I frutti della controriforma iperliberista di Berlusconi del "mercato del lavoro"
Più flessiblità, più precarietà
Fatti a pezzi i diritti individuali e collettivi. Lavoro a chiamata. Lavoro a progetto. Il posto diviso in due. Mano d'opera in affitto a tempo indeterminato. Collocamento aperto ai privati. Liberalizzato il part-time
Stravolti totalmente i rapporti di lavoro

Quanti sottovalutano la forza e la pericolosità del governo del neoduce Berlusconi e addirittura si spingono a decretare l'inizio della fine della maggioranza governativa del "centro-destra", come fanno i DS e i partiti dell'Ulivo, commettono un gravissimo errore, di più compiono un atto criminale, politicamente parlando, perché indeboliscono l'opposizione sociale, affossano la lotta e disarmano le masse popolari.
Un esempio non secondario lo si è avuto il 6 giugno scorso, con l'approvazione, da parte del Consiglio dei ministri del maxi-decreto attuativo della legge 30/2003 (80 articoli) sulla controriforma del "mercato del lavoro" chiamata strumentalmente Biagi, l'autore del famoso "libro bianco" ucciso dalle "BR" i cui padri invece sono Berlusconi e il ministro del welfare, il leghista Roberto Maroni. Proprio, in segno di sfida, alla vigilia delle elezioni amministrative parziali e a pochi giorni di distanza dal referendum per l'estensione dell'art.18 alle aziende sotto i 15 dipendenti.
Una controriforma approvata in parlamento definitivamente, come legge delega, il 5 febbraio scorso (vedi il n.12/2003 de "Il Bolscevico"), di una gravità inaudita, senza precedenti su questa fondamentale materia, voluta fortemente dalla Confindustria capeggiata dal berlusconiano di ferro D'Amato, sin dal suo convegno nazionale di Parma del 2001, figlia diretta dell'accordo separato, di tradimento e di capitolazione, conosciuto con il nome di "patto per l'Italia" firmato dalla Cisl di Pezzotta e dalla Uil di Angeletti nel maggio del 2002, oltreché dal governo e dalle associazioni padronali, contro il manifesto parere avverso del sindacato maggioritario, la Cgil.

I più flessibili in Europa
Una controriforma iperliberista che per stessa ammissione del cavaliere piduista di Arcore disegna un "mercato del lavoro", "tra i più flessibili d'Europa" incrementando le forme di lavoro già esistenti in Italia, da 38 a 44 e forse più. Non a caso Maroni pomposamente l'ha definita un "cambiamento epocale" e il leader della Confindustria la "più grande riforma del mercato del lavoro mai varata nel nostro paese". Che nemmeno Mussolini si propose di fare.
Una controriforma che legislativamente e nei fatti stravolge totalmente i rapporti di lavoro esistenti a favore dei padroni, portando a compimento quella pesante e strutturale deregolamentazione, liberalizzazione e privatizzazione del collocamento e dei contratti di assunzione attuata nel 1997 dal governo di "centro-sinistra" Prodi, appoggiato sciaguratamente anche dal PRC di Bertinotti, con le misure del "pacchetto Treu". Il lavoro in affitto, le agenzie interinali, la nascita e l'incredibile espandersi dei "lavoratori atipici", più conosciuti come lavoratori parasubordinati, o come collaboratori coordinati continuativi (co.co.co.) e altro ancora, non va dimenticato sono il frutto amaro di quel "pacchetto".
Mai come in questa circostanza, in un colpo solo, vengono cancellate tutele essenziali e fondamentali legislative e contrattuali, vengono fatti a pezzi i diritti individuali e collettivi di carattere normativo e sindacale dei lavoratori. Poche volte è apparsa chiara come stavolta la denuncia fatta per primo da Marx secondo cui il capitalista considera la "forza-lavoro" una semplice merce da comprare, usare e gettare e la riduce in "schiavitù salariata".

