Frutto del "capitalismo selvaggio" e del governo D'Alema
DILAGA IL LAVORO "ATIPICO" SUPERPRECARIO E SUPERSFRUTTATO
Cinque milioni di lavoratori senza effettivi diritti contrattuali, sindacali e previdenziali. La legge Smuraglia non offre garanzie sufficienti. La Finanziaria estende a tutti il lavoro interinale. I sindacati di regime sono conniventi
BATTERSI PER IL LAVORO STABILE, A SALARIO PIENO E SINDACALMENTE TUTELATO

In tema di occupazione l'Italia in Europa è il fanalino di coda. I livelli di disoccupazione sono assai più gravi rispetto alla maggioranza dei paesi dell'Unione europea. Quasi 3 milioni di persone, soprattutto giovani e donne, concentrati in maggioranza nel Mezzogiorno sono disoccupati. I 266.000 nuovi posti di lavoro creati in questo ultimo anno, cui si vanta D'Alema, sono all'85% precari, atipici.
Tutti i governi che si sono succeduti in questi ultimi 10 anni, a partire da quello di Amato per finire a quelli di Prodi e all'attuale D'Alema non sono riusciti, o meglio non hanno voluto cancellare la disoccupazione. Anzi, mettendo in atto una ferrea politica economica e sociale neoliberista, del tutto simile da quella propugnata dalla destra neofascista e da quella rivendicata dal grande capitale, hanno sistematicamente demolito le garanzie legislative del diritto al lavoro, deregolamentato e destrutturato il "mercato del lavoro" e le norme del collocamento pubblico, portato agli estremi le flessibilità nei rapporti di lavoro e, attraverso questa strada, spalancato le porte al precariato di massa poco tutelato, senza effettivi diritti, supersfruttato.
Proprio qualche mese fa (nel settembre scorso) il presidente del Consiglio, il rinnegato D'Alema, strappando un immediato applauso alla Confindustria, aveva avuto l'ardire di affermare che "non ha più senso l'idea che l'occupazione sia da legare solo al cosiddetto posto fisso. La nuova occupazione - aggiungeva - è il frutto, in buona parte, delle misure di flessibilità che sono state introdotte". Al quale fanno eco il governatore della Banca d'Italia Fazio e il segretario della Cisl D'Antoni secondo i quali è meglio un lavoro precario con pochi diritti che disoccupati.
Se questa è la direzione, da "capitalismo selvaggio", cui si sono mossi Amato, Dini, Ciampi, Prodi e D'Alema, per non dire di Berlusconi con la piena complicità dei sindacati di regime, per adeguare l'Italia ai parametri di Maastricht e alla competizione imperialista internazionale nell'"era della globalizzazione" non è difficile comprendere come mai ogni anno diminuiscono 100 mila posti di lavoro stabili e crescono invece in modo esponenziale i lavori "flessibili", a part-time, a tempo determinato, con contratto in affitto, oppure con un contratto para-subordinato.

CHI SONO I LAVORATORI "ATIPICI"

