Dopo Genova
DOVE VA IL MOVIMENTO ANTI-GLOBAL
Due sono gli elementi lampanti che emergono dalle tre straordinarie giornate di luglio a Genova. Il primo è che il movimento antiglobalizzazione è una realtà enormemente cresciuta anche nel nostro Paese. Un movimento vasto, oggettivamente antimperialista, che è riuscito a sferrare un durissimo colpo ai signori del G8 assediati da centinaia di migliaia di manifestanti che non si sono fatti intimidire e arrestare nemmeno dal terrore da dittatura fascista aperta che il governo del neoduce Berlusconi ha seminato nel capoluogo ligure.
Il secondo elemento è che le giornate di Genova confermano che il governo Berlusconi costituisce, come denuncia il documento dell'UP del 19 giugno scorso, ``il coronamento della restaurazione del fascismo sotto forme nuove, nuovi metodi e nuovi vessilli, il cui nome ufficiale, riconosciuto anche dal `centro-sinistra', è quello della seconda repubblica. Una repubblica che ha forti caratteri capitalistici, neofascisti, presidenzialisti e federalisti, alla cui realizzazione hanno partecipato i partiti del `centro-sinistra', con in testa i DS, e, per certi aspetti, persino Rifondazione''.
Un nuovo regime fascista che ha fatto scempio anche delle libertà costituzionali del regime democratico borghese come chiunque ha potuto verificare a Genova. è pertanto scellerato continuare a negare l'evidenza come stanno facendo i vari esponenti del Genoa Social Forum (GSF), a cominciare da Vittorio Agnoletto e Luca Casarini, e dello stesso PRC, Bertinotti in testa, che al massimo parlano di ``pericoli per la democrazia'', di ``involuzione antidemocratica'', di ``americanizzazione'' della risposta governativa, e addirittura che il terrore scatenato a Genova sia il frutto di volontà sovranazionali che avrebbero esautorato lo stesso governo italiano dei suoi poteri e competenze. La verità è che il governo Berlusconi, che tiene le sorti del capitalismo e dell'imperialismo qui in Italia, ha scatenato una inaudita repressione con l'obiettivo di soffocare la rivolta contro il G8, intimidire e arrestare il movimento antiglobalizzazione e ogni forma di opposizione reale al governo e al regime neofascista imperante. Berlusconi è il nuovo Mussolini e contro il suo governo non si può che dichiarare guerra totale finché non cadrà.

COSA FARE ADESSO
Di questo ed altro dovrà discutere e prendere coscienza il movimento antiglobalizzazione. Dopo Genova infatti si apre il problema di cosa fare. Scontato che questo movimento non può ritenersi esaurito con il realizzato obiettivo di contestare il vertice dei G8, esso deve andare avanti, crescere e svilupparsi come giustamente vogliono le centinaia di migliaia di antimperialisti convenuti a Genova e che hanno riempito le piazze d'Italia nei giorni successivi. Ma avanti con quale linea, con quali contenuti, obiettivi, organizzazione, forme di lotta e direzione?
Su questo le varie forze politiche, sociali e religiose che hanno dato vita al GSF stanno dibattendo, si stanno scontrando e dividendo, anche al proprio interno, allo scopo di far prevalere la propria specifica egemonia ideologica, politica e organizzativa di tipo riformista, sia ``laica'' che cattolica, all'interno del movimento, anche in vista dei prossimi appuntamenti come il vertice Fao a Roma e Nato a Napoli.
I marxisti-leninisti italiani intendono fare la loro parte affinché questo movimento cresca forte e robusto, maturi pienamente una strategia, una politica e una pratica coscientemente antimperialista ed eviti di arenarsi nel pantano del riformismo, del pacifismo, del parlamentarismo, strumento inconsapevole dei giochi parlamentari e governativi borghesi e finanche dell'imperialismo italiano ed europeo.
Sappiamo che questo disturba, perché smaschera gli imbroglioni politici neorevisionisti e trotzkisti, a cominciare dai dirigenti di Rifondazione che, non a caso, per la penna di Ramon Mantovani, hanno sferrato un subdolo e indiretto attacco al nostro Partito su ``Liberazione'' del 9 agosto, paragonando, stravolgendole, a sproposito, le nostre posizioni a quelle dell'ex cossuttiano, oggi a capo della corrente che intende insidiare la leadership bertinottiana, Claudio Grassi, affermando che quest'ultimo si comporterebbe come i ``partitini `marxisti-leninisti' sempre pronti a scorgere vizi piccolo borghesi in tutti i movimenti e dediti a ripetere come pappagalli la litania della centralità della contraddizione capitale-lavoro''.
Nell'ambito della normale battaglia che apertamente o meno si svolge dentro ogni movimento e organismo di massa per l'egemonia ideologica, politica e organizzativa, è dovere del Partito del proletariato agire affinché prevalga attraverso lo scontro delle idee l'egemonia e la direzione proletaria rivoluzionaria, senza la quale è gioco forza che che finisce per prevalere l'egemonia e la direzione della borghesia.
Scopo dei marxisti-leninisti in ogni movimento è quello di unire la sinistra, conquistare il centro e isolare e battere le posizioni arretrate e di destra. In quest'ambito esso deve praticare una politica di ampio fronte unito con quelle forze che, pur non marxiste-leniniste per ideologia, cultura, appartenenza organizzativa, concordano con la linea e le parole d'ordine antimperialiste del Partito, con le sue proposte politiche e organizzative. In questo quadro va soprattutto ricercato il dialogo, il confronto e la collaborazione con la base del PRC, del PdCI e dei DS, con i giovani dei centri sociali, che in generale sono le forze a noi più vicine, ma anche con settori delle masse cattoliche che non solo sono particolarmente sensibili alla lotta antiglobalizzazione, ma, come hanno già dimostrato nel passato, sensibili e conquistabili alla causa del socialismo.

