Uno dei cosiddetti "padri della patria" e maestro dei rinnegati si confessa al "Foglio" neofascista e anticomunista di Giuliano Ferrara
BOBBIO: "PRIMA DI ORA MI VERGOGNAVO DI DIRE CHE ERO STATO FASCISTA"
Il sessantottino pentito Gad Lerner fa un disperato tentativo per ridargli dignità e onore e per salvarlo dal discredito e dal disprezzo
I FASCISTI DI IERI E DI OGGI LO LODANO PERCHE' AVREBBE APERTO LA STRADA ALLA "RICONCILIAZIONE" DEGLI ITALIANI

Quasi a volersi scaricare la coscienza allo scoccare del suo 90• compleanno, il filosofo e senatore a vita Norberto Bobbio, considerato uno dei "padri della patria" e maestro dei rinnegati italiani, ha raccontato il suo passato di ex fascista al giornalista Pietrangelo Buttafuoco de "Il Foglio", il giornale neofascista e anticomunista diretto dal rinnegato Giuliano Ferrara. Nella sua intervista-"confessione", pubblicata il 12 novembre, Bobbio ammette di essere stato fascista, e di vergognarsene, ma si capisce che la sua è la "confessione" di colui che, da una parte non può tacere oltre su un "peccato" che tutti conoscono, specie dopo la pubblicazione nel '92 della sua lettera di supplica a Mussolini scritta nel '35, e dall'altra cerca di presentare il suo "peccato" stesso come un peccato veniale, una vicenda in cui è stato coinvolto suo malgrado, così da autoassolversi e da chiedere per sé l'assoluzione della storia.
Mi chiede dunque perché - esordisce il filosofo torinese rispondendo al giornalista de Il Foglio - fino ad oggi non abbiamo parlato del nostro fascismo? Ebbene: perché ce ne vergognavamo. Ce ne vergognavamo. Adesso che ho novanta anni, adesso che sono vicino al traguardo io ne parlo. Non l'ho fatto prima perché me ne vergognavo. Il fascismo, prosegue Bobbio, "fu un'epopea di tragedia e di balletto", intendendo con quest'ultima espressione che il regime richiedeva comportamenti esteriori a cui la gente come lui si adattava pur non aderendo ideologicamente e politicamente al fascismo: "Anch'io comprai l'orbace - dice infatti l'intervistato - ma non l'ho mai indossato. Ho fatto tre viaggi con il Guf (gruppi universitari fascisti, ndr), dove mi ero iscritto nel 1927, il primo in Libia, il secondo a Budapest, il terzo, quello più d'élite, in Egitto. Erano viaggi senza alcun obbligo ideologico. Non c'era dottrina, ma vacanza".
Bobbio prosegue poi su questa linea di "confessione" autoassolutoria raccontando di aver preso la tessera del partito fascista dopo l'università solo "perché il Guf immetteva automaticamente i suoi tesserati nel Pnf, e di aver pensato solo allo studio e non alla politica, tant'è vero che tutti i suoi amici antifascisti, da Leone Ginzburg a Vittorio Foa, gli perdonavano volentieri le sue "debolezze": "A Norberto - dicevano - interessa solo studiare e leggere. Non mi hanno mai, mai considerato fascista. Sì, lo sapevano che ero filofascista, ma dicevano: Bobbio non ha nessun interesse politico". "Il mio fascismo (il mio filofascismo familiare) - conclude Bobbio la sua "confessione", o autocommiserazione, o comunque la si voglia chiamare - era tutto qui, continuavo a studiare, continuavo a seguire le tappe della mia carriera universitaria. Ero, come posso dirlo?, come posso dirlo senza mascherarmi nell'indulgenza con me stesso?, ero immerso nella doppiezza, perché era comodo fare così. Fare il fascista tra i fascisti e l'antifascista con gli antifascisti".

