IL GOVERNO BERLUSCONI VARA IL COLLOCAMENTO AUSPICATO DAI PADRONI
Abolite le liste. Chiamata diretta. Obbligo d'accettare lavoro precario
Il vecchio ufficio di collocamento verrà presto spazzato via. Le liste con i nomi e le mansioni eliminate, la graduatoria che favoriva chi aspettava da maggior tempo un lavoro scomparsa. Al suo posto uffici pubblici che avranno solo il compito di registrare le assunzioni e controllare se i disoccupati s'impegnino veramente a trovare lavoro mentre saranno le agenzie private a svolgere il ruolo principale, cioè quelle che concretamente gestiranno l'intermediazione tra lavoratori e padroni.
Come si può ben vedere non si tratta di cambiamenti formali ma sostanziali. Questa "riforma'' è uno dei principali punti presenti nel famigerato "Libro bianco'' di Maroni e a cui aveva lavorato Marco Biagi, l'economista assassinato dalle "Br'' che il ministro leghista cita in continuazione volendo implicitamente accusare che chi si oppone a questi provvedimenti la pensa come i terroristi. Anche la Confindustria nel suo convegno di Parma svoltosi a metà aprile aveva indicato al governo tra le priorità la riforma dei meccanismi d'ingresso nel mondo del lavoro. Del resto non è un mistero per nessuno la perfetta sintonia tra Berlusconi e D'Amato che proprio nella città emiliana si erano incontrati alla vigilia delle elezioni e avevano esclamato: "abbiamo un programma fotocopia!'' (Casa del fascio e Confindustria, ndr).
Il decreto legislativo presentato il mese scorso dal ministro Maroni ne modifica uno analogo approvato nel 2000 dal governo di "centro-sinistra'' allora presieduto dal rinnegato D'Alema; la base rimane quella con alcune modifiche in senso liberista. Non a caso, al contrario di quanto avviene per l'articolo 18, Cisl e Uil non hanno posto alcuna obiezione mentre la Cgil addirittura ha parlato di ritardo verso un atto stabilito dai governi precedenti. Eppure anche questo è un tassello della liberalizzazione del "mercato del lavoro''. Prima si è stravolto il normale rapporto di lavoro a tempo indeterminato considerando una regola il precariato con l'estensione del part-time, i contratti a termine e il lavoro in affitto, adesso si vuole eliminare qualsiasi regolamentazione dell'entrata e dell'uscita dal mondo del lavoro dando libertà di licenziare senza giusta causa, abrogando l'articolo 18 e per di più conferendo alle imprese ancora libertà di scelta nelle assunzioni con l'abolizione delle liste e la "riforma'' del collocamento.
Era comunque dal 1991 che i vecchi uffici di collocamento non svolgevano più il ruolo per cui erano stati creati, cioè effettuare un ruolo di controllo pubblico per evitare discriminazioni politiche, di razza, sesso e religione e comprimere il più possibile la contrattazione privata, il "caporalato''. In quell'anno infatti venne abolita la chiamata obbligatoria tramite ufficio di collocamento, anche se solo per una certa quota e per alcuni contratti, riconsegnando sostanzialmente ai padroni piena libertà d'azione. Poi nel 2000 il diessino Bassanini aveva istituito i "servizi pubblici per l'impiego'' governati dalle Regioni ma che nella sostanza, tranne alcune aree del nord, sono diventati vecchi uffici di collocamento depotenziati.
Adesso sarà il governo del neoduce Berlusconi a completare questa "riforma'' che prevede la soppressione delle liste ordinarie e speciali mentre al suo posto subentrerà un elenco anagrafico che non tiene conto della data d'iscrizione. Sparisce anche il libretto di lavoro sostituito da un tesserino magnetico con il curriculum per essere usato in una banca dati informatica, ma che al di là dei termini pomposi e tecnologici non servirà a nulla perché adesso il padrone per trovare manodopera non ha bisogno del collocamento ma basterà che ne comunichi l'assunzione.
Anche lo status di disoccupato cambia. Chi cerca lavoro anziché essere aiutato diventa un bersaglio da colpire. Ha l'obbligo di frequentare dei colloqui di orientamento periodici e soprattutto deve accettare anche lavoro precario altrimenti perde lo stato di disoccupazione. Basta che il lavoro sia di durata superiore a otto mesi, quattro per i giovani, e sia nell'ambito regionale. Ad esempio, un giovane disoccupato calabrese dovrebbe andare a lavorare per forza da Reggio a Cosenza (200 km) per 5 mesi. In questo modo avranno vita facile le agenzie interinali che adesso potranno svolgere attività di collocamento mentre prima era una prerogativa pubblica e il privato andava incontro a reato punito penalmente. Precario per precario saranno quest'ultime le vere procacciatrici di lavoratori mentre i servizi pubblici per l'impiego avranno quasi esclusivamente il compito burocratico di ratificare le assunzioni già avvenute.
Non si tratta certo di misure che favoriscono l'occupazione come vuol far credere il governo. Qui ci sarebbe bisogno di un intervento dello Stato e delle istituzioni, anzitutto nel Mezzogiorno per finanziare uno sviluppo industriale e delle infrastrutture adeguate, invece si compie un altro passo di quel cammino che sta portando l'Italia da Paese con una rete di protezione sociale e d'interventi pubblici, (pur carente e nella piena compatibilità capitalistica) a un modello ultraliberistico dove lo Stato lascia campo al mercato e di conseguenza lascia solo il più debole, il lavoratore, davanti al più forte, il padrone. L'unica cosa che non è cambiata è il sostegno economico dato ai disoccupati che era e rimane il più basso tra i maggiori Paesi europei.
In particolare il "Libro bianco'' sul lavoro di Maroni , di cui il nuovo collocamento è parte integrante, si pone degli obiettivi catastrofici per i lavoratori: massima flessibilità e precarietà, compressione salariale e aumenti connessi alla produttività, regionalizzazione delle regole del "mercato del lavoro'', cambiamento della struttura degli attuali contratti con l'obbiettivo di eliminare la contrattazione nazionale e giungere a quello personale, cioè alla contrattazione dal punto di forza del padrone con il singolo lavoratore, barriera contro gli immigrati con accettazione di quote in base alle richieste dei padroni, progressiva privatizzazione delle pensioni con la rottura dell'attuale sistema solidaristico tra le diverse categorie di lavoratori, cancellazione degli "ammortizzatori sociali'', decontribuzione e incentivi alle aziende con la negativa ricaduta economica sulla collettività e in particolare sui lavoratori dipendenti.
Per questo la battaglia in difesa dell'articolo 18 travalica questo singolo articolo (già importantissimo) e s'inserisce nella lotta più generale contro il governo Berlusconi portata avanti in primis dai lavoratori, ma anche dagli studenti contro la "riforma'' Moratti, dalla magistratura contro gli attacchi fascisti del cavaliere piduista, di Bossi e Fini, dagli intellettuali contro l'attacco alla democrazia e l'occupazione dei mezzi d'informazione.
Cgil, Cisl e Uil non devono limitarsi alla difesa dell'art. 18 ma respingere tutta la politica economica e sociale del governo che rientra in un unico quadro iperliberista e quindi anche la "riforma'' del collocamento.

15 maggio 2002