I lavori "flessibili", che si sono moltiplicati con grande velocità e che hanno trovato numerose (e fantasiose) forme di applicazione fino a stravolgere pesantemente il "mercato del lavoro" così come l'abbiamo conosciuto fino alla fine degli anni '70, nel gergo economico sindacale vanno sotto il nome di "nuovi lavori" o più frequentemente di lavoro "atipico" non standardizzato e parasubordinato. Ma disegnare l'identikit dell'esercito dei lavoratori "atipici", dire esattamente quanti sono, in che tipologie di lavoro sono impiegati, come sono inquadrati contrattualmente, quali sono le loro effettive condizioni di lavoro non è affatto facile perché le notizie sono scarse e spesso in contraddizione tra loro e perché manca a tutt'oggi una legge quadro che ne definisca il loro profilo legale.
Dai tanti nomi addebitati agli "atipici" si ha un'idea di quanto ambigua e non chiara sia la loro situazione. Sono definiti: "collaboratori coordinati e continuativi", "para-subordinati", "non contrattualizzati", "non standardizzati", "socio lavoratore", "il popolo del 10-12%" (si tratta della percentuale delle ritenute previdenziali), "lavoro mobile", "lavoratori autonomi di terzo tipo", "lavoro autonomo di seconda generazione" e così via. è perciò più facile dire ciò che essi non sono: lavoratori dipendenti, autonomi o imprenditori. Ad ogni modo, provando a fare una qualificazione in gruppi, emerge quanto segue.
Collaboratori e consulenti continuativi e occasionali. Sono regolati da un contrattino parasubordinato che non prevede un rapporto di lavoro dipendente. Il lavoratore non ha l'obbligo dell'iscrizione a un albo professionale o a una partita Iva anche se molti padroni spingono i lavoratori a farlo. Le prestazioni possono essere di collaborazione coordinata e continuativa, occasionale oppure di consulente professionale.
Lavori temporanei. Ossia lavori "interinali", lavoro in affitto, "leasing di manodopera" perché reclutati da aziende di intermediazione che operano come un moderno "caporalato" per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo delle imprese utilizzatrici. è regolato con la legge 196/97. Dato che anche chi è iscritto alle "liste di mobilità" può svolgere lavoro in affitto, per il governo e il padronato diventa un modo per sfuggire agli obblighi di ricollocazione dei lavoratori rimasti senza posto di lavoro.
Professioni non regolarizzate. Sono attività professionali di "seconda generazione" senza un albo di riferimento, svolte in maniera autonoma. Generalmente si tratta di progetti estremamente saltuari e specifici, col conseguimento dell'obiettivo prefissato il rapporto di lavoro giunge al termine.
Associazioni in partecipazione. Vengono regolate dall'articolo 2549 del codice civile che recita: "Col contratto di associazione in partecipazione, l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa verso il corrispettivo di un determinato apporto". Particolarmente usato nel commercio per incentivare le vendite, il lavoratore percepisce un salario minimo più una quota degli utili dell'impresa in base alle prestazioni lavorative senza l'obbligo del versamento dei contributi previdenziali. Ci sono vari rischi per il lavoratore quali non essere pagato, essere truffato e addirittura trovarsi a pagare le eventuali perdite dell'azienda a cui è associato. Inoltre è cancellato dalle liste di collocamento.
Contratti di inserimento. In attesa di rinnovare i contratti di formazione-lavoro, i disoccupati tra i 25-29 anni possono essere assunti con questi contratti. Non esiste alcuna garanzia per una assunzione a tempo indeterminato dato che questi contratti non contemplano questa possibilità.

