Non vanno ai seggi il 41,1% nel ballottaggio dell'8 e 9 giugno 2003
Diserzione in massa dalle urne
Nel ballottaggio dell'8-9 giugno ha disertato le urne il 41,1% dell'elettorato. Una vera e propria diserzione di massa.
Al ballottaggio erano interessate 3 province siciliane: Caltanissetta, Siracusa e Trapani. 49 comuni, di cui 6 capoluoghi di provincia, ossia Brescia, Sondrio, Treviso, Vicenza, Pescara e Ragusa.
Nelle provinciali i votanti non hanno nemmeno raggiunto il 50% degli elettori. Infatti, ben il 50,7% non si è presentato ai seggi. Hanno disertato i seggi il 54,1% degli elettori a Caltanissetta, il 52,1% a Siracusa e il 46,9% a Trapani.
Rispetto al primo turno i votanti nelle tre province sono calati del 15,8%, passando dal 65,1% al 49,3%.
Nei comuni la diserzione è stata del 43,3% con un calo di votanti fra primo e secondo turno del 9,6%, passando dal 76,3% al 66,7%. Il record spetta a due comuni siciliani, Licata (Agrigento) dove non è andato alle urne il 57,5% degli elettori, e Riesi (Caltanissetta) col 53,2%.
Nei comuni capoluoghi il record dell'astensionismo totale (chi ha disertato le urne, più chi ha lasciato la scheda nulla o bianca) spetta a Vicenza, col 40,5%, che ha anche il maggior incremento fra il primo e il secondo turno con un +9,7%. Poi vengono Treviso col 37,8% e Sondrio col 32,9%.
Buono il dato dell'astensionismo a Udine dove l'8-9 giugno si è votato per il sindaco e il nuovo consiglio comunale al primo turno, in base al diverso calendario deciso dalla regione autonoma del Friuli-Venezia Giulia. A Udine, l'astensionismo si attesta al 33% e, nonostante un leggero calo rispetto alle precedenti elezioni, resta il primo "partito" della città.
Il calo dell'affluenza alle urne fra il primo e il secondo turno è un po' meno marcato rispetto all'analogo registrato nelle elezioni provinciali del 1998 e nelle precedenti comunali. Ciò significa che una parte dell'elettorato che sceglieva l'astensionismo al ballottaggio, quando la scelta si riduce a due soli candidati e schieramenti, questa volta ha subìto il richiamo alle urne dei partiti del regime.
Visti i risultati, sembra credibile che questo richiamo sia stato più forte verso l'elettorato di sinistra. Infatti, considerando i voti su cui potevano contare in base ai risultati delle liste che li sostenevano al primo turno, risulta che i candidati del "centro-sinistra" sono stati meno penalizzati dall'astensionismo "aggiuntivo" (cioè l'incremento osservato fra il primo e il secondo turno) rispetto a quelli del "centro-destra".
Ciò conferma che c'è una parte di elettorato di sinistra che, pur avendo abbattuto il tabù di non recarsi alle urne, oscilla fra astensionismo e partecipazionismo elettorale, sensibile ai ricatti morali e politici dei partiti della "sinistra" borghese, ivi compreso il falso partito comunista di Bertinotti. E che questo ricatto, esercitato anche dai leader dei movimenti antiberlusconiani, noglobal, pacifisti, ecc., ha pesato particolarmente in questa tornata elettorale. Paradossalmente, proprio la parte più avanzata e combattiva delle masse, coloro che hanno partecipato ai movimenti in difesa dell'art. 18, contro la guerra, contro il governo Berlusconi, hanno finito - pur di "non far vincere la destra" - col riversare i propri voti sul "centro-sinistra" e i suoi paggetti del PRC, pur non amandoli.
E' attraverso l'inganno e le influenze elettoraliste, parlamentariste e governative che oggi il "centro-sinistra" può cantar vittoria, spacciando addirittura questo risultato elettorale come "l'inizio della fine" del governo Berlusconi. In realtà, a conclusione dell'intera tornata, vi è stata solo una diversa distribuzione di governi fra la "sinistra" e la destra borghese.
Nelle province la partita fra "centro-sinistra" e "centro-destra finisce 7 a 5. Ne avevano 6 per uno. La differenza l'ha fatta la provincia di Roma passata all'Ulivo.
Nei 93 comuni sopra i 15 mila abitanti il saldo è a favore del "centro-sinistra". Infatti, quest'ultimo guidava 45 giunte prima delle elezioni, e ora ne guiderà 55 (+10). Il "centro-destra" ne guidava 44 e ora saranno 34 (-10). Quattro restano guidate da liste civiche di difficile collocazione.
Nei 10 comuni capoluoghi il "centro-sinistra" conquista 6 città. Ne aveva 4 in precedenza. Si conferma a Brescia (con l'apporto del PRC al secondo turno), a Massa e a Pisa. Ne guadagna tre (Udine, Pescara e Ragusa). Ne perde una (Sondrio). Il "centro-destra" ne conquista 4 ma ne aveva 6. Si conferma a Vicenza, a Treviso e a Messina. Conquista Sondrio.
L'amministrazione uscente è stata comunque confermata solo in meno della metà dei comuni (43 su 93). Al di là della composizione delle giunte, una volta che le masse hanno sperimentato nella pratica la loro politica tendono a non rinnovar loro la propria fiducia. Ciò vale per l'Ulivo quanto per la Casa del fascio.
Un discorso a parte merita il caso di Udine dove è stato confermato il sindaco uscente Sergio Cecotti per però prima guidava una giunta di "centro-destra", ma, dopo aver rotto con la Lega di Bossi, è passato, previo accordo con il neogovernatore friulano Riccardo Illy, a sostenere il "centro-sinistra". Questo caso dimostra l'interscambiabilità dei candidati del "centro-destra" e del "centro-sinistra" che corrisponde a una sostanziale identità politica e programmatica dei due schieramenti.
I presidenti e sindaci eletti sia al primo che al secondo turno risultano tutti delegittimati e sfiduciati dalla maggioranza degli elettori. Non c'è uno solo di loro che ha conquistato il 50% degli elettori e non già dei soli voti validi. Clamoroso il caso del presidente della provincia di Caltanissetta, Filippo Collura, che è stato confermato da appena il 25% dell'elettorato. Al di sotto del 30% anche i suoi colleghi di Trapani (26,5%), Siracusa (28,3%) e Roma (29,7%).
Un po' meglio va ai neopodestà, anche se solo quello di Massa supera il 40% degli elettori realizzando il 47,4%.
Vi è un'enorme fetta dell'elettorato che non si riconosce più in questi partiti parlamentari, nelle istituzioni e nei governi borghesi, al centro come alla periferia. Un problema aperto e grave per la classe dominante borghese in camicia nera. Perché se è vero che l'astensionismo elettorale italiano è in media con quello di altri paesi europei e con quello degli Usa, è anche vero che la storia elettorale e politica, la lotta di classe e i rapporti fra le classi nel nostro Paese, le motivazioni e il carattere dell'astensionismo in Italia non sono gli stessi. Nel nostro Paese esiste poi il PMLI che appoggia e incoraggia l'astensionismo e lavora per qualificarlo politicamente dandogli un carattere anticapitalistico e rivoluzionario.