Critica della teoria negriana dell'"impero"  

Speriamo che, soprattutto i no global e i "disobbedienti'' guidati da Luca Casarini e Francesco Caruso, riflettano sul ritorno in circolazione di un vecchio imbroglione del calibro di Antonio Negri. 
Il terribile "rivoluzionario'' di un tempo è infatti ricomparso al Social forum europeo svoltosi a Parigi nel novembre dell'anno scorso per provare ad infiltrare il movimento no global. Questa volta però non più con posizioni ultrasinistre e filoterroriste come fece nel grande movimento del '77 bensì riformiste, ultrapacifiste e capitolazioniste non lontane da quelle di Bertinotti e del papa nero Wojtyla.
Ignacio Ramonet, direttore della rivista trotzkista "Le Monde diplomatique'', diffusa in Italia da "il manifesto'', l'ha così presentato e accreditato: "Abbiamo tra noi l'intellettuale che più di tutti ci ha aiutati a capire il mondo della globalizzazione''.
"Liberazione'' di Curzi e della Gagliardi del 14 novembre 2003 gli ha fatto da grancassa dedicandogli un titolone: "Disobbedienza non violenta''.
Inebriato da tanti elogi, nel suo intervento il santone trotzkista convertito al pacifismo ha tra l'altro detto: "A questa guerra fondante (quella di Bush contro l'Iraq, ndr) dobbiamo opporre il valore fondamentale della pace; pratichiamo la disobbedienza attiva ma facciamolo nella non violenza, rompiamo l'omologia di una lotta al potere che ne riproduce le caratteristiche, la nostra forza e la nostra radicalità è nella non violenza''.
Il cavallo di Troia è il suo ultimo libro, "Impero'', che rimastica le teorie filosofiche metafisiche e dogmatiche di S.Agostino, Spinoza, Wittgenstein quelle politiche del liberal-borghese Machiavelli, quelle economiche dei revisionisti Kautzki, Althusser, Luxemburg. Ne è uscito fuori un indigesto mix del più logoro armamentario dell'idealismo, del romanticismo, dell'anticomunismo, del riformismo, dell'economicismo, del neorevisionismo e del trotzkismo.
A chiunque abbia avuto il coraggio di sciropparselo per intero non sarà sfuggito quanto sia zeppo di vuoti controsensi e di prese in giro né come il suo autore, da buon megalomane e narcisista, cerchi di accreditarlo come "un manifesto profetico''. A chi non abbia invece avuto il "piacere'' di avere sul proprio comodino questa operetta, che "l'Espresso'' ha definito "la bibbia del nuovo movimento'', riportiamo di seguito lo stupefacente ed esilarante invito ai comunisti ad indossare la tonaca con il quale Negri chiude il suo capolavoro: "Il biopotere e il comunismo, la cooperazione e la rivoluzione restano insieme semplicemente nell'amore, e con innocenza. Queste sono la chiarezza e la gioia di essere comunisti. C'è una antica leggenda che potrebbe illuminare la vita futura del militante comunista: la leggenda di san Francesco di Assisi''.1
Qual è lo scopo della propaganda religiosa del nostro cattedratico che simpatizzò per il PSI di Craxi e poi fu amico di Pannella ed estimatore di Bossi? A nostro parere sempre lo stesso: ingannare e turlupinare le masse in lotta, spingerle alla resa. La vita e l'opera di Antonio Negri è, infatti, un cerchio reazionario che si chiude intorno all'unico punto di arrivo possibile per un individualista e opportunista della peggiore specie come lui: l'omologazione e la sottomissione pacifica al dio capitalismo, per lui unico orizzonte ed unico mondo possibile.

Una falsa premessa e un metodo antidialettico
All'inizio del XX secolo il rinnegato K. Kautzki scriveva: "non potrebbe la politica imperialista attuale essere sostituita da una politica nuova ultra-imperialista che al posto della lotta tra i capitali finanziari nazionali mettesse lo sfruttamento generale nel mondo per mezzo del capitale finanziario internazionale unificato?''.2 La negazione dell'esistenza di contraddizioni nel sistema economico dominante e il suo abbellimento è quindi vecchia quanto l'opportunismo.
