Un sistema corrotto e putrefatto
Il governatore Fazio indagato per favoreggiamento
Coinvolto nella truffa di Banca 121
Dopo gli scandali Cirio e Parmalat, che ne avevano già fortemente compromessa l'immagine, un'altra tegola si è abbattuta sulla Banca d'Italia e sul suo governatore: il 24 febbraio Antonio Fazio è stato iscritto sul libro degli indagati con l'accusa di "favoreggiamento reale" in merito alla truffa aggravata consumata dalla Banca 121 ai danni dei risparmiatori. L'istituto salentino, prima di essere incorporato nel 2000 dal Monte dei Paschi di Siena (MPS), aveva ideato e collocato presso la propria clientela dei prodotti finanziari ad altissimo rischio azionario spacciandoli per buoni del Tesoro e altri investimenti "sicuri", procurando così gravi perdite ai sottoscrittori, in alcuni casi fino al 70-80% del capitale investito.
Il provvedimento a carico di Fazio è stato preso in quanto "atto dovuto" dal pm Antonio Savasta della procura di Trani, in seguito a cinque querele presentate dall'avvocato Gaetano Scamarcio, ex senatore socialista e difensore di alcuni tra le migliaia di clienti truffati. L'accusa nei confronti di Fazio sarebbe di omessa vigilanza, in quanto la Banca d'Italia sarebbe stata al corrente dell'operato scorretto della banca ma non avrebbe fatto nulla per impedirlo. Da parte loro i vertici di Bankitalia hanno risposto ribadendo "l'assoluta linearità e correttezza dei comportamenti dell'istituto", e che "tutto sarà chiaro in poco tempo".
I prodotti finanziari che i clienti della 121 erano stati convinti ad acquistare erano denominati "My way", "4 you", "Btptel", "Btpindex", "Btpreverse" e "Btponline". I primi due erano spacciati come piani di accumulo previdenziali a rischio zero, mentre invece i sottoscrittori si ritrovavano con rate di mutuo fisse da pagare e i titoli che perdevano rapidamente valore, anche oltre l'80%. Gli altri, grazie al nome ingannevole, erano spacciati come buoni del Tesoro, mentre invece si trattava di titoli azionari ad altissimo rischio, tra cui persino quelli della americana Mci Worldcom, poi diventata tristemente famosa per lo scandalo finanziario più clamoroso dopo quello della Enron.

Come avveniva la truffa
La cosa ancor più grave, su cui la magistratura salentina sta indagando, è l'ipotesi suffragata da alcune testimonianze, che i dipendenti della 121 sarebbero stati costretti dalla direzione a vendere i prodotti-bidone ai clienti con il ricatto dei licenziamenti e dei trasferimenti. Una di queste testimonianze, raccolte dal pm di Trani, così descrive come venivano "piazzati" i titoli: "Il Pacileo (capo delle filiali, ndr) imponeva con metodi assolutamente vessatori la vendita del prodotto, minacciando licenziamenti o trasferimenti (...) venivano usate frasi del tipo `vi faccio il culo se non piazzate tutto il prodotto' o `che cazzo state facendo in quella filiale che non vendete niente' (...) si era consapevoli che il prodotto rientrava nella categoria di prodotti finanziari ad alto rischio con la possibilità anche di erosione del capitale, ma il cliente veniva rassicurato circa la vantaggiosità dell'operazione (...)". Secondo l'ipotesi di accusa tanta fretta si spiegava con l'obiettivo di gonfiare la redditività della 121 in vista della sua cessione al Monte dei Paschi di Siena, avvenuta per un controvalore di ben 2.500 miliardi di lire.
Sta di fatto che in questa truffa si stima siano stati coinvolti 100 mila risparmiatori, per un totale di risparmi che oscilla tra 2,7 e 3 miliardi di euro. Le prime ad intervenire sono state le associazioni dei consumatori, che hanno aperto vertenze con la MPS per l'indennizzo dei risparmiatori. Sulla carta l'istituto senese si impegnava a rimborsare sino al 100% delle perdite, ma nel frattempo si aprivano le prime inchieste di diverse procure pugliesi, finché a dicembre il sostituto procuratore di Trani, Savasta, procedeva al sequestro di 54 milioni di euro di titoli e all'iscrizione nel registro degli indagati del presidente di MPS, Lorenzo Gorgoni, e dell'ex presidente di Banca 121 Vincenzo De Bustis e di altre ventuno persone.
Il coinvolgimento della Banca d'Italia e di Fazio nell'inchiesta nasce dalla necessità di chiarire il ruolo dell'istituto centrale nella vicenda. De Bustis sostiene infatti a sua discolpa che Bankitalia era stata messa al corrente fin dal 1999, con una lettera che risulta agli atti, dei nuovi prodotti ideati e poi messi sul mercato dall'allora Banca del Salento, poi Banca 121, e che l'istituto interpellato non avrebbe risposto direttamente, ma un suo dirigente avrebbe dato l'ok per telefono. Secondo una ricostruzione del settimanale "L'Espresso", invece, risulterebbe un'ispezione di Bankitalia a MPS nel 2001 (dopo l'assorbimento della 121), e a seguire un rapporto del Servizio di vigilanza dell'istituto di via Nazionale che denunciava la rischiosità per i risparmiatori dei prodotti in questione, nel frattempo già immessi da tempo sul mercato.
Sta di fatto, però, che non risulta che sia mai stato preso alcun provvedimento pratico per bloccarli, pur sapendo della loro rischiosità, ed è questo che il pm di Trani si propone di accertare con l'iscrizione di Fazio sul registro degli indagati: se cioè vi è stato di fatto reato di favoreggiamento di Bankitalia nei confronti di Banca 121 e di MPS.

Le reazioni politiche
Per quanto riguarda le reazioni politiche al provvedimento, solo la Lega, attraverso il vicecapogruppo alla Camera, Federico Bricolo, ha chiesto le dimissioni del governatore, come già aveva fatto in ordine allo scandalo Parmalat. Le altre forze politiche, tanto della maggioranza quanto dell'"opposizione", hanno invece mostrato cautela e preoccupazione per le ripercussioni sul sistema bancario e creditizio. Quando non hanno addirittura attaccato la magistratuta inquirente accusandola di voler ricreare un clima da tangentopoli, come hanno fatto Giovanardi e Bondi. Lo stesso Berlusconi ha cercato di gettare acqua sul fuoco, dichiarando che in questo momento "di tutto abbiamo bisogno tranne che creare turbolenze o crisi anche per quel che riguarda le istituzioni del credito".
Segno evidente che in questo caso la voglia dell'asse Tremonti-Bossi di chiudere i conti con Fazio ha dovuto cedere il passo alla preoccupazione più generale di non aggravare il discredito in cui è caduto l'intero settore bancario a seguito degli scandali Cirio e Parmalat.
Un'altra eloquente conferma che questi ripetuti scandali non costituiscono singoli casi isolati, non sono "eccezioni" malate di un sistema sostanzialmente sano, come lo si vuole presentare, ma al contrario rappresentano la normalità e la regola di un sistema, quello capitalistico italiano, marcio e corrotto fin nelle fondamenta. Al punto che le sue massime istituzioni economiche, che dovrebbero vigilare sul rispetto delle "regole", sono le prime a violarle per coprire le truffe e le speculazioni dei pescecani dell'industria e della finanza.

3 marzo 2004