LA `GLOBALIZZAZIONE'
L'analisi della ``globalizzazione'' ci sembra un punto di partenza. Questo movimento, a causa della attuale direzione, è infatti completamente privo di un'analisi di classe del mondo di oggi, mentre lo attraversano incontrastate le tesi riformiste e trotzkiste che mirano appunto a negare tale analisi. In sostanza, si sostiene che il mondo non sarebbe più dominato dall'imperialismo ma da un ``nuovo sistema imperiale'' (vecchia tesi kautzkiana dell'``ultraimperialismo'' rilanciata dall'ex teorico pentito dell'``Autonomia'' Toni Negri) costituito dalle multinazionali e dalle istituzioni economiche sovranazionali che le rappresentano. In questo modo vengono negati i poteri e il ruolo degli Stati e dei governi nazionali e viene quindi ignorato l'imperialismo sia italiano, che europeo, e in ultima analisi anche quello americano.
è vero che sono le leggi coercitive del capitale, dell'imperialismo e del mercato a determinare la politica degli Stati e dei governi borghesi, da qualsiasi partito essi siano diretti. Ma non fino al punto di annullare o ridurre al minimo il potere politico ed economico dei singoli Stati, specie se questi Stati si chiamano Usa, Ue, Giappone, che anzi servono con diligenza.
La cosiddetta ``globalizzazione'', cioè l'abbattimento delle barriere doganali e tariffarie, la liberalizzazione dei mercati, la formazione di un mercato unico, non è andata a sostituire l'imperialismo, piuttosto gli ha creato le migliori condizioni per la sua espansione e per soddisfare appieno e liberamente la tendenza propria e connaturata al capitalismo.
La lotta contro la ``globalizzazione'' e il ``neoliberismo'' è quindi parte integrante della lotta antimperialista, è la lotta contro la politica economica e sociale dell'imperialismo.
Ma in ultima analisi attualmente le leadership delle varie componenti del movimento non pongono nemmeno la questione della lotta alla ``globalizzazione'' in generale. Esse infatti parlano di un movimento contro ``questa'' globalizzazione, dando ad intendere che, fermo restando l'imperialismo, sia possibile una ``globalizzazione'' diversa, più ``umana'' e ``solidale''. Una parola d'ordine che unisce i dirigenti neorevisionisti e trotzkisti di Rifondazione, al papa, a esponenti governativi e istitutuzionali borghesi come il governatore di Bankitalia Fazio o il primo ministro francese Jospin che ha appena scritto un libro per una ``mondializzazione dal volto umano''.
Si tratta di un grande inganno. La storia dimostra che non esistono ricette capaci di ``governare'' l'imperialismo pacificamente e col consenso delle masse. In passato la socialdemocrazia ci ha già provato a ``governare'' il capitalismo col consenso delle masse attraverso la politica del ``welfare'', ma alla fine, quando il capitalismo è entrato in una delle sue inesorabili crisi cicliche, le classi dominanti borghesi, col concorso delle stesse socialdemocrazie, si sono convertite di nuovo al liberismo più sfrenato e antipopolare.