Se il rinnegato Kautzki chiamava ultraimperialismo o superimperialismo ciò che, tredici anni prima di lui, Hobson chiamava interimperialismo, Antonio Negri ripete l'alchimia attraverso l'invenzione di una nuova parola erudita: l'"impero globale'' che definisce come "il non luogo nel quale i conflitti e le rivalità tra le varie potenze interimperialistiche sono stati per molti aspetti sostituiti dall'idea di un unico potere che le sovradetermina tutte, le organizza in una struttura unitaria e le riconduce a una nozione comune del diritto che è nettamente postcoloniale e postimperialistica (...). Ciò che intendiamo per Impero non ha nulla a che vedere con l'imperialismo. Al contrario dell'imperialismo'', sentenzia l'imbroglione arcitrotzkista, "l'Impero non stabilisce alcun centro di potere e non poggia su confini e barriere fisse (...). Né gli Stati Uniti, né alcuno Stato-nazione costituiscono attualmente il centro di un progetto imperialista. L'imperialismo è finito.(...) L'impero è divenuto il non luogo della produzione mondiale, in esso lo sfruttamento non ha luogo''.3
Come i peggiori ciarlatani egli aggira abilmente con lunghe digressioni, svolazzando qua e là per la storia dell'umanità, il passaggio della dimostrazione scientifica di queste tesi, pretendendo che le sue premesse corrispondano alla realtà dei fatti per un dogma a priori. Un dogma che con tutta evidenza giova soltanto all'imperialismo americano, a quello europeo, a quello francese, inglese, italiano, tedesco etc, a quello giapponese.
Se non ci si lascia ingannare dalle mille idee decorative che come anguille sgusciano dalle pagine del libro, si comprende facilmente che se la premessa centrale del "ragionamento'' negriano è profondamente antimaterialistica ed antidialettica, e quindi falsa. Falso è anche tutto il conseguente noiosissimo elenco che ne discende sulle caratteristiche della sua creatura.
E basta dare un'occhiata alle seguente affermazione per comprendere su quale grado di metafisica, idealismo e irrazionalismo si fonda la sua teoria: "Il concetto di impero non rimanda ad un ordine storicamente determinato ma piuttosto ad un ordine che sospendendo la storia, cristallizza l'ordine attuale delle cose per l'eternità. L'impero è il modo in cui le cose andranno per sempre e il modo in cui sono state sempre concepite''.4 Immaginato questo "impero eterno'' come una virtuale prigione, indistruttibile e invalicabile, fuori dal tempo e dallo spazio, egli afferma che "il movimento creativo della moltitudine è interno all'Impero e spinge nella direzione della sua costituzione, ma non come una negazione che genera una affermazione o una qualche risoluzione dialettica (...) poiché la lunga epoca della dialettica è giunta al termine5... si è definitivamente dissolta''.6
Il vizio di fondo è quindi nel metodo antidialettico, che egli stesso confessa di prendere a prestito dalla filosofia metafisica di A. Spinoza e dall'irrazionalismo ultrareazionario di F. Nietzsche. Ne consegue che l'"impero'' non è altro che un eclettico esercizio mentale di autoproduzione di definizioni e di piatte tautologie, che messe insieme costituiscono quello che egli definisce il "piano di immanenza7 per la produzione linguistica della realtà''.8

Un miscuglio di revisionismo, trotzkismo, anticomunismo e liberalismo
Sebbene, come abbiamo visto, le fondamenta della teoria siano costruite sulla sabbia, è interessante notare come, smessi i panni dello studioso apparentemente neutrale, il nostro dottissimo professore si lasci imprudentemente andare a giudizi di valore; come quando afferma ad esempio "che la costruzione dell' impero è una cosa buona in sé''9, una cosa assolutamente positiva "un passo avanti'' poiché immagina che la sua nascita coincida "con l'agognata fine degli antagonismi tra gli stati e dello stato stesso in generale, con la fusione del potere politico nel potere economico delle aziende, con la fine di tutte le strutture di potere che lo hanno preceduto''.10
In realtà, come tutti gli individualisti e gli idealisti borghesi, il nostro tuttologo non smette un attimo di confondere ad arte le proprie idee cervellotiche con la scienza come quando desidera che l'impero corrisponda alla sua vecchia utopia anarchica di "un governo senza organi di governo'', che in esso stia già "svanendo la proprietà privata''11 dei mezzi di produzione e addirittura che "l'organizzazione del lavoro'' stia diventando "una democrazia assoluta in azione''.12
Solo di passaggio, in uno dei capitolI della terza parte libro intitolata "passaggi di produzione'', egli poggia i piedi per terra ed abbozza un tentativo di ragionamento per dimostrare superata l'analisi di Lenin sulla fase suprema ed ultima dello sviluppo del capitalismo, l'imperialismo. Si rende conto infatti di dovere autoconvalidare, con qualche straccio di prova, la sua convinzione di una fase completamente nuova della situazione mondiale. Ma anche in questo caso il tentativo di salvare la sua teoria dalla pattumiera della fantascienza è vano, poiché il nostro aspirante teorico del "nuovo mondo'' non riesce a fare altro che agirare l'ostacolo, censurando accuratamente ai lettori il pensiero, l'analisi scientifica e materialistica di Lenin sulla sostanza economica dell'imperialismo, sulla questione dello Stato, la sua critica sferzante dell'economicismo riformista e le innumerevoli e vittoriose conferme pratiche della grandezza e dell'attualità universale dei cardini del leninismo.