QUANTI SONO, COSA FANNO E DOVE SONO DISLOCATI

Quanti sono i lavoratori "atipici"? Tanti, diversi milioni, anche se le cifre che da più parti ci vengono fornite non coincidono. Secondo i dati del Censis sono 2.368.000 con un aumento del 26,4% rispetto a quattro anni fa. Ma c'è chi, come il NIdiL-Cgil (il sindacato delle Nuove identità di lavoro), li stima vicino ai 5 milioni. Infatti, secondo l'ultimo censimento degli iscritti all'Inps con l'obbligo del versamento del 12% al Fondo speciale (cioè gli "atipici") sono risultati 1.458.716 lavoratori suddivisi tra 1.281.657 "collaboratori", 143.524 iscritti ad un albo professionale e 31.536 "professionisti collaboratori" con partita Iva; ai quali però occorre aggiungere i cosiddetti "collaboratori occasionali", "freelance" o "on call worker" (lavoratori a richiesta) costituiti da stagisti, borsisti, tirocinanti, lavoratori interinali, contratto a tempo determinato o part-time, telelavoristi, weekendisti e del "job-sharing" per raggiungere 5 milioni di unità, poco meno del 20% dell'insieme degli occupati.
Sono soprattutto giovani e donne, ma anche pensionati e lavoratori licenziati che svolgono le suddette "nuove professioni": 20,9% in età 18-29 anni; 30,00% in età 30-39 anni; 21,7% in età 40-49 anni; 17,00% da 50 anni in su. Ben il 40% sono donne, percentuale che supera di gran lunga quella delle donne regolarmente assunte. Oltre il 60% del lavoro "atipico" si concentra nel Nord e nella Lombardia, nell'area quindi più industrializzata e florida del Paese, per il 21% nel Centro, mentre nel Sud scendono a 18-19% dove però si trova una presenza molto massiccia di lavoro "nero". Milano detiene il record di presenza di queste "nuove professioni" precarie: 38% del lavoro interinale e il 23% del lavoro "atipico", 35 agenzie di collocamento per il lavoro in affitto autorizzate dal governo. Più l'economia è forte e strutturata, più si concentrano uomini e pensionati nel lavoro "atipico". Al contrario laddove l'economia è debole e arretrata sono principalmente le donne e i giovani, cioè i soggetti contrattualmente più deboli e marginalizzati, ad essere impiegati nel lavoro "atipico".
Dalla metà degli anni '80 le flessibilità, il precariato, le nuove forme di lavoro non standardizzato e parasubordinato hanno fatto passi da gigante non solo nel nostro Paese ma in tutti i paesi dell'Unione europea. Nel 1997 sono stati registrati nell'Ue 15,1 milioni di lavoratori temporanei con una crescita del 9%, mentre il tasso di crescita dell'occupazione complessiva si è fermata all'1,6%. Ciò che può meravigliare è che il livello dell'occupazione temporanea raggiunto in Europa (15,2 milioni su 150 milioni di occupati complessivi) ha superato gli Usa (5,6 milioni rispetto a 127 milioni di occupati) ossia il paese dove da sempre vige la piena liberalizzazione del "mercato del lavoro" e mancano in grande parte le garanzie sindacali.
Le assunzioni ormai avvengono in larga parte attraverso i contratti a termine e "atipici". Questi contratti sono usati dalle aziende anche per fare la "selezione" delle assunzioni a tempo pieno. Come a dire, solo chi abbassa la testa e accetta il diktat aziendale ottiene un lavoro, gli altri rimangono fuori. Secondo uno studio dell'Isfol, 3 assunzioni su 4 sono "flessibili" e a tempo parziale. Su 1.000 di queste assunzioni a termine dopo 12 mesi 342 passano in forma stabile. Inoltre 282 su 1.000 assunti a part-time passano al contratto a tempo pieno.
Ma la tendenza principale va nella direzione opposta, cioè dal posto fisso al posto precario. Da un'indagine condotta dall'Inps si scopre infatti che sempre di più le aziende costringono una quantità crescente di lavoratori a contratto a tempo indeterminato a cambiare il loro rapporto di lavoro come "collaboratore coordinato continuativo"; nel senso che continuano a fare esattamente lo stesso lavoro di prima ma come lavoratore "atipico". Su 100 aziende, la ricerca ha rilevato che vi lavorano ben 5 mila "collaboratori" quasi dipendenti, mentre il turn-over, ossia la sostituzione del personale che per varie ragioni lascia l'azienda, è fermo al 2%. è un metodo infame messo in essere anche dalle amministrazioni pubbliche, comune di Milano in testa.

LE CONDIZIONI DI LAVORO DEGLI "ATIPICI"

I lavoratori "atipici" sono impiegati in mille modi: nel campo dei servizi, dell'assistenza, del commercio, dell'animazione, dell'editoria, dell'informatica, della comunicazione e della formazione ma anche nel pubblico impiego e nell'industria. Sono tutt'altro che lavori gratificanti, come si vorrebbe far credere. Non sono solo le aziende piccole a ricorrere al lavoro "atipico", vi ricorrono e in modo consistente anche le grandi sia private che pubbliche come Italtel, Alitalia, Logos, Telecom, Ibm, Sony, Mondadori, Università cattolica e Policlinico di Milano, ecc..
A questi lavoratori che, come si è visto, non sono inquadrabili né nel lavoro dipendente né nel lavoro autonomo le aziende impongono condizioni di lavoro di supersfruttamento senza limiti e senza tutele: orari estremamente flessibili nella giornata e nella settimana, salari al di sotto del dovuto, diritti zero, libertà di licenziamento in qualsiasi momento da inviare anche per fax, nessun versamento contributivo previdenziale, nessuna tutela della maternità. Il 5,6% dell'insieme dei collaboratori ha un reddito mensile di appena 500 mila lire. Il 15% è retribuito con una cifra che va dalle 500 a 1 milione di lire. Il 48% percepisce un salario tra 1 e 2 milioni. Il resto va sopra i 2 milioni di lire lordi. Molti di questi però devono pagarsi i versamenti previdenziali, la partita Iva, la polizza antinfortunistica e quant'altro. Ecco quanto si legge in un "contratto di collaborazione coordinata e continuativa" redatto da un'azienda pubblica di Roma: 1. Il collaboratore si impegna a dedicare tutto il tempo ragionevolmente necessario al migliore svolgimento dei servizi offerti alla società. 2. Le parti convengono che la società potrà recedere liberamente dal presente contratto a suo insindacabile giudizio. 3. Le parti convengono, anche in deroga al codice civile e alle normative eventualmente applicabili, che in caso di esercizio del diritto di recesso da parte della società è escluso ogni indennizzo. Per il mancato guadagno, in caso di risoluzione del collaboratore la società ha il diritto al risarcimento degli eventuali danni subiti. 4. Il collaboratore garantisce di aver stipulato idonea polizza assicurativa per infortuni professionali ed extra professionali.
Sembra essere tornati di colpo a una situazione ottocentesca quando i padroni potevano disporre della manodopera come volevano per disfarsene subito dopo averla ben bene "spremuta".

