"Patto per il lavoro'' tra Comune, sindacati e imprenditori
GRAVI CONCESSIONI DEI SINDACATI AL SINDACO DI "CENTRO-DESTRA'' DI CATANIA E AI PADRONI
Contratti a termine, orari flessibili, blocco della contrattazione aziendale
Un patto che, nella sostanza, richiama l'accordo neocorporativo e neoliberista "per il lavoro'' del Comune di Milano, imposto oltre un anno fa dal sindaco Albertini (anch'egli di Forza Italia) che, come ebbe a dire in un'intervista a "Il Sole 24-ore'', prevede "condizioni meno pesanti per le aziende garantendo retribuzioni inferiori (600.000/800.000 lire al mese) rispetto a quelle contrattuali, flessibilità d'impiego con contratti della durata massima di due anni e possibilità di risoluzione in ogni momento'', accettato ovviamente dalle associazioni degli imprenditori e anche dalle confederazioni sindacali, salvo la Cgil che, nella circostanza, non firmò. Quella catanese, siglata questa volta anche dalla confederazione di Cofferati, è una versione più soft ma non per questo meno grave.
Infatti, la "contropartita'' concessa dai vertici sindacali a Comune e padroni, in campo di flessibilità nelle assunzioni, retributive e orarie e circa i diritti sindacali comprende: un maggior ricorso ai contratti a termine, organizzazione dei turni giornalieri e settimanali elastica, e moratoria della contrattazione aziendale per le nuove assunzioni. Per favorire la nascita delle imprese, "ci si sarebbe potuto spingere a forme di flessibilità più spinte - dice il presidente dell'associazione degli industriali catanese, Rosario Leonardi - ma forse sarebbe stato chiedere troppo''. Come a dire, intanto incassiamo questi risultati.
L'accordo di Catania è, sindacalmente, una conseguenza del "patto sociale'' del dicembre del 1998 sancito al tempo del governo D'Alema con Bassolino come ministro del Lavoro che, tra le altre cose, prevedeva appunto l'introduzione di "forme di contratto leggere'' con deroghe sui Ccnl, e ripercorre come modello l'intesa sindacale realizzata mesi fa con la multinazionale ST Microeletronics che proprio a Catania ha uno degli stabilimenti più grandi, con 3.500 dipendenti, con il blocco del contratto aziendale, l'estensione dei turni di lavoro, la riduzione del costo del personale.
Con il pretesto di favorire gli investimenti e la creazione di nuove imprese, accanto alle concessioni sindacali, il Comune si è impegnato a semplificare le procedure amministrative attraverso uno sportello unico chiamato "Investicatania'', a sostenere con finanziamenti e "prestiti d'onore'' le piccole aziende operanti nel campo agro-alimentare, artigianale, commerciale, manifatturiero, del turismo e dei servizi, a promuovere corsi di formazione professionale; il tutto con un misero stanziamento di 4 miliardi e mezzo di lire.
Ci vuole ben altro per fronteggiare e risolvere il problema del sottosviluppo e della disoccupazione a Catania, città amministrata per tanto tempo dall'ex democristiano e attuale ministro degli Interni, Enzo Bianco: 26.883 disoccupati e 36.523 in cerca di prima occupazione, pari al 29,6% in città e 118.229 disoccupati e 141.810 per la ricerca del primo lavoro, pari al 34,2%, se si considera l'intera provincia. Secondo i dati Svimez, nella classifica nazionale della disoccupazione su base provinciale, Catania è terz'ultima, precede di poco solo Enna e Catanzaro. E comunque, non è accettabile ed è da respingere lo scambio (o per meglio dire il ricatto) tra posti di lavoro, ipotetici e precari, e meno diritti sindacali e contrattuali; non è giusto e non funziona, come l'esperienza dei "patti territoriali'', dei "contratti d'area'', delle stesse misure per favorire l'emersione del lavoro "nero'' hanno ampiamente dimostrato. Spesso succede che le aziende ne approfittino per sostituire lavoratori a tempo pieno e a salario intero con lavoro precario.
Non è proprio quello che pretende il presidente della Confindustria, ma siamo su quella strada; checché ne dicano Paolo Nerozzi e Luigi Angeletti, rispettivamente segretario nazionale della Cgil e segretario generale della Uil.