L'OBIETTIVO STRATEGICO
La parola d'ordine ``Un mondo diverso è possibile'', ripresa dal primo Forum sociale mondiale di Porto Alegre, in Brasile, del gennaio 2001 e alla quale verrà aggiunto al secondo appuntamento che si terrà nel febbraio 2002 nello stesso luogo ``Stiamo cominciando a costruirlo'' sintetizza tutta la concezione idealista e riformista che attualmente egemonizza il movimento antiglobalizzazione.
Si tratta infatti di un ``mondo diverso'' di cui non si definiscono le caratteristiche e che al massimo coincide con un ecumenico, interclassista e impossibile mondo che metta al centro l'``uomo'' e non il denaro.
Un mondo che sarebbe possibile costruire non combattendo e distruggendo il capitalismo e l'imperialismo, ma nell'ambito del capitalismo stesso. La via sarebbe quella della cosiddetta ``democrazia partecipata'', che ha la sua espressione nel ``Bilancio partecipato'' già introdotto dalle amministrazioni di ``centro-sinistra'' a Roma e Napoli, ossia del controllo della ``società civile'' sull'operato degli Stati, delle imprese e sul funzionamento del mercato da realizzarsi essenzialmente col dialogo e la partecipazione alle istituzioni borghesi e alle organizzazioni e alleanze imperialiste appositamente ``riformate'' e ``cambiate'' dall'interno. Una formula che Bertinotti spaccia per ``democrazia diretta'', ma che in realtà è il trucco con cui si tenta di recuperare il consenso e il coinvolgimento delle masse nelle istituzioni rappresentative borghesi e di evitare uno sbocco rivoluzionario alle lotte antimperialiste dei popoli e del proletariato contro l'imperialismo e contro il sistema economico e politico capitalistico.
Per noi l'unico mondo diverso possibile è un mondo socialista, un mondo che nasce dalle macerie dell'imperialismo e dalla conquista del potere politico da parte del proletariato. Senza di che è impossibile emancipare l'umanità.

CONTRO QUALE IMPERIALISMO?
Il movimento antiglobalizzazione deve dunque comprendere che è l'imperialismo il nemico da battere. Ma quale imperialismo?
Anche su questo occorre essere chiari. Non c'è dubbio che tuttora l'imperialismo americano è il più forte in tutti i campi, il più pericoloso e il più arrogante, ma sarebbe un vero suicidio politico non riconoscere nella superpotenza europea l'imperialismo in ascesa, il rivale diretto degli Usa, un nemico da combattere e da abbattere. Sostenere la ``civiltà europea'' in contrapposizione a quella americana come fa Bertinotti che definisce il movimento attuale ``a forte connotazione europeista'' e che vede nell'Europa ``un elemento di resistenza rispetto agli aspetti più drammatici della globalizzazione neoliberale'', non significa semplicemente essere dei miopi e dei rimbambiti politici, ma offrire credito, sostegno, massa di manovra a una superpotenza imperialista che non solo attua la stessa politica neoliberista degli Usa, ma che si va attrezzando su tutti i piani, anche quello militare, per contendergli l'egemonia mondiale.
L'imperialismo va combattuto su tutti i piani, tutta la sua strategia e ogni suo atto, nonché i suoi Stati, governi, alleanze e istituzioni e organismi internazionali. In particolare col concorso degli altri popoli e nazioni schiacciati dall'imperialismo vanno spazzati via la Nato, la Ue, l'Ueo, l'Osce e anche l'Onu. Senza dimenticare però che il contributo più grande, più concreto e più efficace che noi possiamo dare alla lotta contro l'imperialismo è quello di combattere con tutte le nostre forze contro l'imperialismo italiano e il governo Berlusconi che ne regge le sorti e realizzare l'Italia unita, rossa e socialista.

IL RAPPORTO COL MOVIMENTO OPERAIO
Se vuole svilupparsi e rendere sempre più incisiva la sua azione, il movimento antiglobalizzazione deve allargare le sue componenti sociali, i suoi contenuti e la sua piattaforma operando soprattutto al coinvolgimento pieno della classe operaia e i lavoratori che per ora sono frenati dall'influenza e dalla egemonia dei partiti della sinistra parlamentare e dai vertici sindacali collaborazionisti.
La classe operaia e i lavoratori possono arricchire enormemente questo movimento in quantità e soprattutto in qualità, con le proprie rivendicazioni, con la propria esperienza di lotta, con la propria capacità di creare consensi di massa, con la propria saldezza e perseveranza nel condurre i movimenti di lotta. Caratteristiche che il proletariato non ha completamente perduto anche se attualmente deve recuperare la coscienza di essere una classe per sé e non solo in sé.
Non si tratta come sostengono gli operaisti e gli anarco-sindacalisti, di porre in modo astratto all'interno del movimento antiglobalizzazione la centralità della contraddizione ``capitale-lavoro''. Caso mai, ma questo si guardano bene dal farlo, si tratterebbe di far maturare la coscienza che nei paesi capitalisti la contraddizione principale è e resta quella antagonista fra proletariato e borghesia, che potrà essere risolta solo con la presa del potere politico da parte del proletariato che è e resta la madre di tutte le questioni.
Bisogna anche far comprendere che un movimento antimperialista non può prescindere dal rapporto col movimento operaio e sindacale che per la sua collocazione di classe e sociale ne è il principale e più naturale alleato.

