LE AZIONI DEI DISOBBEDIENTI NON CI CONVINCONO
Linea errata e iniziative fuorvianti
Il 17 novembre scorso il "Laboratorio della disobbedienza sociale'' ha promosso la sua prima giornata di mobilitazione nazionale articolata in vari tipi di iniziative: dall'occupazione di chiese e edifici pubblici abbandonati, a presidi con lancio di oggetti davanti a banche o aziende, scritte, raccolta di aeroplanini di carta da far volare nelle caserme, incartamento di monumenti, tintura dell'acqua di note fontane, ecc. In contemporanea si sono tenute anche numerose occupazioni di scuole e manifestazioni studentesche, che però non si possono mettere in relazione stretta alla giornata ma piuttosto a un'ondata di mobilitazione studentesca che si sta sviluppando nelle ultime settimane contro la guerra imperialista all'Afghanistan e contro la "riforma'' Moratti.
Il "Laboratorio della disobbedienza sociale'' è nato il 20 ottobre a Firenze, a margine dell'Assemblea nazionale dei Social forum, ed è stato promosso dalle ex "tute bianche'' di Luca Casarini (già mandate in soffitta dopo Genova), dalla Rete No global di Napoli di Francesco Caruso e dai Giovani comunisti (l'organizzazione giovanile del PRC) di Peppe De Cristofaro sulla base dell'esperienza realizzata dalle stesse organizzazioni a Genova allo stadio Carlini.
Una nascita che è apparsa affrettata probabilmente dettata dalla necessità delle "tute bianche'' di riciclarsi quanto prima dopo il loro sostanziale fallimento a Genova e dallo stesso fallimento dell'obiettivo di costruire fin da subito il Forum sociale italiano, così come avrebbero voluto Agnoletto, Casarini, Caruso e il PRC quale strumento politico e organizzativo di controllo, direzione e indirizzo del movimento antiglobalizzazione.
La crescita del movimento antiglobalizzazione e la contemporanea nascita del movimento contro la guerra all'Afghanistan, ha evidentemente fatto sì che tale "Laboratorio'' nascesse ancor prima che i suoi promotori ne definissero con precisione contenuti, piattaforma e fini. Addirittura si parla di un'esperienza a tempo, che non si sa se e per quanto potrà andare avanti, in attesa, hanno detto i promotori, di una prima verifica al Forum sociale mondiale di Porto Alegre del gennaio 2002.
Dai documenti e dalle iniziative prodotte fin qui, possiamo comunque dire che le azioni dei disobbedienti non ci convincono per niente.

