Il governatore di Bankitalia suona la solita musica liberista e antipopolare del grande capitale italiano
FAZIO CHIEDE TAGLI ALLE PENSIONI, SANITà E SPESA PUBBLICA, SALARI PIU' FLESSIBILI E DIFFERENZIATI, "NUOVI'' CONTRATTI DI LAVORO
Annunciato un nuovo "miracolo economico'', ma a pagarlo saranno i lavoratori, i pensionati e le masse popolari
BERLUSCONI: "E' IL NOSTRO PROGRAMMA''
Era già emerso con chiarezza una decina di giorni prima, in occasione della riunione annuale della Confindustria. Nell'assemblea anch'essa annuale di Bankitalia, di fronte ai massimi rappresentanti del capitalismo italiano, Antonio Fazio, nello svolgere le sue Considerazioni finali ha confermato una sintonia totale con il governo del neoduce Berlusconi appena formato e con le posizioni dell'associazione dei grandi industriali in particolare per quanto riguarda il programma economico da portare avanti in questa legislatura, un programma selvaggiamente liberista e federalista, drasticamente antipopolare, foriero di lacrime e sangue per i lavoratori e i ceti meno abbienti. Il governatore Fazio, nel suo lunghissimo sproloquio, più da politico che da capo della finanza pubblica, è stato sin troppo esplicito e brutale. A suo dire per realizzare un nuovo (ipotetico, incerto e in ogni caso a favore dei padroni) boom economico, si deve procedere senza discussioni a tagli strutturali alle pensioni e alla sanità, allo stesso tempo accentuare la privatizzazione degli stessi, si deve tagliare ulteriormente la spesa pubblica, mettendo sotto torchio in particolare la pubblica amministrazione per alleggerire in modo consistente e progressivo le tasse alle imprese, si devono ampliare le flessibilità salariali e i contratti precari a tempo parziale e a termine.
Tutto il ragionamento, strumentale, contradditorio e demagogico, del governatore di Bankitalia sembra essere costruito per supportare questa ricetta liberista filopadronale. Il suo punto d'attacco è il debito pubblico. Pur riconoscendo di sfuggita alcuni "meriti'' (leggi stangate alle masse) ai governi di "centro-sinistra'' per aver ridotto il deficit statale e aver avvicinato i parametri economici italiani e quelli europei, Fazio sostiene, nonostante gli strilli del presidente del consiglio uscente Amato, Visco e persino Cofferati, che nel 2000 "il miglioramento dei conti pubblici'' si sarebbe arrestato e che nei primi cinque mesi del 2001 il fabbisogno statale avrebbe raggiunto i 74 mila miliardi rispetto ai 50.600 previsti. Inoltre, l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche, soprattutto la sanità, eccederà non l'1% del Pil, come sostenuto dall'ex governo Amato, ma tra l'1,5 - 1,8%. Insomma, mancherebbero all'appello 25 mila miliardi circa da recuperare rapidamente. Come?
Fazio non accenna a una manovra fiscale ad hoc, da varare con la prossima legge finanziaria, che metterebbe subito in difficoltà il nuovo governo e le promesse fatte dal neoduce di Arcore in campagna elettorale. Invoca "riforme di struttura'' per i diversi capitoli di spesa dello Stato. Specifica nel dettaglio un piano economico e sociale contenente misure drastiche che andranno a incidere pesantemente sulle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari.

SANITA'
Pur riconoscendo che "internazionalmente la spesa sanitaria non appare fuori linea'' (perché non dire che invece è inferiore di due-tre punti?) per Fazio rimangono irrisolti problemi di fondo conessi all'efficienza nella produzione dei servizi da affrontare, secondo lui, andando oltre le "riforme'' De Lorenzo e Bindi sulla strada della privatizzazione della sanità, del ricorso alle mutue private, della partecipazione alla spesa sanitaria da parte dei pazienti, della differenziazione, di fatto, della qualità della cura e della riabilitazione in base alle possibilità economiche. "Si impone - dice a questo proposito - un ripensamento dell'offerta del servizi sanitari...Occorre una ridefinizione dei diritti d'accesso. Il ricorso a forme private di copertura dei rischi può consentire una combinazione più efficiente tra componente pubblica e privata''. Non lo dice apertamente ma si capisce che vedrebbe bene l'inasprimento dei ticket sanitari. Quanto alla regionalizzazione della sanità e alle conseguenti diseguaglianze tra quelle più sviluppate e quelle meno, si limita a suggerire dei correttivi di bilancio tra entrate e uscite.