IL RAPPORTO COL GOVERNO E LE ISTITUZIONI BORGHESI
Un altro punto fondamentale è il rapporto col governo e le istituzioni borghesi.
L'esperienza di Genova ha dimostrato quanto sbagliata fosse la strada sostenuta dal GSF e caldeggiata dai dirigenti del PRC del dialogo col governo e le istituzioni. Occorre ribadire che con questi non vi può essere né dialogo né collaborazione, né sulle modalità delle lotte che il movimento intende assumere, né tanto meno, sui temi che stanno a cuore al movimento. Non vi possono essere interessi comuni. Il governo Berlusconi e il parlamento della seconda repubblica non sono degli interlocutori ma delle controparti del movimento. Ad essi non si possono fare concessioni di sorta, nemmeno allo scopo di sfuggirne la repressione che, come i fatti di Genova hanno ampiamente dimostrato, è solo una pia illusione.
D'altra parte non si può accettare che questo movimento diventi lo strumento per realizzare il disegno bertinottiano della ``sinistra plurale'' in vista di un futuro governo di tipo josperiano. A questo in fondo mirano gli appelli di Bertinotti e di Agnoletto affinché i DS si prestino a fare da sponda istituzionale a questo movimento.

FAR PROPRIO IL PRINCIPIO DELLA DEMOCRAZIA DIRETTA
Questo movimento, se vuole avere un futuro, deve essere autonomo e indipendente dal governo e dai partiti governativi e parlamentari del ``centro-destra'' e del ``centro-sinistra''. Deve elaborare ed esprimere da sé la propria linea, la propria organizzazione, la propria direzione e la propria azione. Siamo pertanto contrari alla ``Costituente del movimento dei movimenti'' proposta da Bertinotti. Noi infatti non concepiamo il movimento come una semplice sommatoria di partiti, organizzazioni, associazioni e istituzioni più o meno governative, parlamentari e religiose che si nascondono dietro l'etichetta di ``movimenti''.
Per quanto ci riguarda il movimento deve darsi una organizzazione che si fondi suoi principi della democrazia diretta, dell'autogestione e dell'autogoverno. Tutto il potere deve essere dato alle assemblee generali del movimento a livello locale e nazionale per permettere a tutti di esprimersi e di partecipare alla elaborazione della linea politica e delle decisioni.
La democrazia diretta e le assemblee generali sono le uniche carte vincenti per sottrarsi al controllo e alle infiltrazioni dei partiti governativi e parlamentari, per far crescere la coscienza politica delle masse, per elaborare le piattaforme rivendicative e per organizzare, dirigere e portare al successo il movimento antiglobalizzazione.
L'attuale direzione riformista, sia nella sua versione ``laica'' che cattolica, si è già dimostrata fallimentare. Ha dato credito al governo del neoduce Berlusconi assecondandone di fatto i piani fascisti e ha lasciato impreparate e indifese le masse di fronte alla repressione poliziesca e alle scorribande dei provocatori. Già i grandi movimenti del Sessantotto e del Settantasette rifluirono e non poterono realizzare a pieno i propri obiettivi a causa delle direzioni riformiste e ``ultrasinistre'' di allora. Se non si vuole ripetere lo stesso errore occorre opporsi a una direzione di tipo verticistico decisa dai gruppi dirigenti delle singole componenti del movimento, e invece far emergere tale direzione direttamente dal movimento attraverso la democrazia diretta, l'elezione democratica in assemblea generale, con mandati brevi, sottoposti al continuo controllo della base e possibilità di revoca in ogni momento.

