Rinnegando i giudizi del PCI
La capitolazione di Fassino
Rifondazione era pronta al compromesso sulle foibe

Il gruppo parlamentare dei DS alla Camera ha votato compatto l'istituzione del "giorno del ricordo'' degli infoibati e dei fuoriusciti giuliano-istriani-dalmati del secondo dopoguerra. Nemmeno dalla "sinistra'' diessina si è levata la benché minima obiezione.
Non c'è da meravigliarsi. è ormai da tempo che il gruppo dirigente della Quercia opera a ruota libera per denigrare e infamare non solo il socialismo e il comunismo ma persino la Resistenza.
Già il 28 dicembre scorso, il segretario nazionale dei DS, Piero Fassino, in un articolo su "l'Unità'', aveva sferrato un vergognosissimo attacco alla Resistenza, celebrando il 60° anniversario dell'eccidio dei sette fratelli Cervi fucilati dai fascisti repubblichini per rappresaglia.
In quell'occasione egli aveva scritto che "Non c'è in tutto ciò nessuna visione agiografica della resistenza. Anzi, non dimenticare significa anche fare i conti con le pagine tragiche dell'immediato dopoguerra. Quando la vittoria agognata accieca la ragione dei vincitori e i vinti sono più vinti e indifesi che mai. Non abbiamo chiuso gli occhi - e dobbiamo continuare a non chiuderli - per restituire giustizia a quanti furono vittime di episodi di vendetta e di esecuzioni sommarie che solo la tremenda asprezza di quella stagione può spiegare, ma non giustificare''. E aveva aggiunto: "Così come non chiudiamo gli occhi di fronte al dramma delle foibe e dell'esodo degli italiani dell'Istria e della Dalmazia, una tragedia troppo a lungo rimossa nella coscienza civica degli italiani''. Questo "strappo di Fassino'' gli aveva guadagnato gli elogi dei fascisti di AN che così commentavano sul "Secolo d'Italia'': "finora nessun capo della Quercia aveva violato tanti miti resistenziali nello spazio di così poche righe''.
Ma non era ancora finita. Sulle foibe e l'esodo Fassino ha inteso consumare fino in fondo la sua capitolazione arrivando a rinnegare apertamente l'operato del PCI, così come pretendono i fascisti vecchi e nuovi, a cominciare dal neoduce Berlusconi.
In una lettera inviata al presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani Fiumani e Dalmati, Guido Brazzoduro, del 6 febbraio scorso, infatti Fassino afferma: "Oggi nessuno può dire più di non sapere e ognuno ha il dovere morale prima ancora che politico, di assumersi le proprie responsabilità''. E così prosegue: "Anche la sinistra deve assumersi le proprie e dire con chiarezza e definitivamente che il PCI, in quegli anni, al confine orientale sbagliò: sbagliò perché, pesarono sui suoi orientamenti e sulle sue decisioni il condizionamento dell'Urss e della Jugoslavia di Tito, in particolare negli anni della guerra fredda''. E rincara: "Sbagliò perché non avvertì le tragiche conseguenze dell'espansionismo slavo, che nel vivo della lotta antifascista si era manifestato nei comportamenti e linguaggi propri delle contese territoriali e nazionalistiche, presenti da decenni in quelle aree''. Nella stessa lettera Fassino annuncia l'appoggio parlamentare del suo partito all'istituzione del "giorno del ricordo'' perché "oggi, iscrivere tra le celebrazioni della Repubblica la giornata del 10 febbraio è il modo giusto con cui l'Italia intera può rendere omaggio a chi fu costretto all'esodo, superando definitivamente ogni forma di reticenza e rimozione di una tragedia che ogni italiano deve considerare parte della storia del Paese''.
Fassino in sostanza concorre a creare quella "memoria condivisa'' tanto cara a Ciampi, il nuovo Vittorio Emanuele III, riconoscendo che il PCI sbagliò. Il che equivale a dire che i fascisti avevano ragione.
Altrettanto esplicito è stato il senatore Luciano Violante che già nella primavera 1998, per primo, in qualità allora di presidente della Camera, in un incontro a Trieste alla presenza anche del caporione fascista Fini, riconobbe la "tragedia delle foibe'' e esortò a "dire no alla dismemoria in Istria, Fiume e Dalmazia'': In un'intervista al "Corriere della Sera'' del 29 gennaio scorso ha affermato che "Il PCI ha sicuramente le sue gravi responsabilità'', giungendo a confermare all'intervistatore che i fuoriusciti del confine orientale fecero bene a scegliere la "democrazia'', ossia la democrazia borghese italiana, in luogo del socialismo. "Era la democrazia italiana infinitamente meglio''.

