Aspettando fiduciosi una risposta
Discutiamo ancora con i disobbedienti sulla manifestazione del 4 ottobre
Questa volta esaminiamo il documento dell'Esecutivo nazionale dei Giovani comunisti e comuniste
Sul numero scorso de Il Bolscevico avevamo rivolto un invito al dialogo ai disobbedienti a proposito della manifestazione di Roma del 4 ottobre, esprimendo le nostre osservazioni critiche in merito al comportamento da essi tenuto in quella manifestazione, anche in riferimento alle posizioni espresse nel loro comunicato del giorno successivo. Il nostro intervento, postato anche sul sito di "Indymedia", ha stimolato alcuni interventi, che, a parte qualcuno puramente derisorio che certo non può costituire un confronto serio sul merito delle questioni sollevate, condividono le nostre critiche in modo ben argomentato, o prendono spunto per riflettere sull'accaduto, come fa quella partecipante alla manifestazione che, nel dichiarare che l'articolo l'ha fatta pensare, così conclude: "forse dovremmo ragionare insieme, sottoporci in modo aperto alle critiche così da capire qualcosa di più e uscirne arricchiti e cresciuti e continuare la nostra lotta più convinti e sicuri di ciò che facciamo".
Profondamente convinti che sia questo lo spirito giusto per affrontare le contraddizioni e confrontare le idee, proseguiamo il dialogo con i disobbedienti sulla manifestazione del 4 ottobre, esaminando stavolta il documento dell'Esecutivo nazionale dei Giovani comunisti e comuniste del PRC. Anche loro, muovendo dalla manifestazione del 4 ottobre e dal comunicato dell'Assemblea dei/delle disobbedienti del 5 ottobre, sviluppano delle osservazioni critiche sulle posizioni attualmente predominanti nel movimento dei disobbedienti, di cui pure sono una componente che lo ha fondato, ma su tutt'altre basi delle nostre e arrivando a conclusioni assai diverse.
Partendo dal riconoscimento che oggi siamo "di fronte allo schiudersi di una nuova fase e dentro ad un passaggio pieno di difficoltà", cioè in pratica dal riconoscimento della necessità di una rimessa in discussione della linea fin qui seguita dal movimento, i giovani comunisti e comuniste aprono un contradditorio con la componente dei disobbedienti che fa capo a Casarini, incentrandolo però essenzialmente sul tema delle pratiche sociali, ovverosia dei metodi di lotta.
Un contradditorio che si esaurisce in sé stesso e non porta da nessuna parte, inquantoché alimentato dall'errata concezione di tipo spontaneistico che "sono anche le pratiche che costruiscono identità - per questo flessibili -, e che danno vita ad un processo di identificazione col movimento nella sua complessità". Ovverosia, secondo questa concezione, la linea politica e la strategia del movimento scaturirebbero spontanemente dalle pratiche sociali, cioè dalle lotte, e quindi per tracciare la linea da seguire è sufficiente discutere e definire queste ultime. Un errore inevitabile quando si segue il principio spontaneista e trotzkista che "il movimento è tutto e il fine è niente".

Un falso dilemma
Ed è in base a questa logica a nostro avviso capovolta, riduttiva e miope, che tutta la critica dei giovani comunisti e comuniste a Casarini e ai suoi seguaci gira a vuoto e si riduce in sostanza a riproporre il falso dilemma tra violenza e non-violenza, con la tendenza a privilegiare quest'ultima. Diciamo falso perché, come abbiamo evidenziato nel precedente intervento, le azioni dei disobbedienti, quella di Roma compresa, rientrano comunque nel campo del pacifismo e della non-violenza, cioè delle azioni dimostrative e di testimonianza, per quanto spettacolari e tinte di radicalismo possano apparire. Tant'è vero che pur riaffermando la scelta non-violenta, il documento dei giovani comunisti e comuniste non rinnega affatto le azioni dimostrative "radicali" tipiche dei disobbedienti, come la violazione delle zone rosse, ma ne invoca solo una conduzione, diciamo così, meno narcisistica e individualistica (alla Casarini, per intenderci) e più attenta alla ricerca del consenso sia da parte dei manifestanti che dell'opinione pubblica.