UNA LINEA RIFORMISTA E BORGHESE
La "disobbedienza sociale'', come si legge nella "carta d'intenti'' del "Laboratorio'' si propone di "coniugare il dispiegamento del conflitto alla costruzione del consenso'' e va intesa come "l'insieme possibile dei comportamenti antiproduttivi, estendendo l'insubordinazione contro la legge del valore e del dominio, per conseguire nuovi diritti e soddisfare i bisogni negati. Una disobbedienza sociale che sia capace di riattraversare i territori prefigurando relazioni sociali altre''. La "disobbedienza sociale'' si differenzierebbe dalla "disobbedienza civile'', la pratica delle ex "tute bianche'', proprio per il passaggio dal "dissenso'' al "conflitto'' che sarebbe il percorso per "il mondo diverso in costruzione''. Se non è zuppa e pan bagnato.
Intanto perché non vi è alcuna analisi di classe della realtà. Si negano e si rifiutano le categorie classiche di imperialismo e capitalismo e l'esistenza delle classi. Ormai l'unica categoria riconosciuta è quella liberale e cattolica di "umanità''. E infatti l'appello per la giornata nazionale della disobbedienza sociale così esordisce: "Abbiamo promesso di obbedire alle leggi fondamentali e superiori: quelle dell'umanità''. Un'umanità generica, senza distinzione in classi, che comprende quindi anche gli imperialisti e i guerrafondai. Quella stessa "umanità'' nel nome della quale gli imperialisti conducono le loro guerre di aggressione.
Non c'è ovviamente traccia di un'autentica strategia antimperialista e anticapitalista, giacché né l'imperialismo né il capitalismo vengono individuati come i nemici da combattere e da abbattere. La stessa guerra in corso viene definita genericamente come "guerra militare, economica e sociale'' e non già come guerra imperialista.
Non si fa cenno alle caratteristiche che deve avere il "mondo diverso'' che si pretende di aver già messo in cantiere e men che mai si dice che questo mondo può nascere solo sulle macerie di questo mondo dominato dall'imperialismo. Col che la strategia dei "disobbedienti'' rimane tutta interna al sistema capitalistico, finalizzata tutt'al più a conquistare spazi, isole, aree di potere. Alla lotta di classe viene sostituito il "conflitto'' in sé, che diventa il totem, il dio assoluto secondo il principio trotzkista e socialdemocratico che il movimento è tutto e il fine è niente. Tant'è vero che sempre nel manifesto per la giornata della disobbedienza si invita a praticare "atti di disobbedienza e diserzione, con noi o in modo autonomo, secondo l'unico criterio discriminante che è quello di agire conflitto cercando consenso''. Dunque, il "conflitto'' per il "conflitto'', senza definirne controparte, obiettivi e forme di lotta. Il governo del neoduce Berlusconi non viene nemmeno citato una volta.
Anche le forme di lotta che pure vengono presentate come "nuove'' e "creative'' in realtà sono sempre esistite come pratica del pacifismo e della non violenza e in genere adottate dalla piccola borghesia in contrapposizione alle forme classiche di lotta del movimento operaio e popolare.
Si tratta di forme di lotta, o di "linguaggi'' come le definiscono i "disobbedienti'', più individuali e di piccolo gruppo che di massa, più passive che attive, più di testimonianza che di lotta, più rivolte a creare consenso che a infliggere duri colpi al nemico di classe.
Anche la parola d'ordine della diserzione appare in questo momento inadeguata e riduttiva. Il nostro Partito la lanciò giustamente sia in occasione delle minacce di Craxi di invadere la Libia nell'86, sia in occasione della guerra imperialista all'Irak nel '90 e in entrambe le occasioni il nostro Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi, e il nostro giornale "Il Bolscevico'' furono incriminati e processati. Allora quella parola d'ordine era giusta ed efficace, ma oggi che i militari impegnati in questa guerra sono dei militari professionisti oltreché volontari, la parola d'ordine della diserzione non ha più senso e finisce per essere fuorviante rispetto alla parola d'ordine oggi attuale che è quella del sabotaggio della guerra imperialista all'Afghanistan.
In sostanza, quella che propongono i "disobbedienti'' è la solita linea pacifista, movimentista e riformista e in ultima analisi borghese. Una linea che può andar bene alla piccola borghesia e al sottoproletariato, ma non al proletariato. Non solo in riferimento alla questione generale e centrale della conquista del potere politico da parte del proletariato, che resta la madre di tutte le questioni, ma anche della lotta politica, economica e sociale per la conquista e la difesa dei propri diritti e bisogni immediati.

IMBROGLIONI POLITICI
Del resto non ci si poteva aspettare di meglio e di più da dei noti imbroglioni politici come Casarini, Caruso, De Cristofaro. Questi che pure si presentano come esponenti dell'"antagonismo'', in realtà antagonisti non lo sono mai stati. Piuttosto li definiremmo degli incalliti collaborazionisti, filoistituzionali e filogovernativi. Non dimentichiamo infatti che essi rappresentano proprio quella parte dei centri sociali che per primi hanno teorizzato il dialogo e la collaborazione con le istituzioni borghesi. A cominciare da Casarini che come rappresentante dei centri sociali del Nord-Est fu promotore della "Carta di Milano'' dove veniva ridefinita la posizione dei centri sociali rispetto alle istituzioni e ai governi locali e di cui sono note le collaborazioni con l'ex sindaco di Venezia Cacciari e con l'ex ministra per gli affari sociali Livia Turco. Così come Caruso che non disdegna il dialogo con la giunta napoletana della democristiana Iervolino che peraltro insieme alla giunta del comune di Roma stanno sperimentando il "bilancio partecipativo'', credo dei "disobbedienti'', oltreché di tutte quelle forze che fanno riferimento al Forum sociale mondiale di Porto Alegre.
Se il movimento che ha questi dirigenti e questa linea rappresenta "la leva fondamentale per rinnovare la sinistra'', come l'ha definito Bertinotti, stiamo freschi. A noi pare piuttosto l'ennesimo diversivo per imbrigliare il movimento antiglobalizzazione e contro la guerra mantenendolo nelle pastoie del pacifismo, dell'elettoralismo, del parlamentarismo e del riformismo borghesi, e bruciarne le avanguardie su una linea errata e iniziative fuorvianti che le allontanano da una linea autenticamente antimperialista e anticapitalista e dalla lotta per il socialismo.

28 novembre 2001