LA DIFESA DEL SUO "ALLIEVO" LERNER

Un opportunista, dunque, al massimo un debole che teneva il piede in due staffe per quieto vivere, se non addirittura un uomo "normale" della sua epoca, condizionato dal regime totalizzante e non ancora arrivato a maturare un'intima coscienza antifascista: è proprio quest'ultima la consolante interpretazione che della "confessione" di Bobbio tenta di dare uno dei suoi "allievi" politici prediletti, il rinnegato ex sessantottino pentito Gad Lerner. Il quale, in un lungo articolo su "la Repubblica" del 13 novembre, tenta disperatamente di salvare l'onore e la dignità del proprio "maestro" (senza preoccuparsi per questo di far fare al suo difeso la figura del vecchio rimbambito) prendendosela con la "perfidia" del giornalista filofascista, che si sarebbe approfittato del "doloroso, ingigantito, eccessivo senso di vergogna" dell'intervistato per farlo mortificare "oltre il necessario nella ricerca minuziosa delle proprie colpe", facendo sfumare dietro tutto ciò "la più ovvia delle considerazioni: che fosse la natura totalitaria del sistema, e non altro, a spingere gli italiani verso la doppiezza".
Bobbio come vittima del regime fascista, e non come suo complice: questa la linea di difesa tentata da Lerner per salvare il maestro dei rinnegati e dei "rivoluzionari" pentiti dal discredito e dal disprezzo che si merita per i suoi trascorsi fascisti. Che invece non sono affatto quelli di un semplice filofascista per convenienza, per quanto non poco disgustosi lo stesso, considerando che in quel periodo mentre lui pensava alla carriera migliaia di antifascisti subivano il carcere e le persecuzioni del regime, e andavano a morire sui campi di battaglia di Spagna per difendere la Repubblica dal boia Franco armato da Mussolini e da Hitler.
Nella sua lacrimevole "confessione", infatti, Bobbio si è "dimenticato" un particolare di non poco conto: la famosa supplica del '35 a "vostra eccellenza" il duce, scoperta casualmente nel '92, per chiedergli di salvargli la carriera di professore universitario messa in forse dalle sue disdicevoli amicizie tra gli antifascisti. Una lunga lettera non solo piena di ossequioso servilismo verso Mussolini, al quale il professore torinese esprimeva testualmente "il sentimento della mia devozione", ma nella quale addirittura rivendicava con orgoglio tutti i suoi meriti di fascista militante e attivo (non solo cioè di semplice iscritto d'ufficio) nell'ambiente liceale prima e universitario poi, le sue "referenze" familiari filofasciste di prim'ordine (il padre, chirurgo, iscritto al Pnf fin dal 1923, gli zii ufficiali del regio esercito, ecc.), e lamentandosi di non essersi potuto iscrivere alla milizia perché scartato alla visita militare.
"Durante gli anni universitari - scriveva nella supplica al duce l'allora ventiseienne docente di filosofia del diritto - ho partecipato attivamente alla vita e alle opere del Guf di Torino con riviste goliardiche numeri unici e viaggi studenteschi, sì da essere stato incaricato di tenere discorsi commemorativi della Marcia su Roma e della Vittoria agli studenti delle scuole medie". Altro che viaggi "senza dottrina ma di pura vacanza", dunque! Ma non solo: "In questi ultimi anni - prosegue Bobbio vantando il suo curriculum di fascista per ingraziarsi Mussolini - dopo aver conseguito la laurea in legge e in filosofia, mi sono dedicato totalmente agli studi di filosofia del diritto, pubblicando articoli e memorie che mi valsero la libera docenza, studi da cui trassi i fondamenti teorici per la fermezza delle mie opinioni politiche e per la maturità delle mie convinzioni fasciste".
Con che faccia tosta quindi Bobbio osa sostenere, come fa nella "confessione" a "Il Foglio", che "non esiste comunque frase, non esiste rigo che possa provare una mia qualsiasi complicità con la retorica del tempo"? Tantopiù che questa non è l'unica supplica al regime scritta da Bobbio. Tre anni dopo, sempre per salvarsi la carriera universitaria, Bobbio ne scriverà un'altra al capo della Milizia fascista De Bono per chiedergli di intercedere presso Mussolini, il quale interessò della vicenda il ministro dell'Educazione nazionale Bottai, che gli fece avere la cattedra all'Università di Siena.

ANTIFASCISMO DI OPPORTUNISTA

Altro che "pover'uomo tormentato da un'eccessiva coscienza autocritica", come lo vogliono presentare i rinnegati alla Lerner. Il loro "maestro" non l'ha raccontata tutta, e non l'ha raccontata giusta. Da quel grande opportunista che è sempre stato in tutte le epoche e sotto tutti i regimi, prima fascista, poi antifascista azionista, quindi craxiano e sostenitore dell'Ulivo e oggi neofascista e addirittura "amerikano", come si è voluto proclamare durante la guerra imperialista nei Balcani, ha detto solo quello che gli conveniva dire per ripulirsi la sua sporca coscienza ed entrare immacolato nei "coccodrilli" che i giornali del regime neofascista stanno già preparando in vista della sua ormai prossima e non certo da noi compianta dipartita. Il suo stesso e tanto esaltato antifascismo non è stato altro che l'antifascismo opportunista dell'ultima ora di quella borghesia liberale che, dopo aver aperto le porte al fascismo e aver goduto della "pace sociale" imposta dal regime, lo ha mollato al suo destino quando ha capito la fine che avrebbe fatto ed è passata all'antifascismo di tipo azionista, anche per non lasciare tutto il campo all'antifascismo comunista che avrebbe potuto prendere l'egemonia assoluta della Resistenza.
Ma sottovaluteremmo il ruolo e l'importanza di questo "maestro" dei rinnegati italiani se considerassimo finiti qui i motivi e gli obiettivi della sua "confessione" al giornale di Ferrara. Che non è stato scelto a caso dal senatore a vita per il suo intervento, che a ben vedere ha uno scopo ben più ampio della ricerca dell'assoluzione. è vero che come dice Lerner l'intervista di Bobbio è strumentalizzata dalla destra per cancellare ogni differenza tra fascisti e antifascisti, e rivalutare i primi dimostrando che i secondi furono prima tutti col regime mussoliniano. Ma è pur vero che Bobbio è tutt'altro che vittima inconsapevole di questo disegno, anzi si è prestato attivamente e volentieri a questo gioco.
Nella seconda parte dell'intervista a Buttafuoco, infatti, l'ex fascista pentito svolge tutto un ragionamento per dimostrare la classica tesi revisionista alla De Felice, che il regime mussoliniano era fondalmente sostenuto dalle masse, quasi fino alla vigilia della sua caduta il 25 luglio 1943: "Adesso è facile fare la caricatura di Mussolini - dice infatti Bobbio lasciando trasparire la sua inconfessata ammirazione per il personaggio - ma non si deve dimenticare che ha tutti i caratteri di quello che Max Weber avrebbe potuto chiamare il capo carismatico. Era l'uomo che, nonostante le traversie della sua vita, povero quale era, era riuscito rapidissimamente a saltare tutte le tappe. Il più giovane presidente del Consiglio che ci sia mai stato, i suoi discorsi erano secchi, rapidissimi, incisivi. Era aggressivo e rapiva la massa. Non c'è niente da dire, fu tanto capo carismatico da seguire fino in fondo il destino dei capi carismatici: avere sempre ragione fino al giorno in cui, sbagliando, si cade".

