAL FORUM MUTA SUL GOVERNO E L'IMPERIALISMO
Nella piattaforma
approvata dominano il riformismo, l'operaismo e il pacifismo. Le "tute
bianche" si riciclano come "disobbedienti"
L'INGANNO DELLA PAROLA D'ORDINE: "UN ALTRO MONDO E' IN
COSTRUZIONE"
Dove va il movimento
anti-global dopo Genova e dopo l'inizio della guerra imperialista
all'Afghanistan? A questa domanda doveva rispondere la prima assemblea dei
social forum che si è tenuta nei giorni 20 e 21 ottobre a Firenze nell'ex
stazione Leopolda.
Una domanda a cui però non è stata data risposta perché l'Assemblea, alla
quale hanno partecipato circa 1000 persone, non ha praticamente deciso nulla di
ciò che era nelle premesse e in particolare la nascita del Forum sociale
italiano. L'unica cosa che è stata sancita è la fine dell'esperienza del Genoa
social forum, l'organismo nato per organizzare la mobilitazione anti-G8 di
luglio, ed è stato avviato un "percorso", quanto mai incerto e
indefinito, che dovrebbe portare a un nuovo "patto di lavoro" fra le
varie componenti del movimento e quindi alla costituzione del Forum sociale
italiano.
Un "percorso" che Agnoletto, Casarini e soci vorrebbero si concludesse
(c'è chi dice a Venezia a metà dicembre) prima del secondo appuntamento del
Forum sociale mondiale di Porto Alegre, che si terrà a gennaio-febbraio
dell'anno prossimo. Obiettivo tutt'altro che scontato.
Per ora le varie organizzazioni nazionali che di fatto detengono la direzione e
l'egemonia del movimento - che fanno più o meno capo al PRC, all'area dei
"centri sociali", all'Arci, alla sinistra diessina, a settori di
cattolici, come quelli raggruppati nella Rete Lilliput, ai Cobas -, non sono
riusciti a giungere a una sintesi sui contenuti, la linea, le modalità
organizzative e la direzione di questo nuovo organismo nazionale e ciò ha
sancito il fallimento dell'assemblea. Essa, infatti, che pure era l'assemblea
dei Social forum, non è stata affatto luogo di confronto fra le realtà locali,
attualmente intorno a 150, che sono sorte dopo Genova. Anche chi ha parlato a
nome di social forum locali era ben distinguibile come rappresentante locale
delle suddette organizzazioni nazionali e non come portavoce di tali organismi.
Segno evidente che non è la democrazia diretta il principio e la pratica che
animano attualmente i social forum locali, e men che mai sono stati il principio
e la pratica dell'Assemblea di Firenze dove i giochi si svolgevano dietro le
quinte, nelle trattative fra i vari rappresentanti di partito e di
organizzazioni nazionali.
L'unica mozione conclusiva unitaria che è stata approvata è quella che ha
promosso tre giorni di mobilitazione, l'8, il 9 e il 10 novembre, contro la
guerra e il Wto. Ma anche in questo caso, per non creare fratture con la
componente più apertamente pacifista che era contraria, è stato rinunciato a
promuovere una manifestazione nazionale a Roma, come era nei progetti iniziali
fin da luglio, e per definire la guerra è stata scelta la formula generica
della "guerra economica, sociale e militare", certamente lontana mille
anni luce dalla sua corretta definizione di guerra imperialista.
ASSENZA DI UNA STRATEGIA ANTIMPERIALISTA
La cosa che balza agli occhi nella mozione conclusiva, così come negli altri
documenti prodotti dai vari gruppi di discussione che si sono riuniti nel
pomeriggio del 20, nonché negli interventi dei dirigenti come Agnoletto,
Casarini, Caruso, è la completa assenza di attacco al governo del neoduce
Berlusconi e all'imperialismo. Non una parola sulla natura, la composizione e la
politica di questo governo guerrafondaio e assassino, nonostante Genova e
nonostante l'entrata dell'Italia in guerra. Non una condanna ferma e aperta del
parlamento nero che ha ratificato tale decisione e in particolare dei
guerrafondai dirigenti diessini e dell'Ulivo dai quali evidentemente non si vuol
prendere le distanze, come è successo alla marcia Perugia-Assisi.
L'imperialismo poi continua a non esistere, come se la guerra contro
l'Afghanistan non avesse né padre né madre, fosse mossa da forze invisibili,
senza volto e non da Stati imperialisti ben individuabili e riconoscibili e fra
questi l'imperialismo italiano ed europeo.
Ma in quest'ambito occorre registrare che anche la lotta contro la
globalizzazione, va sempre più sfumando. Non solo si insiste che questo
movimento si oppone solo a "questa" globalizzazione, ma Agnoletto ha
ribadito che questo movimento non deve essere più definito
"antiglobal", perché in realtà è un movimento
"propositivo" cioè un movimento che si pone l'obiettivo di una
"globalizzazione dei diritti", ossia una globalizzazione
"diversa", dal "volto umano" come sostengono anche molti
esponenti dell'imperialismo stesso, oltreché il papa e il Vaticano.