PENSIONI
Per la previdenza la musica proposta è praticamente la stessa. Anche qui Fazio si dichiara insoddisfatto dei risultati conseguiti con la controriforma Dini che pure ha peggiorato nel complesso la normativa delle pensioni pubbliche, ne ha ridotto fortemente il loro valore, ha tagliato in modo consistente la spesa pensionistica e ha introdotto i fondi di pensione integrativa. E, come da tempo pretende il padronato, chiede provvedimenti per l'innalzamento dell'età media effettiva di pensionamento e per accrescere "il ruolo della previdenza complementare gestiti con criteri di capitalizzazione''. Anche per lui si devono versare le liquidazioni dei lavoratori nei fondi pensione da impiegare in borsa.

MEZZOGIORNO
Circa la via da seguire per lo sviluppo del Mezzogiorno, di cui ama riempirsi la bocca, Fazio conferma la ricetta liberista che propone lavoro precario, forme contrattuali più flessibili, ivi compresa la libertà di licenziamento, visto che con l'interinale e l'atipico si sono già raggiunte le forme più estreme di flessibilità, propone salari differenziati sul modello delle "gabbie salariali''. Ai lavoratori meridionali insomma viene posto il vecchio ricatto, altre volte sperimentato senza risultati rilevanti: se volete che i capitalisti investano, se volete lavoro, dovete piegarvi a condizioni di supersfruttamento.

SALARI E PROFITTI
Fazio riconosce che in questi anni si è verificata "una crescita elevatissima degli utili'' e una riduzione dei salari, "si è ampliata - dice - la quota dei lavoratori con retribuzioni relativamente basse: nel decennio 1989-1998 essa è aumentata tra gli occupati a tempo pieno dal 6 al 12%''. La sua "soluzione'' è di legare-subordinare gli incrementi salariali all'aumento della produttività e degli utili aziendali e così permettere ai lavoratori di "compartecipare ai profitti'', ossia lavorare come un mulo per prendere le briciole, quando ci sono.

FISCO
Riduzione del "costo del lavoro'' e taglio della spesa pubblica devono servire, lo dice apertamente, per abbattere le tasse alle imprese nella misura dell'1% per cinque anni consecutivi in modo da ridurre l'imposizione dall'attuale 42,5% al 37%. Un regalone ai capitalisti attraverso il quale, vorrebbe farci credere il governatore di Bankitalia, dovrebbero aumentare gli investimenti produttivi, elevare la competitività dell'Italia, incrementare l'occupazione, ampliare i consumi, accrescere il benessere economico e sociale. Insomma, realizzare questo nuovo "miracolo economico'' alla stregua di quello del dopoguerra. Il quale, quand'anche si realizzasse, sarebbe pur sempre un "miracolo economico'' capitalistico: i costi ricadrebbero sulle spalle dei lavoratori, dei pensionati e delle masse popolari e i benefici andrebbero a favore in gran parte della grande e media borghesia.
Naturalmente il polo di "centro-destra'' sottoscrive in toto le Considerazioni finali di Fazio. Berlusconi in testa che le considera analoghe al suo programma e afferma: "Sì ci stiamo attrezzando per un nuovo miracolo economico''. Gli fa eco il leader della Confindustria "assolutamente sì, il miracolo è alla nostra portata'' se si attuano le misure suggerite da Fazio. Ma su questa linea del taglio delle pensioni e della sanità, delle flessibilità del lavoro e delle retribuzioni, del depotenziamento del contratto collettivo nazionale di lavoro e della modifica dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori Fazio (Berlusconi e D'Amato) trovano il consenso di tutti i grandi capitalisti Agnelli in testa, ma anche Romiti, De Benedetti e via dicendo.
Mentre i sindacalisti collaborazionisti oscillano tra l'adesione di un Angeletti, segretario generale della Uil, un Pezzotta, segretario della Cisl, che concorda purché il tutto sia realizzato grazie alla concertazione, e il "dissenso'' di un Cofferati, segretario della Cgil, che non va oltre la "battuta ironica''. Gli esponenti del "centro-sinistra'', rintronati dalla sconfitta elettorale, al massimo si limitano a difendere l'operato del governo precedente.