Al ballottaggio per le elezioni amministrative
L'ASTENSIONISMO SBARAGLIA I PARTITI DEL REGIME: SOLO IL 41,7% AI SEGGI
Disfatta storica dei DS. Dura lezione al governo D'Alema. Il "centro sinistra" perde anche la sua roccaforte Bologna nonostante i voti gratuiti e servili del PRC. Il Polo guadagna posizioni rispetto alla "sinistra" del regime
E' L'ORA DI DARE FORZA AL PMLI

Al ballottaggio per le elezioni amministrative del 27 giugno l'astensionismo si è abbattuto come un ciclone sui partiti del regime. Solo il 41,7% dei quasi 20 milioni di elettori che ne avevano diritto si sono presentati ai seggi. Mai così pochi, in nessuna consultazione elettorale precedente né politica, né europea, né amministrativa. Si tratta di un evento che segna la chiusura di una fase nella storia elettorale del nostro Paese e ne apre un'altra.
Rispetto al primo turno del 13 giugno l'affluenza alle urne è calata del 31,7%. Rispetto all'ultimo ballottaggio per le elezioni comunali e provinciali del 1998 è calata dell'11,7%. Eppure in gioco c'erano partite decisive, combattute sul filo di lama e con un gigantesco dispiego di mezzi propagandistici per conservare o conquistare poltrone di potere importanti e storiche come quella di Bologna. Ma i ricatti, le pressioni, i richiami al cuore e ai sentimenti specie per gli elettori di sinistra non sono bastati a rimuovere le ragioni della loro scelta astensionista.
Ragioni che vanno ricercate soprattutto nel rigetto verso i partiti e le istituzioni del regime neofascista, verso i loro programmi e realizzazioni concrete. è finita ormai l'epoca in cui l'elettorato esprimeva soprattutto un voto di bandiera e di appartenenza legato all'adesione a un ideale e a una concezione generale della società e della politica. Una volta che i partiti parlamentari hanno fatto cadere gli steccati fra destra e sinistra, fra fascismo e antifascismo, fra capitalismo e socialismo per omologarsi tutti sul terreno del liberalismo, del liberismo, del neofascismo e della seconda repubblica, gli elettori li giudicano ora soprattutto sulla base del loro operato.
L'elettorato di sinistra non ha potuto in particolare digerire il sostegno del governo D'Alema e dei diessini alla guerra imperialista contro la Serbia, all'ennesimo attacco alle pensioni, ma anche al modo di governare le amministrazioni locali votate ormai alle privatizzazioni e alla svendita dei servizi sociali e pubblici, a preservare gli interessi del mercato capitalistico e della borghesia locale, a favorire gli interessi della Chiesa e dei privati nella scuola, a lasciare irrisolti i problemi della disoccupazione, della deindustrializzazione, della miseria, dell'abbandono delle periferie urbane.
Chi ha scelto l'astensionismo ha espresso un voto cosciente, responsabile, impegnato e chiaro come non mai. Lo dimostra anche il fatto che questa volta ad avere lo scettro dell'astensionismo è stato il Nord dove non è andato a votare il 59% con uno scarto minimo eppur significativo rispetto al Sud dove non è andato a votare il 58,6%. Mentre nel Centro non è andato a votare il 46,7% e nelle Isole il 40,5% (ma in questo caso c'era il voto di ballottaggio alle regionali della Sardegna). è il Nord, cuore della classe operaia, dell'elettorato più cosciente e qualificato che ha dunque scelto di disertare le urne compiendo un atto di rottura storico con le proprie tradizioni elettorali che lo vedevano prigioniero del partecipazionismo e dell'elettoralismo inculcato per oltre un secolo dai falsi comunisti. Ne sono campioni significativi le province operaie di Torino, Brescia e Milano dove non sono andati a votare rispettivamente il 63,9%, il 63,2%, e il 62,8%, quasi due elettori su tre.
Per la prima volta gli stessi partiti della "sinistra" del regime ammettono che a penalizzarli è stato l'astensionismo, sono stati quegli elettori che astenendosi li hanno voluti punire per il loro modo di governare a livello nazionale e a livello locale dando la stura a un malessere, a un dissenso e a una protesta che covavano da tempo. La salita al governo della "sinistra" del regime ha accelerato questo processo. L'esperienza dell'amministrazione locale si è saldata con quella del governo centrale. Il malgoverno locale non ha avuto nemmeno più l'alibi del governo centrale "nemico". I nodi sono venuti tutti al pettine e hanno segnato una disfatta storica per i DS e una dura lezione al governo D'Alema. Dopo le profonde ferite subite nelle elezioni europee e al primo turno delle amministrative è arrivato il colpo finale del ballottaggio.