Invece di affidarsi a lui per comprendere la guerra odierna e la situazione politica odierna si limita invece a rimasticare e rimescolare le deformazioni revisioniste, le critiche antileniniste di Luxemburg, Hilferding, Kautzki, Gramsci, roba che la storia del proletariato ha già bollato col marchio del tradimento e del fallimento. Ha persino il coraggio di definire il percorso logico di Lenin "tortuoso''13, proprio un serpente come lui! E va oltre in un crescendo di conati anticomunisti: liquida frettolosamente la luminosa via dell'Ottobre per la conquista del potere politico da parte del proletariato: "non ci sono più palazzi d'inverno da conquistare'' poiché "non c'è più né il potere politico né il potere dei governi'' e "non c'è più l'imperialismo''; getta a mare la tattica e la strategia del proletariato per distruggere l'imperialismo e lo Stato borghese che ne regge le sorti: "le preoccupazioni tattiche della vecchia scuola rivoluzionaria sono divenute completamente obsolete: la sola strategia adeguate a queste lotte è quella di un contropotere costituente che emerge all'interno dell'Impero''; denigra, in puro stile trotzkista, l'esperienza storica vittoriosa della costruzione del socialismo in Urss, i soviet scrive "sacrificarono la libertà''14 e il suo principale artefice Stalin (paragonandolo a Hitler e a Ivan il terribile); censura quasi del tutto la vita e l'opera di Mao; fa scomparire, con giochi di prestigio da saltimbanco, anche Marx ed Engels: ossia la contraddizione principale del capitalismo tra lavoro salariato e capitale, tra borghesia e proletariato da essi scoperta, analizzata e risolta con la necessità della rivoluzione proletaria. Cosìcché diviene lampante che l'obiettivo politico principale del testo negriano è convincere i lettori che il marxismo-leninismo e la lotta per il socialismo sono del tutto inutili e superati.

Un insulto a Marx
Come è possibile allora che "Time'' commentando il libro abbia difinito i suoi autori "marxisti''? Perché Negri è furbo e non appena si rende conto di essersi scoperto troppo si ricorda di essere stato un navigato revisionista e non disdegna di utilizzare furbescamente un presunto collegamento della teoria dell'Impero con il marxismo allo scopo di stupire i lettori più sprovveduti e raggiungere un più vasto pubblico. Anche qui il trucco è vecchio: appellarsi al grande maestro del proletariato, revisionarne e piegarne il pensiero per convalidare e dare una verniciata di maestosità alle proprie elucubrazioni controrivoluzionarie.
"Abbiamo concepito questo cambio dal punto di vista simile al momento in cui Marx, nel Capitale, ci invita ad abbandonare la sfera rumorosa dello scambio per penetrare negli antri della produzione''15, dice altisonante, e in un altro passaggio: "insistiamo a sostenere che l'Impero rappresenta un passo avanti per sbarazzarsi dalla nostalgia delle strutture di potere che lo hanno preceduto. Noi sosteniamo che l'Impero è meglio di ciò che lo ha preceduto, allo stesso modo in cui Marx insisteva che il capitalismo era meglio delle forme di società e dei modi di produzione che aveva soppiantato.... allo stesso modo anche oggi vediamo l'Impero spazzare via i crudeli regimi del potere moderno (di quale classe?) e incrementare i potenziali di liberazione''16 (di chi?).
