IL GOVERNO AVALLA L'ASTA TRUCCATA PER I TELEFONI UMTS
Per recuperare i miliardi persi i governanti promettono di accelerare le privatizzazioni
LA PROCURA DI ROMA E LA CORTE DEI CONTI APRONO DELLE INCHIESTE
Si era parlato di 40-50 mila miliardi. Qualcuno si era spinto a ipotizzare addirittura 80 mila miliardi. A tanto era arrivata la valutazione delle cinque licenze per i telefonini della terza generazione, gli Umts (acronimo di Universal Mobile Telecommunication System), quelli che dal 2002 potranno ricevere anche immagini a colori e navigare in Internet ad alta velocità, che il governo aveva messo in palio attraverso un'asta fra sei concorrenti ammessi. E invece l'asta è finita quasi subito, per il ritiro di un concorrente, il consorzio Blu, con poco più di 20 mila miliardi di ricavo per lo Stato e forti sospetti di gara truccata, tanto che sulla vicenda hanno aperto inchieste sia la magistratura romana che la Corte dei conti, e perfino l'Antitrust.
Ma ricapitoliamo i fatti: il 19 ottobre, dopo mesi di preparativi non privi di polemiche sollevate dalle società escluse, il governo dà finalmente il via all'asta per l'aggiudicazione delle cinque licenze previste per l'Italia per i telefonini a tecnologia Umts, la tecnologia dei cellulari del futuro che dovrà sostituire quella Gsm. Sono state ammesse alla gara sei società: Tim, della Telecom Italia; Omnitel, della tedesca Vodafone; Wind, di proprietà Enel e France Telecom; Blu, di proprietà della società Autostrade per il 32% (a sua volta controllata dal gruppo Benetton, che figura anche come socio diretto con un altro 9%) e per il 20% da British Telecom, più altri soci minori tra cui Mediaset, Caltagirone, Bnl; Andala, un consorzio che ha come soci di maggioranza la cinese Hutchinson Whampoa e Tiscali; e infine il gruppo Ipse, guidato dalla spagnola Telefonica, e a cui partecipano anche Fiat e Banca di Roma.
La base d'asta ammonta a 4 mila miliardi per concorrente, ma il governo conta di ricavare molto di più dei 20 mila miliardi minimi di partenza, tanto che ha già iscritto a bilancio nel Dpef, e quindi nella Finanziaria, 65 mila miliardi di ricavi tra licenze UMTS e privatizzazioni, tra cui la seconda tranche dell'Enel, l'Iri e la restante quota della Telecom. Con i ricavi della gara il governo progetta anche di coprire una serie di spese, tra cui il finanziamento della ricostruzione delle zone alluvionate del Piemonte e della Val D'Aosta.

INTERESSI DA CAPOGIRO
L'aspettativa di così cospicui introiti è motivata dagli interessi da capogiro collegati al business dei telefonini del futuro, di cui un recente esempio è stato fornito dall'esito delle aste supermiliardarie in Germania e Regno Unito, dove i due governi sono riusciti a incamerare dalle società concorrenti rispettivamente 100 mila e 75 mila miliardi. Si pensa quindi che l'Italia farà almeno altrettanto. Eppure, già alcuni giorni prima del via alla gara, qualcosa sembra non quadrare con questo roseo scenario, ed emergono sulla stampa chiare avvisaglie di quello che sarebbe effettivamente successo di lì a poco.
Circolano per esempio insistenti voci che uno dei concorrenti, il consorzio Blu, non abbia la forza finanziaria effettiva per partecipare validamente all'asta, e che potrebbe quindi ritirarsi ai primi rilanci, determinando la fine stessa dell'asta, in quanto resterebbero in gara giusto cinque candidati per cinque licenze. Si dice anche che un altro concorrente, probabilmente Ipse, punti alla licenza solo per poi rivenderla a prezzo maggiorato a qualche altro operatore, dato che non avrebbe nessuna intenzione di far fronte ai giganteschi investimenti che la tecnologia UMTS comporta.
Si dice anche che il governo è al corrente delle difficoltà di Blu (e difatti poi il ministro delle Comunicazioni Cardinale ammetterà in seguito di aver ricevuto una lettera del presidente di Blu e di Autostrade S.P.A., Giancarlo Elia Valori, datata 14 ottobre, in cui si prospettavano tali difficoltà), e che invece di preoccuparsene e di rivedere il regolamento di gara, abbassando il numero delle licenze, avrebbe fatto pressioni sui vertici di Blu perché nonostante tutto non si ritirasse dall'asta, pur sapendo dei rischi di un suo probabile fallimento. Infine circolano anche pesanti voci di collusione tra Blu e gli altri partecipanti, per far chiudere l'asta a un valore più basso del previsto e realizzare così cospicui risparmi sul prezzo delle licenze. Secondo tali voci Blu sarebbe stata ricompensata in seguito con la partecipazione ad una delle società vincitrici della gara.
