Già con la prossima legge finanziaria
IL GOVERNO
BERLUSCONI PREPARA LA STANGATA SULLE PENSIONI
Liberalizzazione
dell'età pensionabile; estensione generalizzata del calcolo
"contributivo" su tutte le pensioni; riduzione delle aliquote
contributive per le imprese; rafforzamento dei fondi pensione privati aperti;
eliminazione del divieto di cumulo tra reddito da lavoro e pensione
BEFFATI I VERTICI SINDACALI
Berlusconi e i
suoi ministri, Tremonti in testa, sono una massa di imbroglioni, di mentitori,
di demagoghi e sopratutto acerrimi nemici dei lavoratori e dei pensionati. Ogni
dichiarazione rilasciata e ogni atto intrapreso lo confermano in pieno. Basta
vedere il "piano dei 100 giorni", tutto a favore dei capitalisti e dei
ricchi, mentre la promessa di aumenti alle pensioni minime è rimasta lettera
morta. Ma le intenzioni liberiste e antipopolari del governo del neoduce di
Arcore, in materia di politica economica e sociale, stanno emergendo con ancora
più chiarezza nella elaborazione del Dpef (Documenti di programmazione
economica e finanziaria) a cui farà seguito la legge finanziaria del 2002.
Eclatante in questo senso la sortita a effetto del ministro del Tesoro Tremonti
l'11 luglio scorso, il quale, proprio mentre si teneva l'incontro tra governo e
vertici sindacali per iniziare a parlare del Dpef, alla televisione annunciava
con studiato allarmismo, un "buco" sui conti pubblici di 45-62 mila
miliardi, lasciato a suo dire, dal precedente governo di
"centro-sinistra". A parte il metodo grave e inedito dell'annuncio in
diretta televisiva, su un tema di questo genere, scavalcando con un sol colpo
parlamento e "parti sociali"; a parte la veridicità, assai dubbia per
non dire falsa sull'entità del debito pubblico, ad esempio il Ragioniere dello
Stato, Andrea Monorchio, rispetto alla possibilità di uno sfondamento di 10
mila miliardi dice che non ci sono novità; a parte tutto questo, che non è
poco, si capisce benissimo dove il governo Berlusconi vuole andare a parare:
tagliare drasticamente la spesa pubblica, specie quella previdenziale e
sanitaria, in modo da trovare i finanziamenti sufficienti per abbassare le tasse
alle imprese e realizzare le privatizzazioni.
E infatti, cosa troviamo al centro del Dpef? Le "riforme strutturali",
come le chiamano costoro, di sanità e pensioni. A proposito di quest'ultime,
Maroni aveva spergiurato pubblicamente che non avrebbero fatto parte della legge
finanziaria nel rispetto dell'iter previsto per la verifica della "riforma
Dini" e di un accordo con i sindacati da tradurre successivamente in legge.
Altra menzogna! Costui ha già messo al lavoro una "commissione
tecnica" per gettare sul tavolo della "concertazione" (sic!) al
più tardi a settembre, le misure controriformatrici sul Welfare, le pensioni e
anche la libertà di licenziamento, da inserire con le buone o con le cattive
"nella Finanziaria del 2002".
Sulle pensioni, il governo ha in programma delle misure che non solo, per certi
versi, accelerano la messa in regime della controriforma del 1995, ma vanno ben
oltre verso una "riforma" alla Blair, sostengono i ministri
berlusconiani, verso un sistema pensionistico thatcheriano, diciamo noi. Si va
dalla liberalizzazione dell'età pensionabile, attualmente a 57 per quella di
anzianità e a 65 per quella di vecchiaia; all'estensione del calcolo
contributivo subito per tutte le pensioni; al rafforzamento delle pensioni
integrative attraverso il lancio dei fondi privati aperti; alla riduzione delle
aliquote della contribuzione; alla cancellazione del divieto del cumulo tra la
pensione e redditi da lavoro.
Quali sono gli scopi di queste ennesimi provvedimenti (liberisti) sulle
pensioni?