In un altro passaggio, sulla falsa riga di un vecchio adagio dei revisionisti e dei riformisti, afferma la conciliazione e la centrifugazione nell'impero delle due concezioni del mondo opposte e antitetiche, quella borghese e quella proletaria: "Le due grandi ideologie della modernità europea sono l'ideologia liberale che si fonda sul pacifico concerto delle forze giuridiche e la sublimazione del mercato, e l'ideologia socialista, che punta ad una dimensione internazionale attraverso l'organizzazione delle lotte e la sublimazione del diritto.... è corretto sostenere che queste due evoluzioni della nozione del diritto, che si sono svolte parallelamente attraverso i secoli della modernità, tendono ora ad essere unificate e rappresentate in un'unica categoria? Noi supponiamo che sia così, e che nell'epoca post-moderna la nozione di diritto dovrebbe essere compresa nei termini del concetto di Impero''.17
Allo stesso modo e senza paura di coprirsi di ridicolo, riprende una teoria dell'arcirevionista Althusser secondo la quale "il manifesto'' del Partito comunista di Marx ed Engels e "il principe'' di Machiavelli avrebbero molto cose in comune tra cui - scrive testualmente Negri - il fatto che: "definiscono il politico come movimento della moltitudine e ne identificano lo scopo nell'autoproduzione del soggetto. In entrambi i casi, abbiamo una teleologia materialista, un vuoto per il futuro''.18
Scorrendo il testo più a fondo si scopre un Marx camaleontico che diviene all'occorrenza un anarchico, un liberale liberista, un pacifista imbelle, un intellettuale da salotto, persino un gesuita ("Marx non è poi così differente dal vescovo Las Casas''), il suo pensiero è svuotato dal suo succo vitale ed estrapolato in citazioni digeribili dal potere della borghesia e adattabili alle tesi negriane. Ma tant'è, il nostro eroe ama passare dal salotto alla cucina, dove, tra una chiacchiera e l'altra, prepara ai lettori la seguente ed altamente indigesta insalata filosofico-politica: "la libertà machiavelliana, il desiderio spinoziano e il lavoro vivo di Marx sono concetti che possiedono un indubbio potere di trasformazione che consiste soprattutto nella loro capacità di elaborare problematizzazioni di ordine ontologico''.
Per quanto riguarda Lenin gli attribuisce esattamente ciò che egli ha criticato e smantellato come assurdità: ossia le stupide favole sul post-imperialismo: "Questa è l'alternativa implicita nel pensiero di Lenin: o la rivoluzione mondiale o l'lmpero'' afferma Negri e chiosa "C'è un'analogia profonda tra queste due scelte''.19 Poi in pieno delirio inventa di sana pianta che nei "volumi mancanti del Capitale'' Marx stava abbozzando proprio la sua teoria dell'impero. Guarda caso!
Non occorre a questo punto dimostrare che Negri, che si autodefinisce "comunista'', con Marx e Lenin non ha niente a che fare, così come niente ha a che fare con il materialismo storico come si può evincere dalla mitizzazione idealistica, propria a molti studiosi liberali, della sovrastruttura giuridica, che occupa i capitoli centrali del suo libro "Qual è il vero punto di partenza nel nostro studio dell'Impero?'' si domanda Negri e si risponde: "un nuovo concetto del diritto, o meglio, una riformulazione dell'autorità e un nuovo disegno della produzione delle norme e degli strumenti giuridici della coercizione atte a garantire i contratti e a risolvere i conflitti''.20
Insomma il suo scopo è dare una giurisdizione e una costituzione stabile alla globalizzazione imperialista. E' per questo che il signor Negri si scaglia con tanto ardore contro tutti i principi basilari del leninismo e contro tutta l'esperienza storica del proletariato internazionale, è per questo che dopo avere usato Marx lo getta via per abbracciare Nietzsche e Machiavelli: "la tesi sostenuta da Marx ed Engels della compresenza del processo produttivo e del processo di liberazione nel post modernismo è assolutamente inconcepibile. E dunque dalla nostra prospettiva postmoderna i termini del manifesto machiavelliano sembrano guadagnare una nuova attualità''. Egli stesso dice che la sua "nuova'' concezione del mondo è un "repubblicanesimo post-moderno''. Ma non poteva dircelo subito che i suoi maestri, principi, profeti, superuomini sono gente come Bush, Berlusconi e Bossi e che il padrone della sua testa d'uovo è il capitale, senza tediarci con tanto eclettismo da pavone?