IL PLAUSO DEI FASCISTI DI IERI E DI OGGI

Cos'è questa, se non un'apologia neanche tanto mascherata del duce del fascismo? Tantopiù che anche Bobbio fa la solita distinzione ormai in voga tra il Mussolini (e il fascismo) prima dell'avvento di Hitler al potere, sostanzialmente "buono" e amato dalle masse, e il Mussolini (e il fascismo) "tragico" e funesto dell'alleanza con i nazisti e della guerra. Come insomma se Mussolini fosse stato "traviato" da Hitler, del quale a suo dire "diventerà succube".
Sulla scia di questa rivalutazione del duce e del "primo" fascismo, Bobbio accetta tutte le tesi classiche dei neofascisti: dalla Resistenza vista non come guerra partigiana di liberazione dal nazifascismo, ma come "guerra civile tra italiani" ("solo una guerra civile può finire con il capo appeso per i piedi"), alla rivalutazione del filosofo del fascismo Giovanni Gentile, suo maestro riconosciuto ("la mia tesi di laurea era la tesi di laurea di un gentiliano"), e che a suo dire non meriterebbe l'accusa di razzismo perché "nel momento peggiore aiutò tanti studiosi ebrei", per finire con la riabilitazione della monarchia sabauda, con la condanna dell'"insensato esilio dei Savoia".
Non c'è quindi da meravigliarsi che i fascisti di ieri e di oggi, non solo Buttafuoco e Ferrara, ma anche il quotidiano di AN "Il Secolo", Vittorio Feltri, Marcello Veneziani ed altri abbiano lodato il "coraggio" del filosofo torinese, pubblicando ampi stralci della sua "confessione" e dedicandogli editoriali entusiasti per aver aperto - lui che è stato sempre osannato come uno dei padri storici dell'antifascismo e della Repubblica - finalmente la strada alla "riconciliazione di tutti gli italiani": "Mi rimangio volentieri ciò che in passato posso aver scritto di sgradevole su Bobbio. Evidentemente non lo conoscevo a fondo", ha scritto il neofascista Feltri in un editoriale su "La Nazione". La sua ammissione di vergogna per quel passato rimosso - ha aggiunto a sua volta Veneziani su Il Giornale di Berlusconi - va considerata come un passo avanti sulla via della memoria storica, della ricomposizione della storia nazionale e del rispetto che si deve, oltre che alla pietas, per tutti coloro che combatterono e soffrirono.
In questo clima da "vestivamo tutti in camicia nera", anche il "liberale" Scalfari è venuto allo scoperto, confessando anche lui, su "L'Espresso" del 25 novembre il suo passato di fascista, da balilla, ad avanguardista e poi attivista dei Guf. E questo la dice lunga su chi sono e da dove vengono certi padri della seconda repubblica e grandi sponsor del governo D'Alema.
A ben guardare, quindi, non è affatto un caso che la "confessione" dell'ex fascista Bobbio sia avvenuta in concomitanza con l'invito di D'Alema a riabilitare la DC e il PSI della prima Repubblica, e a togliere di conseguenza l'etichetta di "post comunisti" ai rinnegati oggi al governo: tutte e due le operazioni rientrano nel quadro comune della cancellazione della parentesi resistenziale e della discriminante antifascista per operare la ricongiunzione storica dell'attuale regime neofascista al ventennio mussoliniano. E questo perché antifascismo e Resistenza sono oggettivamente inconciliabili con la seconda repubblica neofascista, presidenzialista, federalista e imperialista.