LEGALIZZAZIONE DEL PRECARIATO

Governo, parlamento e sindacati confederali invece di contrastarle hanno favorito la diffusione di queste nuove forme di precariato, con l'approvazione di norme di legge o con il varo prossimo venturo di provvedimenti legislativi per definire rapporti di lavoro a tutto vantaggio del padronato. Si pensi alla legge 196/97, frutto dell'infame patto sociale del luglio '93, sul lavoro interinale. Si pensi alla proposta governativa avanzata dal cosigliere dell'ex ministro del Lavoro Treu, Biagi, per uno "Statuto dei nuovi lavori" che tra le altre mostruosità prevede la libertà di licenziamento da parte delle imprese soprattutto verso i giovani in deroga alla legge 604 che regola i licenziamenti individuali. Si pensi infine al disegno di legge n.2049, che porta il nome di chi l'ha presentato, Carlo Smuraglia (DS), approvato in Senato il 4 febbraio '99, una sorta di legge quadro per istituzionalizzare gli "atipici" come lavoratori di serie "B" con condizioni di lavoro, garanzie contrattuali e previdenziali e diritti sindacali di serie "B".
è lo stesso Smuraglia a dichiarare che la legge ha solo lo scopo di "garantire un livello minimo di tutela, senza irrigidire i rapporti di lavoro". La vaghezza voluta con cui la legge tratta le norme che riguardano le modalità di assunzione e del recesso del rapporto di lavoro, che riguardano le condizioni di lavoro, la retribuzione e i diritti lasciano il lavoratore "atipico" del tutto indifeso. La mancanza di una chiara distinzione, tra lavoro subordinato e non, certificata per legge, lascia ampi margini di manovra per considerare qualsiasi lavoro come "atipico". L'esclusione di tutta la parte della legge 300 (Statuto dei lavoratori) che tutela il diritto pieno ed esigibile alla vita sindacale (assemblee, delegati, permessi retribuiti, propaganda sindacale), l'esclusione nella legge del divieto di attività antisindacale, del controllo a distanza dei lavoratori e della loro perquisizione da parte delle aziende, la non inclusione del diritto alla studio e la tutela del licenziamento per "giusta causa" fanno di questi lavoratori degli "schiavi moderni".