La posizione del PCI
Paradossalmente i dirigenti della quercia contestano al PCI revisionista di Longo e Togliatti non i suoi errori, bensì i suoi meriti, frutto soprattutto dell'influenza positiva, checché ne dica Fassino, dell'Unione Sovietica di Stalin. Contestano e rinnegano il fatto che il PCI allora considerasse amico e alleato nella lotta contro il nazifascismo l'esercito di liberazione jugoslavo arrivando nell'ottobre 1944 a dare la direttiva "a quelle formazioni che si trovavano ad agire in campo operativo delle unità patriottiche del Maresciallo Tito di mettersi disciplinatamente sotto il comando operativo di esse, per la necessaria unità di Comando che, naturalmente spetta loro perché le meglio inquadrate e più esperte e le meglio dirette'' ("La nostra lotta'', organo del PCI, n. 17 del 13 ottobre 1944). E sbagliò il PCI, secondo questi rinnegati del comunismo, a chiedere ai comunisti e agli antifascisti di combattere "come i peggiori nemici della liberazione nazionale del nostro paese, quindi, come alleati dei tedeschi e dei fascisti quanti, con i soliti pretesti fascisti del `pericolo slavo' e del `pericolo comunista' lavorano a sabotare gli sforzi militari e politici dei nostri fratelli slavi volti alla loro liberazione e alla liberazione del nostro paese, quanti, con detti pretesti, lavoreranno ad opporre italiani e slavi, non comunisti e comunisti, quanti cioè, con ogni sorta di manovra, di calunnia e di menzogna non intendono rinunciare alle mire imperialistiche e di oppressione fasciste'' (idem).
E sbagliò, sempre secondo costoro, il PCI allorché denunciò e si rifiutò di assecondare il nazionalismo e le mai sopite ambizioni imperialiste della classe dominante borghese italiana che ancor prima di sconfiggere il mostro nazi-fascista pretendeva di risolvere con l'aggressione alla Jugoslavia la questione dei confini orientali. Come testimonia la lettera inviata da Togliatti (allora vice presidente del Consiglio) al presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi il 2 febbraio del 1945 nella quale fra l'altro afferma che "mi è stato detto che da parte del collega Gasparotto sarebbe stata inviata al CLNAI (Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia) una comunicazione, in cui si invita il CLNAI a far sì che le nostre unità partigiane prendano sotto il loro controllo la Venezia Giulia, per impedire che in essa penetrino unità dell'esercito partigiano jugoslavo. Voglio sperare che la cosa non sia vera perché... non solo politicamente sbagliata, ma grave per il nostro paese, dei più seri pericoli. Tutti sanno, infatti, che nella Venezia Giulia operano oggi le unità partigiane dell'esercito di Tito, e vi operano con l'appoggio unanime della popolazione slovena e croata. Esse operano s'intende contro i tedeschi e i fascisti. La direttiva che sarebbe stata data da Gasparotto equivarrebbe quindi concretamente a dire al CLNAI che esso deve scagliare le nostre unità partigiane contro quelle di Tito... si tratta di una direttiva di guerra civile, perché è assurdo pensare che il nostro partito accetti di impegnarsi in una lotta contro le forze antifasciste e democratiche di Tito... Non solo noi non vogliamo nessun conflitto con le forze di Tito e con le popolazioni jugoslave, ma riteniamo che la sola direttiva da darsi è che le nostre unità partigiane e gli italiani di Trieste e della Venezia Giulia collaborino nel modo più stretto con le unità di Tito nella lotta contro i tedeschi e contro i fascisti. Solo se noi agiremo tutti in questo modo creeremo le condizioni in cui, dimenticato il passato, sarà possibile che le questioni della nostra frontiera orientale siano affrontate con spirito di fraternità e collaborazione fra i due popoli e risolte senza offesa nel comune interesse''.
è evidente che Fassino e l'intero gruppo dirigente dei DS intendono con la loro capitolazione dare la prova definitiva alla classe dominante borghese che da essi non ha nulla da temere se vinceranno le prossime elezioni politiche e se ritorneranno al governo. E questo anche se nel governo ci sarà Bertinotti.

La posizione di Rifondazione
Rifondazione infatti ha sì votato contro la legge Menia, ma era già pronta al compromesso sulle foibe. Del resto il primo a sposare le tesi fasciste su questa questione era stato proprio Bertinotti al Convegno di Trieste.
La dichiarazione di voto del gruppo parlamentare, fatta da Tiziana Valpiana, dimostra che Rifondazione era d'accordo a votare il riconoscimento formale alle "vittime delle foibe'', ma non se l'è sentita di votare la legge emendata che istituiva anche il "giorno del ricordo'' per motivi di opportunità politica viste le contraddizioni che su questa questione vi sono alla base del partito e il fatto che sarebbe stata spiazzata a sinistra dalla posizione contraria del PdCI di Cossutta e Diliberto. Ha dichiarato la Valpiana: "Signor presidente, ci siamo accinti a lavorare su questo provvedimento con serietà e serenità, con un atteggiamento privo di pregiudizi, per arrivare a un risultato condivisibile, pur nella consapevolezza di quanto sia delicato affrontare un tema ancora sanguinante. Ma la proposta emendativa votata per l'isitituzione della `giornata del ricordo' non ci consente più di condividere un provvedimento che diventa imposizione strumentale di un elemento fortemente simbolico''.
Franco Giordano, capogruppo alla Camera e membro della segreteria del PRC, ha così spiegato su "Liberazione'' del 12 febbraio che il voto contrario di Rifondazione non rimette in discussione le ultime posizioni assunte sulle foibe e la Resistenza: "Abbiamo allontanato con determinazione ogni atteggiamento riduttivo e giustificazionista... Critichiamo apertamente chi cerca ragioni nella violenza che gli oppressori avevano precedentemente dispiegato per motivare e assolvere l'orrore che vi fu dopo... La nostra critica agli orrori di quegli anni è netta. La nostra ricerca teorica e culturale sulla nonviolenza e su aspetti della nostra storia deve proseguire con maggiore intensità e slancio. Essa è decisiva per la nostra rifondazione. Se si fosse trattato di affermare queste dolorose verità e concedere un giusto riconoscimento ai parenti delle vittime non avremmo negato il nostro assenso''.
è ormai evidente che anche la Resistenza è per i falsi comunisti una eredità scomoda che non si concilia più col nuovo corso non violento e anticomunista del PRC.