Sulla scelta di fondo e strategica del pacifismo e della non-violenza, infatti, i giovani comunisti e comuniste sono espliciti: "La nostra capacità di sottrarci alla violenza come scelta di fondo - afferma il loro documento - si è definita nella convinzione che la violenza e il suo monopolio stiano dall'altra parte. Nella convinzione che l'altro mondo possibile, qualunque sia (sic!) passa per la rimozione della violenza dalle relazioni sociali e, nel nostro caso e nel nostro contesto, dalla convinzione dell'impossibilità di conservare un rapporto tra conflitto e consenso, se pur nella sua dimensione processuale, senza impedire che le nostre pratiche e le nostre scelte siano anche soltanto percepite come ambigue su questo terreno".
Anche se poi, sul piano tattico, con chiaro riferimento alla manifestazione del 4 ottobre, e in particolare agli scontri davanti al Palazzo dei Congressi, si limitano a invocare delle correzioni alle azioni praticate dal gruppo di Casarini che non eludano "il problema della dimensione di massa" della disobbedienza, "rifuggendo in uno schema tipico di quella vecchia politica che ci diciamo di voler radicalmente trasformare come quello dell'avanguardismo". O altre correzioni che tentino di "recuperare quella vocazione allo spiazzamento che aveva segnato come elemento caratterizzante l'intelligenza della disobbedienza", di cui un esempio sarebbe stato "la presa di parola e di spazio delle donne", che "pur nei limiti di ogni tentativo nuovo, ci pareva un segnale, l'aprirsi di una possibilità", mentre "si è fatta, invece, un'altra scelta, incomprensibile e sbagliata".

La vera contraddizione dei disobbedienti
Come si vede la posizione dei giovani comunisti e comuniste è schiacciata nel ristretto spazio compreso tra la non-violenza assoluta tipica dei movimenti pacifisti di matrice cattolica, da una parte, e la disobbedienza di matrice radical-riformista alla Casarini, ormai sempre più venata di individualismo e avventurismo, dall'altra. Ma sempre e comunque sul terreno del riformismo si mantiene saldamente ancorata questa posizione, anche se un riformismo ammantato di "radicalismo", movimentismo e spontaneismo.
La vera contraddizione in cui è impantanato il movimento dei disobbedienti, nel suo complesso e in tutte le sue componenti, è invece quella dell'assoluta mancanza di una strategia anticapitalista e antimperialista, che anzi viene rifiutata sdegnosamente come un "ferrovecchio" superato dalla storia, o addirittura un retaggio di "esperienze totalitarie", in nome di assurde teorie, pacifiste, zapatiste, trotzkiste, anarcoidi ecc., tipo "il movimento è tutto, il fine è niente", il "camminare domandando", il "nuovo municipio", la "rete delle disobbedienze sociali", e così via. Da cui l'illusione di chiaro stampo socialdemocratico e riformista che si possa "governare" la globalizzazione anziché combatterla, e cambiare il mondo "umanizzandolo", senza abbattere il sistema capitalista e imperialista, ma semplicemente correggendo le sue storture e le sue ingiustizie più brutali.
Un'illusione che rischia di portare i disobbedienti e il movimento no-global a rimorchio dei partiti della "sinistra" borghese, nel vicolo cieco dell'appoggio di fatto all'imperialismo europeo, nella vana speranza che ciò possa aumentare i fattori della pace e diminuire quelli della guerra facendo da contrappeso all'imperialismo Usa. Non di "un'altra Europa possibile" e di "un altro mondo possibile" hanno bisogno i popoli, ma di un'Europa e un mondo socialisti, senza di che è impossibile estirpare per sempre la fame, lo sfruttamento, l'oppressione e la guerra. Nel nostro Paese ciò significa buttar giù il governo del neoduce Berlusconi e lottare per l'Italia unita, rossa e socialista.
La teoria trotzkista - riformista e socialdemocratica - secondo cui oggi "non c'è più un Palazzo d'inverno da conquistare" è falsa e fa comodo solo alla classe dominante borghese. Invece la madre di tutte le questioni è sempre quella del potere politico. Soltanto abbattendo la dittatura della borghesia e instaurando la dittatura del proletariato è possibile cambiare radicalmente la società e costruire un mondo nuovo. Questa è la madre di tutte le questioni su cui invitiamo a discutere i disobbedienti e tutti i sinceri rivoluzionari.