Un invito a capitolare all'imperialismo
La conclusione di tutto quest'inganno non poteva esser altro che un inno alla capitolazione degli oppressi e del movimento no-global al dominio dell'imperialismo, un manifesto politico del più marcio e logoro riformismo new-global: "il nostro compito politico non è, per così dire, semplicemente quello di resistere contro questi processi, bensì quello di riorganizzarli, e di orientarli verso nuove finalità. Più che resistere alla globalizzazione capitalista, bisogna accellerarne l'andatura. Le forze creative della moltitudine che sostengono l'impero sono in grado di costruire autonomamente un controImpero, un'organizzazione politica alternativa dei flussi e degli scambi globali. Le lotte tese a costruire una reale alternativa, si svolgeranno sullo stesso terreno imperiale (...) Attraverso esse, la moltitudine sarà chiamata a inventare nuove forme di democrazia e nuovo potere costituente che, un giorno, ci condurrà, attraverso l'Impero, fino al suo superamento''.21
Ancora più emblematico è il passaggio in cui Negri si autosmaschera in maniera aperta tentando di convincere i lettori che l'unica strada giusta è quella della rassegnazione, dell'omologazione, della collaborazione con il sistema dominante; sentiamo le sue parole, ancora più illuminanti se in un attimo di modestia avesse utilizzato la prima persona singolare: "Siamo forzatamente costretti a renderci conto che siamo coinvolti in questo sviluppo e che siamo chiamati ad essere responsabili di ciò che avviene in questo contesto. La nostra cittadinanza e la nostra responsabilità etica vivono all'interno di queste dimensioni - il nostro potere e la nostra impotenza vi trovano la misura. Potremmo dire in termini kantiani, che la nostra disposizione morale interiore, nel momento in cui si confronta nell'ordine sociale, tende ad essere determinata dalle categorie etiche, politiche e giuridiche dell'Impero''.22
Riassumendo la teoria dell'"impero'' di Negri, non è altro che una versione "moderna'' delle più reazionarie teorie dei massimi esponenti della seconda internazionale. Il suo leader, Lenin lo giudicava così: "la tendenza di Kautzky è a stendere l'ombra sui profondi antagonismi dell'imperialismo - atteggiamento che inevitabilmente si trasforma in abbellimento dell'imperialismo. Quali che potessero essere i pii desideri dei pretuncoli inglesi e del sentimentale Kautzky, il senso obiettivo della sua 'teoria' è uno solo: consolare nel modo più reazionario le masse, con la speranza della possibilità di una pace permanente nel regime del capitalismo, sviando l'attenzione dagli antagonismi acuti e dagli acuti problemi di attualità e dirigendo l'attenzione sulle false prospettive di un qualsiasi sedicente nuovo e futuro `ultraimperialismo'. Inganno delle masse: all'infuori di questo, non v'è assolutamente nulla nella teoria 'marxista' di Kautzki''.23
Il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, spiega che "gli imbroglioni politici revisionisti e neorevisionisti che ingannano il proletariato e i giovani di sinistra hanno sostituito all'imperialismo la categoria dell'`impero', per non attirare l'attenzione sul capitalismo, sulla distinzione tra guerre giuste e ingiuste ("il concetto tradizionale di guerra giusta - scrive il sig. Negri - comporta la banalizzazione della guerra e la sua valorizzazione come strumento etico: due assunti risolutamente respinti dal pensiero politico moderno''24), per impedire la rivolta armata dei popoli oppressi dall'imperialismo e le rivoluzioni socialiste per la conquista del potere politico da parte del proletariato. Secondo costoro, data la nuova situazione, la non violenza e la disobbedienza civile sarebbero le uniche forme di lotta adeguate per vivere in pace e risolvere i conflitti sociali''.25
è proprio così: Antonio Negri fa parte di quella vasta schiera di lacché che vogliono imprigionare il movimento no-global nelle pastoie del riformismo, del pacifismo imbelle e della non violenza assoluta, o al massimo, e all'occorrenza, indirizzarlo verso il velleitario radicalismo anarcoide di stampo piccolo-borghese. Il suo ripetuto invito non è a combattere per distruggere ma a riformare per rafforzare l'imperialismo, e ciò dimostra ancora una volta che la equilibrata sopravvivenza del sistema gli stanno a cuore più di ogni altra cosa.