LE FORME DI LOTTA
Anche la scelta delle forme di lotta deve essere fatta dal movimento attraverso l'esercizio della democrazia diretta. è inaccettabile che si pongano in partenza limiti allo sviluppo dell'azione del movimento di massa che dovrà regolarsi da sé in base allo sviluppo delle contraddizioni di classe, dell'esperienza e della reazione del nemico. La non-violenza e il pacifismo non possono essere le scelte pregiudiziali e imprescindibili del movimento. Non si può imporre ad esso il silenzio, le mani alzate, l'assenza di insegne e bandiere, l'abbandono delle manifestazioni di piazza come è avvenuto in numerose città dopo Genova e si sta prospettando per la mobilitazione contro il vertice Nato a Napoli.
In una grave intervista a ``Il Corriere della Sera'' del 5 agosto, Bertinotti, dopo aver distinto fra la violenza e le forme di ``disubbidienza civile'' - teorizzate e attuate dalle ``tute bianche'' del pentito Luca Casarini, che oggi le sconfessa - che si ``trovano persino nella tradizione gandhiana'', dà libero sfogo al suo incallito pacifismo affermando che ``Non ho alcun imbarazzo a dichiarare la mia radicale opposizione a ogni forma di violenza, comprese certe dichiarazioni. Anzi. Credo che sia giunto il momento per aprire un grande dibattito nel movimento e nella sinistra per espellere anche dal linguaggio, e quindi dal simbolico, parole che rappresentano un antico riflesso e provengono dalla tradizione militare''.
Dichiarazioni gravi anche perché tendono a mettere fuori dal movimento tutte quelle forze che non si riconoscono nella non-violenza e nel pacifismo spingendole di fatto nelle braccia del terrorismo piccolo-borghese.
La battaglia va fatta invece contro chi teorizza la violenza di piccolo gruppo, individualista, staccata e in sostituzione dell'azione di massa, che impedisce la presa di coscienza delle masse. La violenza rivoluzionaria o è di massa o non è.
Certamente non possiamo accettare che nell'ambito della pregiudiziale non-violenta, vengano escluse tutta una serie di forme di lotta tradizionali del movimento operaio e popolare come le manifestazioni di piazza, le occupazioni, i blocchi stradali e ferroviari, i picchetti e persino la necessità del movimento di dotarsi di un servizio d'ordine.
Nessuna riedizione del servizio d'ordine katanghista e militarizzato messo in piedi dalle organizzazioni pseudo-rivoluzionarie nel Sessantotto, ma un servizio d'ordine classico, legato alle masse ed eletto democraticamente da esse stesse con l'accordo di tutte le componenti, che abbia il compito di proteggere le masse dalle ``forze dell'ordine'' e dai provocatori e combatta il militarismo.

IL SOCIAL FORUM ITALIANO E L'``INTERNAZIONALE ANTILIBERISTA''
Queste sono, in estrema sintesi le linee principali sulle quali, secondo noi, si dovrebbe muovere in futuro il movimento antiglobalizzazione. Questa è l'analisi e la linea che porteremo ovunque avremo l'occasione di intervenire.
Nelle prossime settimane sapremo quale sbocco l'attuale direzione intende dare nell'immediato al movimento.
La proposta all'ordine del giorno è quella di trasformare il Genoa social forum, l'organismo nato per organizzare la contestazione al G8 e al quale ha aderito anche il nostro Partito, in un organismo permanente che dovrebbe chiamarsi Forum sociale italiano. La nostra partecipazione a questo organismo, che è indipendente dalla nostra partecipazione e dalla nostra azione nel movimento, dipenderà dalla linea che questo assumerà. Se esso verrà o meno legato mani e piedi al Forum sociale mondiale che viene ormai presentato come una sorta di ``Internazionale antiliberista'' - qualcuno per metterla in rottura con l'Internazionale comunista, la chiama persino ``Prima planetaria'' - che si dovrebbe definitivamente costituire a Porto Alegre il prossimo anno. Una ``internazionale'' sostanzialmente egemonizzata dalla socialdemocrazia internazionale e in particolare europea, sia nella sua versione di destra, riformista, che di ``sinistra'', trozkista. Tant'è vero che ``Attac'' l'organizzazione nata in Francia e più legata a questa corrente internazionale socialdemocratica, sembra stia lavorando per far assumere la direzione di questa ``internazionale antiliberista'' a Marcos, che, abbandonato il passamontagna e disarmato il suo esercito in Chiapas, ora è pronto a indossare giacca e cravatta per il ruolo di leader politico pacifista e non-violento.
Staremo a vedere. Ciò comunque non ci impedisce di partecipare fin da subito a singoli Forum locali, là dove vi sono lo spazio e le condizioni per far giungere al movimento antiglobalizzazione e in particolare alla sinistra la linea e le parole d'ordine del Partito e su queste aprire una discussione e un confronto secondo il principio ``unità-lotta-unità''.