I primi round della gara, svoltisi il 19 e 20 ottobre in un bunker super sorvegliato, confermano la fondatezza di queste voci. In pochi rilanci il piatto sale di 3.250 miliardi, portando l'offerta complessiva da 20.000 a 23.250 miliardi. Calcolando altri 1.600 miliardi a testa che dovrebbero sborsare Andala e Ipse, per ottenere i due blocchi di frequenze aggiuntive per mettersi in pari con i concorrenti più vecchi nel mercato, l'incasso per il governo sale a 26.450 miliardi. Ma a fronte delle dichiarazioni soddisfatte del governo, già a questo punto scoppia il bubbone Blu, che in evidente affanno nel continuare i rilanci chiede una sospensione della gara per consultare i propri soci sull'opportunità o meno di proseguire. L'associazione dei consumatori Adusbef, sentendo puzza di bruciato, chiede che il governo blocchi l'asta e riveda il regolamento riducendo le licenze.
Timori fondatissimi, perché alla ripresa, il 23 ottobre, Blu decide di abbandonare la gara, e il governo deve dichiarare chiusa l'asta a 23.250 miliardi, con grande soddisfazione degli altri cinque concorrenti che ottengono le licenze con una minima spesa oltre la base d'asta, e con grave smacco per il governo Amato, che ottiene dalla grande abbuffata telefonica molto meno di quanto aveva preventivato.

"ACCELERARE LE PRIVATIZZAZIONI''
Per rifarsi della figuraccia il Consiglio dei ministri decide di non restituire a Blu la fideiussione di 4 mila miliardi depositata a cauzione per partecipare all'asta, come penale per aver violato il regolamento di gara, in quanto la società avrebbe annunciato il ritiro prima dei rilanci, invece di "passare'' la mano come avrebbe potuto per due volte, provocando così la chiusura della gara al valore raggiunto nella seduta precedente, anziché a un valore che avrebbe potuto essere più alto. Ovviamente Blu protesta e ricorre contro il provvedimento in sede legale. Inoltre l'esecutivo annuncia con grande enfasi che l'esito imprevisto della gara non peserà sul bilancio, perché saranno accelerate le privatizzazioni: "Visto che contavamo di poter dare anche attraverso questo introito forte una riduzione del debito pubblico - dichiara il ministro della Funzione pubblica Bassanini - bisogna valutare se ci sono misure alternative , come potrebbero essere l'accelerazione di alcuni processi di privatizzazione''.
Ma lo scandalo si allarga, con denunce del Codacons e dell'Adusbef, e con l'apertura di due inchieste, per ora contro ignoti: una della Procura di Roma, con l'ipotesi di aggiotaggio e turbativa d'asta, e forse anche omissione di atti d'ufficio, e l'altra della Corte dei Conti, per verificare un eventuale danno per l'erario. E mentre la guardia di finanza visita gli uffici di Blu, dei ministeri del Tesoro e delle Comunicazioni, e perfino Palazzo Chigi alla ricerca di documenti per far luce sulla vicenda, anche l'Antitrust scende in campo per valutare se ci siano gli estremi per sospettare un accordo sottobanco tra i consorzi ammessi alla gara.
Si dice che alla base del ritiro di Blu dalla corsa ci siano i disaccordi emersi tra i soci sull'opportunità di sostenere o meno i rischi dei pesanti investimenti richiesti dall'Umts. In particolare tra Benetton e British Telecom, con quest'ultimo socio che si sarebbe tirato indietro al momento di assumere sulle proprie spalle il grosso dell'impegno finanziario. Resta il fatto però assai grave e tutto da chiarire che il governo quantomeno era perfettamente a conoscenza di questa situazione precaria di Blu, e non ha fatto nulla per cautelarsi rivedendo il regolamento della gara.
Vi furono infatti non una, ma diverse lettere che tra giugno e ottobre i responsabili del consorzio Blu inviarono ad Amato e a diversi ministri coinvolti nella vicenda, per far presente le sue difficoltà interne e sollevare dubbi sulla sua capacità di affrontare la gara, circostanza ammessa anche dal ministro Cardinale. Perché il governo non se ne preoccupò e andò avanti come se nulla fosse, nonostante gli allarmi sollevati da più parti e i pesanti sospetti di asta truccata?