Per tranquillizzare e tenere a bada le classi, i popoli e le nazioni oppresse e che languono sotto il gioco dell'imperialismo costoro inventano l'utopia di poter rimuovere gli effetti più perversi della globalizzazione inventandogli nuove regole, nuove leggi, una nuova etica, "umanizzarla'' per permettere una crescita davvero globale, la "redistribuzione del reddito'', la pace eterna e la fratellanza universale.
Nel caso del nostro eroe la tesi dell'"inesistenza delle dicotomie e dei dualismi'', gli dà mano libera nel vagheggiare la scomparsa del centro nevralgico del nemico di classe, il potere politico dello stato borghese, e affermare l'inutilità di tutti gli strumenti tattici e strategici, di tutti i riferimenti teorici, ideologici e pratici, di tutte le forme di lotta dimostratesi vincenti per le classi, i popoli e le nazioni oppresse dall'imperialismo nel secolo scorso. E tutto ciò per adempiere al compito che gli imperialisti gli hanno affidato: teorizzare e propagandare la conciliazione pacifica e non violenta, o l'inesistenza (che in fondo è la stessa cosa) delle contraddizioni tra "l'impero'' e i movimenti di lotta antimperialisti del terzo millennio. "Tutti i conflitti, le crisi e le contestazioni - scrive Negri - fanno avanzare il processo di integrazione e, nella stessa misura, esigono un rafforzamento dell'autorità centrale. La pace, l'equilibrio e la cessazione del conflitto sono i valori verso cui tutto viene diretto''.26
Parafrasando il suo pensiero potremo dire che la pace, l'equilibrio e la cessazione del conflitto per abbattere borghesia e capitalismo sono i valori verso cui tutto il ragio-namento di Negri viene diretto.

Un conato di bile contro l'internazionalismo proletario
"Oggi dobbiamo chiaramente riconoscere - scrive Negri con la fretta del desiderio - che il tempo dell'internazionalismo proletario è finito27. Le lotte anticoloniali e antimperialiste del XX secolo sono state soltanto un virus che anticipò e prefigurò la formazione dell'impero. Lo stesso incontenibile desiderio di libertà che ha distrutto e sepolto lo stato-nazione e che ha determinato la transizione all'Impero vive forse sotto le ceneri del presente, in cui si è consumato il rogo del soggetto internazionalista proletario al centro del quale c'era la classe operaia industriale''.28 (...) "Le lotte di oggi sono altre, sono divenute incomunicabili e distruggono la distinzione tradizionale tra l'economico e il politico, per esse l'insistenza sulla vecchia definizione di strategia e tattica potrebbe non avere più alcuna utilità perché non esistono più gli anelli deboli della catena''. Il suo conato di bile anticomunista investe persino le canzoni di lotta: "L'internazionale era l'inno dei rivoluzionari, la canzone dei futuri utopici. Occorre notare che l'utopia espressa da queste parole d'ordine non è realmente internazionalista, se per internazionalismo si intende una sorta di consenso tra le diverse identità nazionali per preservare le loro differenze e negoziare alcuni limitati accordi''.29
Peraltro in questo caso merita i complimenti per essere riuscito, con il gioco delle tre carte, a dare una definizione perfettamente nazionalistica e interclassista dell'internazionalismo proletario. Ma riesce persino a fare di meglio teorizzando che l'internazionalismo e le lotte di liberazione dei popoli abbiano raggiunto lo scopo partorendo e concludendosi con la nascita dell'impero: "La solidarietà internazionalista era veramente un progetto per la distruzione dello stato-nazione e per la costruzione di una nuova comunità globale... Si potrebbe essere tentati di dire che l'internazionalismo proletario ha vinto alla luce dell'attuale declino degli stati-nazione nel passaggio verso la globalizzazione e verso l'impero''.30

Un altro nemico della classe operaia
Di aberrazione in aberrazione, di delirio in delirio Antonio Negri sostiene che "La classe operaia è stata detronizzata dalla sua posizione privilegiata nell'economia capitalistica e della sua posizione egemonica nella composizione di classe del proletariato. Tra le diverse figure della produzione che sono in azione oggi, quella della forza lavoro immateriale (coinvolta nella comunicazione, nella cooperazione e nella produzione e riproduzione degli affetti) occupa una posizione sempre più centrale sia nello schema della produzione capitalistica che nella composizione del proletariato... Tutte queste forme di lavoro sono soggette alla produzione capitalistica e proprio questo suo essere all'interno del capitale, a sostegno del capitale, è ciò che definisce il proletariato in quanto classe''.31
Qui le false tesi negriane si ricollegano alla suo antico disprezzo ed odio per la potenzialità rivoluzionaria dell'operaio di fabbrica. L'ideologo della "autonomia operaia'' in quegli anni coniava il termine di "operaio sociale'' quale nuovo soggetto rivoluzionario per sostituire al marxismo della centralità operaia il revisionismo della centralità dell'"area dello sfruttamento presente sul territorio'', dei cosiddetti "non garantiti'', gli studenti, i disoccupati, i precari, gli addetti al lavoro nero, i baraccati, il sottoproletariato delle periferie urbane. Forze sociali che avrebbero dovuto coagularsi intorno alla classe operaia, che hanno interesse e naturalmente sono spinte all'alleanza con essa, sono invece da lui mitizzate in quanto tali e spinte in una fuga in avanti che si infrange sulla consolidata macchina statale borghese.