LA DISFATTA DEI DS A BOLOGNA

L'emblema di questa disfatta è la perdita dell'amministrazione comunale di Bologna governata fin dal dopoguerra e ininterrottamente dal PCI. Qui i non votanti sono stati il 32,4% e moltissimi, 28.487, sono stati i voti nulli. Il PCI nel 1975 a Bologna poteva ancora contare su 179 mila voti alle comunali, i DS quest'anno ne contano 57 mila, appena un terzo.
Bologna era il simbolo nazionale e internazionale del potere dei revisionisti italiani, del loro modo di governare. Ne erano perfettamente consapevoli gli elettori di sinistra bolognesi che gli hanno voltato le spalle e si sono astenuti. Sapevano che colpire i DS a Bologna voleva dire far cadere un mito che sembrava indistruttibile e rompere definitivamente i vecchi equilibri. Non si spiega altrimenti il perché ben 21 mila elettori che avevano votato i DS alle europee si siano astenuti alle amministrative, e perché fra il 1• e il 2• turno la candidata del "centro sinistra" Bartolini abbia perso verso l'astensionismo altri 7 mila voti, nonostante gli 11 mila voti gratuitamente e servilmente offerti dal PRC. E così è successo ad Arezzo, altra roccaforte del potere revisionista, dove il candidato del "centro sinistra" Nepi ha perso fra il 1• e il secondo turno 3 mila voti, decisivi per perdere il confronto con il candidato del "centro destra" che si è limitato a conservare i voti presi il 13 giugno.
Evidentemente anche gli elettori del PRC non sono caduti nella trappola tesa da quell'imbroglione neorevisionista e trotzkista di Bertinotti che ufficialmente si è accordato col "centro sinistra" in 23 province su 66 e in 10 comuni capoluogo su 28, e anche là dove gli è stato rifiutato l'apparentamento, come è successo a Bologna e ad Arezzo, al secondo turno ha comunque fatto appello al proprio elettorato a votare per i candidati del "centro sinistra".
Tutto questo non è bastato ad arginare le perdite del "centro sinistra" che in questa tornata ha conquistato solo 46 province su 66 mentre in precedenza ne governava 58, e 18 comuni capoluogo su 28 mentre prima ne governava 24. E anche in quelle province e comuni dove è riuscito a mantenere il potere lo ha fatto perdendo migliaia di voti e con percentuali assai al di sotto di 4 anni fa come è successo a Firenze, altra roccaforte su cui ora sembrano concentrarsi le attenzioni dei diessini per creare un'alternativa alla caduta del mito Bologna.
La destra del regime non ha vinto e infatti generalmente ha perso voti in termini assoluti quasi ovunque. L'elettorato non ha voluto premiare la destra. La quale ha solo vinto il confronto con la "sinistra" del regime che è stata punita attraverso l'astensionismo.
I DS escono con le ossa completamente rotte, svuotati di forze ed energie, oltreché di voti e credibilità. Questo partito rischia l'estinzione. Non può più esistere sulla base del PCI e nemmeno del PDS. Il blocco sociale ed elettorale di questi partiti si è ormai definitivamente disgregato. La sinistra sociale lo ha in gran parte abbandonato e la rincorsa a destra non lo ha ancora ripagato in termini elettorali anche perché lo spazio in quest'area è superaffollato. Scartata in partenza l'ipotesi di un riposizionamento a sinistra, non resta ai DS che l'ulteriore scivolamento a destra come lo stesso segretario Veltroni ha prospettato con la proposta dell'Ulivo 2.
Stessa sorte sembra ormai toccare ai suoi partiti satelliti PdCI e PRC. Il primo parla apertamente della necessità di "rifondazione" e di un "patto di programma, un patto di unità di azione che parta dalla sinistra e si estenda a tutta la coalizione" aprendo questa proposta anche al PRC. Bertinotti, da par suo, rilancia la proposta di "costruire immediatamente un luogo dove tutte le forze della sinistra alternativa si incontrino per una prospettiva politica comune e un programma di azione per l'immediato invertendo la tendenza all'incomunicabilità", e tuttavia apre decisamente al governo proponendo alla "sinistra moderata" di "riavviare una ricerca, critica e autocritica, sulle prospettive stesse della sinistra e delle sinistre, sulle sfide nuove, che sono poste a tutti. Noi, per parte nostra, crediamo necessaria anzi ineludibile una innovazione radicale".
Anche altri partiti o correnti di essi come la Lega e il PPI, dopo la batosta elettorale parlano della necessità di "rifondazione".