TUTTI IN AFFITTO

Già così la legge Smuraglia è inaccettabile e da respingere con forza. Ma è da prevedere che alla Camera subisca ulteriori e pesanti modifiche peggiorative richieste a gran voce dalle associazioni padronali, sostenute dal Polo di Berlusconi e Fini e che trovano ampie disponibilità da parte dell'Ulivo. Intanto, il governo D'Alema ha inserito nella Finanziaria ulteriori misure negative in tema di lavoro precario "atipico". Particolarmente grave quella che elimina il divieto di impiegare il lavoro interinale nelle qualifiche a più basso contenuto professionale e nei settori dell'edilizia e dell'agricoltura dove opera ancora una vasta rete illegale di intermediazione, meglio conosciuta come "caporalato". Cancellati questi divieti per andare incontro agli interessi padronali, in pratica il lavoro in affitto, questa forma estrema e odiosa di flessibilità del lavoro, può essere applicata in tutti i settori e per tutte le qualifiche.
Non se ne sentiva davvero il bisogno di questa ennesima estensione. Alla fine del '99 oltre 200 mila lavoratori sono stati coinvolti nel lavoro in affitto (72% nell'industria e il resto in attività impiegatizia e servizi), con un aumento del 50% rispetto all'anno precedente. In maggioranza sono giovani, con un'età media di 28 anni, i quali pur di trovare un'occupazione si rendono disponibili a un lavoro temporaneo mal pagato e mal tutelato. Il lavoro "atipico" non crea nuova occupazione aggiuntiva, sostituisce e solo parzialmente la diminuzione relativa e assoluta di lavoro stabile. Non a caso è nel Mezzogiorno che si riscontrano le percentuali più basse di applicazione dei contratti "atipici" e in affitto.
La Finanziaria prevede anche un provvedimento per velocizzare (un punto ogni biennio dall'attuale 12%) l'innalzamento del prelievo contributivo ai fini pensionistici che lo porterà nel 2014 al 19%.
I vertici sindacali confederali in connivenza col governo sono corresponsabili della frantumazione del "mercato del lavoro", dell'aumento delle forme di assunzione flessibili, dell'estensione ormai a livello di massa del lavoro "atipico". Sono stati loro con una concezione delle relazioni sindacali in senso cogestionario e neocorporativo di stampo mussoliniano che hanno firmato gli accordi di luglio '92 e luglio '93 e approvato il "pacchetto Treu" che dava il via al lavoro interinale; sono stati loro a firmare il "patto di natale" del dicembre '98 dove veniva confermata una linea in appoggio alle più svariate forme di flessibilità nel lavoro; sono stati loro a rendersi disponibili ad approvare uno "statuto dei nuovi lavori" che introduca in modo istituzionale la diversificazione dei diritti a seconda se uno lavora in forma stabile oppure in forma temporanea; sono stati ancora loro a sollecitare l'emendamento alla Finanziaria per l'estensione del lavoro in affitto e sono sempre loro che più di altri appoggiano acriticamente la legge Smuraglia.
I sindacati di regime per il lavoro "atipico" hanno creato persino dei sindacati specifici: la Cgil ha dato vita a NIdiL, mentre le altre due confederazioni hanno formato la Cisl-Alai e la Uil-Cpo. Hanno scarsissime adesioni e ciononostante si arrogano il diritto di rappresentare gli "atipici" e di firmare dei contratti di lavoro per loro con la Confintern (che riunisce le agenzie di intermediazione di lavoro interinale); contratti che in buona sostanza finiscono per sancire condizioni di lavoro di supersfruttamento e per dare una parvenza di legalità a queste forme di lavoro bestiali.
LAVORO E DIRITTI
La lotta contro il lavoro "atipico", la precarizzazione, le flessibilità, la frantumazione del lavoro, utilizzati anche come grimaldello per scardinare l'insieme dei diritti contrattuali, legislativi, previdenziali e assistenziali conquistati con dure lotte nel tempo dal movimento operaio e sindacale come lo Statuto dei lavoratori, la tutela contro i licenziamenti, le 8 ore, l'assicurazione previdenziale obbligatoria, i diritti sindacali, è una lotta che non riguarda solo i diretti interessati tra l'altro disgregati, disorganizzati e senza alcun potere contrattuale, ma tutti i lavoratori.
La lotta per l'occupazione, per dare lavoro ai giovani e ai disoccupati, specie al Sud, una lotta che è e deve avere l'assoluta priorità, non può essere risolta percorrendo la strada neoliberista e da "capitalismo selvaggio" dell'estensione senza soluzione delle forme di precariato e della riduzione delle tutele e i diritti. Questa strada va sbarrata e non accompagnata e concertata come fanno i partiti del "centro sinistra", compreso il partito di Cossutta, e i sindacati di regime. Si può e si deve perseguire una via diversa.
Checché ne dica D'Alema noi marxisti-leninisti continuiamo a tenere alta la bandiera del lavoro stabile e a salario pieno per tutti i disoccupati sindacalmente tutelato. Riteniamo, inoltre, che i sindacati e i lavoratori debbano darsi una piattaforma rivendicativa che vada nella direzione della piena occupazione e dell'estensione dei diritti della legge 300 per tutti i dipendenti, anche per quelli che lavorano nelle piccole aziende, compresi i cosiddetti parasubordinati, che garantisca a tutti i lavoratori il diritto alla sanità, alla pensione, all'antinfortunistica; una piattaforma che faccia muro alle crescenti pretese padronali e che incalzi lo Stato, il governo e le altre amministrazioni pubbliche ad impegnarsi finanziariamente e con progetti adeguati, nel campo delle infrastrutture, della formazione e dei settori produttivi e dei servizi strategici per creare contestualmente posti di lavoro e occupazione; una piattaforma che metta all'ordine del giorno la costruzione dal basso di un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali dei lavoratori.