Queste teorie hanno condotto il movimento del '77, o parte di esso, alla dispersione, ne hanno sperperato il grande potenziale e lo hanno consegnato in pasto allo Stato borghese, alla destra DC e craxiana e al riformismo che "gli autonomi'' un tempo dicevano di "voler colpire al cuore''. Adesso Negri aggiorna le sue tesi e sempre contro Marx sostiene che "il ruolo centrale della forza lavoro della grande fabbrica nella produzione del plusvalore è oggi prevalentemente assunto da una forza lavoro intellettuale, immateriale e comunicativa che esige una nuova teoria politica del valore''.32 Come a dire che al centro del sistema produttivo ci sarebbero i pensatori salottieri come lui.
Al di là della patologica megalomania del personaggio, la chiusura del cerchio di queste concezioni è limpidamente chiaro nella dichiarazione visceralmente reazionaria ed anticomunista contenuta nell'"impero'': "lo scopo del proletariato, in quanto classe, è quello di dare sostegno al capitale''.33 E mano a mano che il mago fa scomparire la centralità produttiva e il ruolo storico delle classe operaia, attacca ovviamente la necessità di avere una avanguardia proletaria- rivoluzionaria organizzata in un partito di tipo bolscevico, definisce inutile persino l'esistenza del sindacato dei lavoratori, e fa scomparire così la lotta di classe e persino l'esistenza delle classi in generale. Fino a che, rifiutata la stessa nozione di popolo nella sua testa non rimane altro che la categoria liberale e cattolica di "umanità'', ridefinita "moltitudine'' e intesa come "l'universalità delle libere pratiche produttive''34, e i concetti borghesi ed astratti di democrazia, giustizia, libertà, dignità.
"Chi ha preso il posto della classe operaia? In che senso possiamo dire che il radicamento ontologico di una nuova moltitudine deve diventare un attore positivo e alternativo nell'articolazione della globalizzazione? Dobbiamo capire come la moltitudine può diventare un soggetto politico nel contesto dell'Impero''. Per fare cosa?: "l'unica alternativa'' è impegnarsi nel volontariato e lottare per avere al comando dell'Impero un "governo espansivo e radicato nel sociale'', un governo "civile'' e "democratico''.