1) Tagliare drasticamente e in modo strutturale la spesa pensionistica,
ritardando il più possibile con penalizzazioni fiscali l'entrata in pensione e
generalizzando da subito il calcolo contributivo, anche per quanti al tempo
della "riforma" Dini avevano maturato 18 anni di anzianità. E questo,
nonostante che con le tre precedenti "riforme" (quella di Amato del
'92, poi la L.335 del '95 e la L.449 del '97) il bilancio pensionistico sia
stato abbattuto drasticamente e, di fatto, sia stato messo in equilibrio, con
una perdita del valore delle pensioni per le nuove generazioni che oscilla tra
il 30 e il 50%. Persino Monorchio afferma che "tagliare o non tagliare le
pensioni ormai non è un'esigenza di riequilibrio finanziario ma una questione
di pura opportunità politica". Si aggiunga che in Italia la spesa
previdenziale mediamente cresce meno che negli altri paesi europei e che la
spesa sociale è al di sotto di 3 punti della media Ue.
2) Far prendere il volo alla pensione integrativa attraverso la destinazione di
quote consistenti delle liquidazioni (Tfr) e riducendo corposamente le tasse sui
fondi pensione, attorno all'11%. Favorendo in particolare quelli aperti gestiti
direttamente da banche e assicurazioni, società finanziarie, rispetto a quelli
chiusi di natura contrattuale gestiti, indirettamente, dai sindacati di
categoria (es. metalmeccanici, chimici, ecc.) che hanno fondato i suddetti fondi
pensione. Non solo e, ci verrebbe da dire, non tanto per coprire in parte la
perdita del valore delle pensioni pubbliche, ma soprattutto per creare quel
busines finanziario, decine di migliaia di miliardi rastrellati dalle buste
paga, che i capitalisti italiani da anni agognano senza essere riusciti ancora a
realizzare. Non c'è dubbio che da qui passa in buona sostanza la cancellazione
della previdenza pubblica unversalistica, passa un sistema pensionistico sempre
più privatistico e differenziato in quanto chi lavora e ha i soldi per
pagarsela si farà una pensione più o meno alta, chi è disoccupato o anche ha
un lavoro precario è condannato a una pensione da fame. Non a caso, tra le
proposte governative c'è la cancellazione del divieto del cumulo tra pensione e
redditi da lavoro, proprio per "compensare" una pensione che comunque
rimane bassa.
3) Ridurre alle imprese il prelievo contributivo con conseguenze disastrose
immaginabili per le casse dell'Inps che già patiscono una evasione sui 50 mila
miliardi all'anno circa. In questo caso Berlusconi e i suoi ministri non
mostrano nessuna preoccupazione per le pesanti ripercussioni che dette riduzioni
comportano per il bilancio dello Stato. Né spiegano quali strumenti finanziari
alternativi utilizzeranno per far fronte all'erogazione delle pensioni. Tanto
più se, come avevano promesso in campagna elettorale, porteranno a un milione
di lire mensili le pensioni minime. Ma di questo non si parla quasi più. Si
accenna di sfuggita a tempi assai più lunghi, non si specifica se gli aumenti
saranno applicati per alcune o per tutte le minime e comunque non in una sola
volta.
La parola d'ordine truffaldina, con la quale il governo intende varare queste
misure è "libertà"; libertà di andare in pensione quando si vuole,
libertà di farsi la pensione integrativa con chi si vuole, libertà di andare
in pensione e continuare a lavorare e via dicendo. In realtà per i lavoratori
è quasi una via obbligata quella di allungare la vita lavorativa per
incrementare i versamenti previdenziali, così come è di fatto una costrizione
farsi la pensione complementare: i vantaggi sono tutti per i padroni, i quali
ovviamente esultano.
Scontato l'applauso del presidente della Confindustria D'Amato a Berlusconi. Al
quale si aggiunge l'appoggio aperto di Marco Tronchetti Provera, che pure nelle
elezioni politiche sosteneva Rutelli e il "centro-sinistra".
Penosa e comunque non all'altezza la reazione dei vertici sindacali
collaborazionisti, specie quelli di Cisl e Uil, circuiti con promesse di
concertazione e beffati apertamente e clamorosamente come non capitava da tempo.
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