L'assenza di una corretta e coerente linea anticapitalista e antimperialista
condiziona anche le piattaforme contenute nei documenti dei vari gruppi di
discussione (pace e guerra, Fao e Wto", migranti, saperi e formazione,
comunicazione, Finanziaria sociale, economia e lavoro) nelle quali dominano il
riformismo, l'operaismo e il pacifismo che si riflettono in parole d'ordine come
"democrazia economica", "economia sociale", "economia
sostenibile", "redistribuzione delle risorse",
"redistribuzione della ricchezza", "commercio equo e
solidale", "pace nella giustizia", "riforma dell'Onu".
IL "LABORATORIO DELLA DISOBBEDIENZA SOCIALE"
A sottolineare la frantumazione piuttosto che l'unità delle varie componenti
del movimento, il battesimo, durante il primo giorno di assemblea, del
"Laboratorio della disobbedienza sociale" promosso da "tute
bianche" (già mandate in soffitta dopo Genova) di Luca Casarini, dalla
Rete no-global di Napoli di Francesco Caruso e dai Giovani comunisti
(l'organizzazione giovanile del PRC) di Peppe De Cristoforo sulla base
dell'esperienza realizzata dalle stesse organizzazioni a Genova allo stadio
Carlini.
Ancora questi ormai noti imbroglioni politici non hanno ben chiarito quali sono
i contenuti, la piattaforma e i fini di detto "Laboratorio" che,
secondo Casarini, "non è un luogo stabile e statico, ma una
sperimentazione di rete nella rete che vuole contribuire anche ad innovare
l'idea di organizzazione politica dentro il movimento e per il movimento".
Un "Laboratorio" che si colloca fuori e dentro il Social forum
nazionale e che "sulla base dell'esperienza zapatista, cercherà di
coniugare conflitto e consenso" dandosi un primo momento di verifica dopo
l'incontro del prossimo Porto Alegre.
Quello che risulta chiaro è che se mai il Forum sociale italiano alla fine
nascerà, esso sarà una costola del Social forum mondiale di Porto Alegre e
avrà come stella polare la "democrazia partecipativa". Questo è
comunque l'obiettivo che persegue la maggioranza dell'attuale direzione del
movimento, con l'unica eccezione dei Cobas di Piero Bernocchi che per il momento
stanno tenendo una posizione critica su questo punto.
L'INGANNO DI PORTO ALEGRE
L'esperienza di Porto Alegre, città brasiliana capitale dello Stato del Rio
Grande do Sul, il cui governo è retto dal Partito dei lavoratori (PT) del
Brasile con rappresentanti che si dichiarano apertamente trotzkisti, e in cui è
stata elaborata e attuata per la prima volta la "democrazia
partecipativa", viene infatti presentata come il punto di riferimento del
movimento, come modello di un nuovo rapporto fra istituzioni rappresentative e
masse popolari, come una vera e propria "alternativa di società",
alternativa alla "globalizzazione".
"Vogliamo creare una nuova società e sperimentare metodi di democrazia
partecipativa", ha detto nel saluto iniziale Gabriella Bertozzo, del social
forum fiorentino che ha tenuto la presidenza dell'assemblea.
Su questo ha insistito Agnonetto su "Liberazione" del 23 ottobre nel
definire il "Patto di Lavoro" sulla base del quale deve costituirsi il
Forum sociale italiano: "Un patto contro la guerra, contro il terrorismo e
per un mondo più giusto e più solidale da realizzarsi con lo spirito e la
cultura che ci viene dal grande Forum di Porto Alegre dello scorso gennaio,
dall'indimenticabile esperienza delle giornate di Genova. Cultura e pratica con
la quale in tanti torneremo nel gennaio del prossimo anno a Porto Alegre per
dire che sì, è proprio vero, anche da noi 'un altro mondo è già in
costruzione'".
"Un altro mondo è in costruzione" era anche la parola d'ordine
dell'assemblea di Firenze e sarà la parola d'ordine del prossimo incontro di
Porto Alegre. Una parola d'ordine ingannatoria e fuorviante almeno per quattro
motivi fondamentali: 1) perché non si crea un nuovo mondo senza combattere e
abbattere l'imperialismo che domina l'attuale mondo; 2) perché per creare un
nuovo mondo bisogna iniziare col combattere e abbattere il proprio imperialismo,
nel nostro caso quello italiano, e il governo che ne regge le sorti; 3) perché
non è un mondo nuovo quello che si basa sulla "democrazia
partecipativa", una sorta di patto cogestionario che serve ad asservire la
classe operaia e i popoli alle istituzioni rappresentative e ai governi
capitalisti e imperialisti; 4) perché l'unico mondo diverso possibile e
necessario è il socialismo, ossia la società in cui il potere politico è
saldamente in mano al proletariato, l'unica classe veramente capace di
emancipare l'intera umanità e veramente interessata a un mondo senza
sfruttamento dell'uomo sull'uomo, oppressione e guerra, discriminazioni di razza
e di sesso, distruzione dell'ambiente e delle risorse naturali del pianeta. Il
resto è il solito inganno socialdemocratico, riformista e pacifista che non ha
mai storto un'unghia all'imperialismo e al capitalismo.
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