Lo spirito reazionario di Negri non vede altra possibilità che il riformismo borghese insomma, condito di spontaneismo e frazionismo: "L'incomunicabilità delle lotte della moltitudine è in realtà una grande risorsa e non un limite, una risorsa perché tutti questi movimenti sono immediatamente sovversivi e non attendono alcun tipo di aiuto esterno o di estensione che garantisca la loro efficacia''.35

Un paio di rivendicazioni: la cittadinanza imperiale e il salario garantito
Per quanto riguarda le rivendicazioni strategiche esse si riducono a quelle neoliberali di un "reddito di cittadinanza e un salario sociale per tutti'' poiché "la moltitudine è il potere singolare di una nuova città che lotta per il diritto alla cittadinanza globale. Si deve esigere soltanto che lo status giuridico della popolazione sia riformato in funzione delle trasformazioni economiche degli ultimi anni... l'istanza politica chiede che questo dato di fatto della produzione capitalistica sia riconosciuto giuridicamente e che tutti i lavoratori possano avere diritto di cittadinanza. Nella postmodernità questa richiesta politica di fatto fa leva su un fondamentale principio costituzionale della modernità, che collega il diritto del lavoro e che ricompensa, con la cittadinanza il lavoratore che crea capitale''.36
Si noti attentamente come, più che all'editto dell'imperatore romano Caracalla che diede per la prima volta la cittadinanza romana a quelle popolazioni barbariche che si sottomettevano e lavoravano per l'impero, questo ragionamento di Negri coincida con gli obiettivi della legge schiavista, razzista, xenofoba e fascista voluta da Bossi e Fini sull'immigrazione, i quali potrebbero senza alcuna difficoltà sottoscrivere il programma new-global propagandato più avanti dal professor Negri: "La moltitudine esige che ogni singolo stato (ma non erano scomparsi?) riconosca giuridicamente le migrazioni che sono necessarie per il capitale, e in una seconda fase, essa richiede un controllo su questi stessi movimenti''.37
Mentre ai disoccupati che lottano per il lavoro stabile, a salario intero a tempo pieno e sindacalmente tutelato regala questa apologia e giustificazione della disoccupazione: "il rifiuto del lavoro è l'inizio della rivoluzione sociale''. Più in generale riferendosi direttamente al povero e allo schiavo moderno il nostro ricchissimo profeta suggerisce di essere "orgogliosi della propria condizione privilegiata'' per essere "non solo nel mondo, ma l'unica possibilità del mondo'', "per essere la condizione di possibilità di qualsiasi produzione''38 e li invita con un paragone con l'epoca medioevale ad attendere l'ascesa in paradiso: "permetteteci per concludere - scrive infatti - un'ultima analogia che riguarda le origini del cristianesimo in Europa e la sua espansione durante il declino dell'Impero romano. In questo processo venne alla luce un enorme potenziale di soggettività consolidato dalla formulazione di una profezia di un mondo a venire, da un progetto chiliastico. Questa nuova soggettività rappresentava un'alternativa assoluta nei confronti dello spirito del diritto imperiale, una nuova base ontologica''.39

Una brevissima conclusione
Per tutte le mostruosità sopra dette e le tante che non abbiamo potuto citare40 Antonio Negri speriamo venga presto inquadrato nella categoria politica che merita: tra gli impostori e i nemici del popolo!
 

NOTE

1) Impero, il nuovo ordine della globalizzazione: Antonio Negri e Micheal Hardt, Ed. Rizzoli pag. 381 e 382
2) Lenin, L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, Editori Riuniti, pag. 159
3) Impero pag. 14, 15 e 26
4) Ibidem pag. 16 e 199
5) Ibidem pag. 287
6) Ibidem pag. 375
7) Ibidem pag. 80
8) Ibidem pag. 48
9) Ibidem pag. 55
10) Ibidem pag. 26
11) Ibidem pag. 283
12) Ibidem pag. 378
13) Ibidem pag. 220
14) Ibidem pag. 355
15) Ibidem pag. 18
16) Ibidem pag. 56
17) Ibidem pag. 28
18) Ibidem pag. 74
19) Ibidem pag. 222
20) Ibidem pag. 26
21) Ibidem pag. 16 e 17
22) Ibidem pag. 35
23) Lenin, L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, Editori Riuniti pag. 159-160
24) ibidem pag. 29
25) Giovanni Scuderi, discorso alla III Sessione plenaria del 4° Comitato centrale del PMLI, Il Bolscevico n° 23/2003
26) Impero, pag 30
27) Ibidem pag. 61
28) Ibidem pag. 63
29) Ibidem pag. 61
30) Ibidem pag 61
31) Ibidem pag. 64-65
32) Ibidem pag. 44
33) Ibidem pag. 61
34) Ibidem pag. 296
35) Ibidem pag. 68
36) Ibidem pag. 370
37) Ibidem pag. 370
38) Ibidem pag. 152- 154
39) Ibidem pag. 36
40) Negri a pag.113 parla dell'"obbedienza esemplare del popolo tedesco'' al regime di Hitler, del suo "valore civile e militare'' e difinisce "effetti collaterali'' Auschwitz e Buchenwald, in un altro passaggio a pag. 310 sostiene che il "Terzo mondo non è mai esistito'', in un altro ancora a pagina 314 sostiene con veemenza che "L'impero ha lavoro per tutti e che più il lavoro è deregolamentato e più ce n'è''