APPELLO AGLI ANTICAPITALISTI

In sostanza, l'astensionismo ha provocato dei veri scossoni fra i partiti del regime. Esso rappresenta un fatto storico di enormi proporzioni, ma che da solo non può bastare ad aprire un'alternativa all'attuale sistema capitalistico e all'attuale regime neofascista, presidenzialista, federalista e interventista.
Occorre partire da questo brillante risultato e mettersi subito a lavorare perché quest'astensionismo si trasformi in un astensionismo anticapitalista e antimperialista, in lotta aperta per il socialismo.
Ovviamente questa trasformazione non può avvenire spontaneamente, per moto proprio. Perché questa coscienza si sviluppi a livello di massa, in primo luogo fra l'elettorato di sinistra, occorre l'opera del Partito del proletariato. Ci vuole un grande, forte e radicato Partito marxista-leninista capace di compiere un lavoro capillare, paziente e profondo in ogni fabbrica, azienda, scuola, quartiere, città e regione per rimuovere le acque stagnanti, risanare lo sconquasso ideologico e politico causato dai revisionisti di destra e di "sinistra" nella coscienza delle masse, armare le masse, con particolare attenzione verso le ragazze e i ragazzi, del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e rilanciare la lotta di classe contro il capitalismo e per il socialismo. Facendo soprattutto comprendere che la madre di tutte le questioni è la conquista del potere politico da parte del proletariato.
Decisivo è che la classe operaia si risvegli e prenda la direzione della lotta contro il capitalismo e l'imperialismo, per l'Italia unita, rossa e socialista.
Grandi sono le responsabilità che pesano sul nostro Partito e in particolare sui suoi quadri nell'applicare correttamente la linea del 4• Congresso nazionale del PMLI, ma altrettanto grandi sono le responsabilità storiche, politiche e organizzative che pesano sulle spalle di tutti gli anticapitalisti. Ormai hanno avuto il tempo di riflettere, hanno avuto prove e controprove della reale natura dei partiti dei falsi comunisti di destra e di "sinistra", della palude in cui li hanno impantanati. Ora è il momento di dare tutta la forza al PMLI, il Partito del proletariato, della riscossa e della vittoria. Specie chi già ci conosce non può aspettare oltre.
è questo l'appello che il compagno Giovanni Scuderi ha lanciato con forza agli autentici anticapitalisti diversamente organizzati nel dibattito referendario di Napoli del 9 Aprile di quest'anno. Egli li ha esortati "ad aprire da subito un confronto e un dialogo col PMLI per verificare se esistono le condizioni per unire le forze dentro il nostro Partito o al suo fianco per lavorare assieme per aprire una nuova e più avanzata situazione politica, organizzativa e pratica in Italia. Non capiremmo un silenzio a questo appello. La storia lo condannerebbe".