Vittime del capitalismo e del lavoro nero
4 operai feriti e un morto per il crollo del nuovo museo del mare a Genova. La procura ha aperto due inchieste. 20 morti al mese nell'edilizia
8 ore di sciopero degli edili
Sabato 8 novembre nel cantiere dove è in costruzione il nuovo museo del mare, struttura che era destinata a diventare il biglietto da visita di Genova 2004 capitale della cultura europea, si è consumata l'ennesima tragedia sul lavoro. Un operaio albanese di 30 anni, Albert Kolgjegia, è morto e altri 4 operai sono rimasti feriti.
Erano appena le 8,40 e c'erano almeno 40 operai al lavoro nel cantiere quando, per il cedimento della soletta esterna del primo piano, è crollata su se stessa l'intera struttura in cemento.
Se non è stata una vera e propria strage lo si deve al caso. Fortunatamente quasi tutti sono riusciti a mettersi in salvo, appena percepito il pericolo. Non altrettanto fortunati sono stati gli operai rimastati travolti dal crollo. Di questi 4 sono stati tratti in salvo anche se alcuni feriti seriamente. Per l'operaio albanese invece non c'è stato niente da fare. Il corpo lo hanno recuperato solo dopo 19 ore di scavi.
I compagni di lavoro degli operai della vittima non si danno pace e denunciano come già da qualche giorno giungessero strani e inquietanti rumori dalle impalcature. "Ma i padroni dicevano che si trattava di normale assestamento, e che non dovevamo preoccuparci di nulla".
Si erano pure resi conto che i sistemi di fissaggio delle solette alle pareti erano deboli e i ganci non potevano reggere tutto quel peso, e che rischiava di venir giù tutto. Ma sono state parole al vento. Anche perché la Impreval, la ditta che in quel momento era nel cantiere, stava lavorando in sub-sub appalto.
Per stabilire le cause del crollo la magistratura ha aperto due inchieste. Il 15 novembre è partito il primo avviso di garanzia, all'ingegnere spagnolo Jesus Jimenez Canas responsabile dei calcoli del cemento armato. Altri avvisi di garanzia, che in tutto sarebbero 11, dovrebbero partire a giorni. Le ipotesi di accusa formulate da Sergio Merlo, il pm titolare dell'inchiesta, sono lesioni, omicidio e crollo colposi.
Sotto accusa è anche la gestione e la tempistica dei lavori commissionati dalla Porto Antico spa, il cui azionista di maggioranza è il comune di Genova, alla società "Vecchia Darsena" di cui fanno parte le aziende Carena, Cemenedile, Sirce, Srteco, Stices, Tecnoedile e Iotti. Carena e Cemenedile hanno ceduto l'appalto alla Galata Scrl che a sua volta ha chiamato in causa la Impreval.
Da chiarire rimane la questione se la Impreval utilizzasse o meno lavoro nero. Secondo quanto ha affermato il procuratore capo Francesco Lalla "gli operai coinvolti nel crollo, erano tutti lavoratori subordinati con un regolare contratto edile pienamente valido". Ma tale versione contrasta con quanto hanno dichiarato due operai albanesi che si sono autodenunciati: "noi albanesi, eravamo tutti in nero, compreso il nostro amico morto. Non abbiamo mai visto una lira e un contratto. Ci hanno chiesto solo il permesso di soggiorno. Ci presentavamo ai cancelli la mattina alle sette; il capo era Domenico, un siciliano, che faceva le squadre di lavoro, a sei euro l'ora". Lo stesso aveva denunciato la Cgil. "La vittima lavorava in nero... Secondo nostri accertamenti non risulta nessun versamento all'Inps o all'Inail e alla cassa edile non è depositato a suo nome nessun contratto". E "gravi irregolarità" nella gestione del cantiere le hanno riscontrate pure gli ispettori della Direzione provinciale del lavoro mandati dal ministro Maroni a Genova. Nel cantiere non sono stati trovati né i libri "matricola", né i libri "paga", ossia i registri dei lavoratori, delle ore fatte e del salario corrisposto.
Quel che appare chiaro è che anche questa tragedia affonda le sue radici nello sfruttamento e nel mancato rispetto delle regole.
La responsabilità ricade sul sistema di lavoro nei cantieri di tutta Italia, impostato sulla deregolamentazione e la frammentazione del lavoro, accentuata dalle modifiche legislative apportate dal governo Berlusconi. Un sistema che, per ridurre i costi e far lievitare i profitti, si basa su un effetto domino di appalti e subappalti tra una ditta e l'altra, su una incontrollata filiera produttiva nella quale spariscono le responsabilità e ogni garanzia di sicurezza, sulla precarizzazione dei lavoratori, spesso impiegati in nero, senza alcuna tutela e senza diritti, e in condizioni da Terzo mondo.
Un criminale sistema di produzione che nei cantieri uccide 20 lavoratori ogni mese. Una mattanza senza fine che nei primi dieci mesi del 2003 ha già contato 186 operai edili morti. Secondo cifre fornite dalla Fillea, tra il '98 e il 2002 sono stati 1.487 gli omicidi bianchi nei cantieri. Quasi uno al giorno. A questa ecatombe vanno aggiunti gli incidenti che, nel periodo su citato, hanno creato 25 mila nuovi invalidi permanenti.
Sulla base di ciò dovranno essere accertate anche le responsabilità penali del comune di Genova, il principale committente dell'opera, che non può considerarsi "parte lesa" come ha asserito il sindaco di "centro-sinistra" Pericu, perché come minimo non ha controllato che le regole e le leggi venissero rispettate nell'ambito, peraltro della costruzione di un'opera pubblica. Ma da verificare sarebbero i bandi, per vedere quali paletti erano stati messi e se erano stati messi, per impedire il ricorso al lavoro in subappalto dietro cui si nasconde, è risaputo anche dai sassi, il massiccio ricorso al lavoro nero, la mancata osservanza delle più elementari misure di sicurezza, i mancati pagamenti dei contributi. In una parola il supersfruttamento e la frode contributiva e fiscale.
La morte di Albert, così come quella di tutti gli edili e di tutti i lavoratori sacrificati sull'altare del massimo profitto capitalista, ricade politicamente sulla classe dominante borghese e sui governi centrale e locali che la rappresentanto, a partire da quello in carica del neoduce Berlusconi, per i quali la sicurezza, la salute, il benessere dei lavoratori sono un optional di cui sbarazzarsi in un mercato governato dalle leggi del liberismo sempre più selvaggio.
Per protestare contro l'ennesimo tributo di sangue operaio, e la mancanza di sicurezza nei cantieri gli edili genovesi hanno scioperato per 8 ore lunedì 10 novembre. In duecento si sono ritrovati al presidio davanti al cantiere crollato. Tra i mazzi di fiori deposti sul luogo della tragedia, uno era accompagnato da un biglietto con su scritto "Nessuno al mondo deve essere sfruttato". Mentre tra le bandiere sindacali, spiccava anche quella albanese, a ricordare la nazionalità dell'operaio scomparso e di molti suoi compagni di lavoro.