Lavoro fisso: da principale a secondario
Innumerevoli le conseguenze negative: la riduzione del lavoro fisso e tutelato sindacalmente a fatto minoritario ed eccezionale, sostituito da lavoro precario, discontinuo e flessibile; trattandosi di contratti individuali e flessibili la totale mancanza di potere contrattuale nei confronti dei "datori di lavoro" i quali hanno buon gioco a imporre condizioni di lavoro di supersfruttamento; il potere di ricatto che i padroni possono così esercitare non solo sul lavoratore precario ma anche su quello che ha il posto fisso, mettendoli in competizione tra loro; addio alle libertà sindacali e anche politiche sui luoghi di lavoro, addio al diritto di sciopero e al contratto nazionale; le conseguenze negative quindi che tutto ciò ha di riflesso per lo spazio di rappresentanza e contrattuale dei sindacati; la possibilità di far maturare una pensione (quella pubblica) sopra la soglia di sopravvivenza diventa una cosa pressoché impossibile.
è una balla gigantesca sostenere, come fanno governo e padronato, che la deregolamentazione del "mercato del lavoro" favorirà il tasso di occupazione, attualmente al 53,4% degli italiani in età lavorativa, per recuperare i livelli degli altri paesi europei che oscillano tra il 66% e il 77%. Anche considerando la fase recessiva che investe sia gli Usa che la Unione europea, e l'assenza di una politica economica e finanziaria finalizzata ad aiutare la ripresa produttiva e dei consumi, al massimo si avrà solo più flessibilità e più precarietà. E questo in un Paese come il nostro che già conta milioni di lavoratori con contratti precari, quando non a "lavoro nero". Dati recenti e aggiornati segnalano che nel nostro Paese ammontano ormai a oltre sei milioni i "lavoratori atipici", pari al 27,7% degli occupati, precari flessibili, privi dei diritti sindacati e previdenziali.

Modifiche devastanti
Sono tante e tutte molto gravi le misure varate: si va dalla cancellazione del collocamento pubblico, alla libertà totale per le imprese di cedere i rami di azienda, dall'introduzione del lavoro in affitto a tempo indeterminato e del lavoro a chiamata al posto di lavoro diviso in due, dal lavoro a progetto alla certificazione delle prestazioni di lavoro per i co.co.co., dalla liberalizzazione dei contratti a termine all'estensione delle forme di applicazione del part-time. Anche quello per i soci lavoratori delle cooperative è un contratto di lavoro precario e scarsamente tutelato
In concreto viene abrogato definitivamente il collocamento pubblico. Chiunque potrà mettere su un'agenzia privata di collocamento. E cercherà rapporti clientelari coi padroni imponendo a chi cerca lavoro di sottostare alle loro pretese. Sarà il rifiorire di "caporali", di ricatti e di truffe.
Nelle cessioni di rami d'azienda viene spezzata l'ultima possibilità di difesa che l'art. 2112 c.c. contempla: quella di poter dimostrare, davanti al giudice, che il ramo ceduto non ha una reale autonomia funzionale. Singoli uffici o reparti, persino singoli macchinari, con i lavoratori annessi, potranno essere esternalizzati senza più alcuna possibilità di opporsi alla cessione. Potranno nascere, all'interno del perimetro aziendale tante singole imprese, magari sotto i 15 dipendenti. Vanificando il potere contrattuale collettivo e le tutele sindacali sancite nello "Statuto dei lavoratori".
Viene abolita la legge 1369/60 che vietava l'interposizione di mano d'opera, per introdurre lo "staff leasing", ovvero il lavoro in affitto a tempo indeterminato. Agenzie specializzate potranno fornire non solo manodopera a termine, come avviene oggi nel caso del lavo interinale, ma anche manodopera a carattere continuativo e a tempo indeterminato. Il termine di interposizione viene sostituito con somministrazione. Tutti i lavoratori di un'azienda potranno essere dipendenti non più dell'azienda in cui lavorano ma dell'agenzia che ad essa li "somministra". Il lavoratore viene quindi formalmente codificato come una merce liberamente commerciabile. Il rapporto tra lavoratori e azienda sparisce. Organizzare ed esercitare il potere contrattuale e il diritto di sciopero con essa non è più consentito. Ai gestori delle agenzie private di collocamento si riconosce la libertà di operare, a scopo di lucro, la semplice attività di far lavorare qualcuno alle dipendenze di qualcun altro.
Si introduce inoltre il lavoro a chiamata (Job on call). le cui caratteristiche fondamentali sono la discontinuità e l'intermittenza delle prestazioni dei lavoratori su richiesta dell'azienda. Il lavoratore interessato deve così essere sempre a disposizione del padrone in attesa di essere chiamato a lavorare qualche giornata compensato con una misera indennità. Qui siamo al massimo della precarietà e della brutalità liberista.
Parte il "lavoro a progetto" come (falsa) soluzione finale per i co.co.co.. Un lavoro subordinato spacciato per lavoro autonomo che potrà essere rinnovato all'infinito assegnando un nuovo progetto al lavoratore. Per tutelarsi il datore di lavoro porterà il lavoratore davanti ad una speciale commissione mista (l'ente bilaterale) per fargli pubblicamente giurare, se vuole essere assunto, che il lavoro che gli offre è proprio autonomo.
Parte anche il lavoro suddiviso (Job sharing) con il quale due lavoratori prendono l'obbligo, nei confronti del datore di lavoro, di eseguire un'unica prestazione lavorativa. Percependo metà salario ciascuno. è qualcosa di peggio del part-time, in quanto dovranno garantire sempre la presenza al lavoro facendosi carico di sostituirsi in caso di assenza (malattia, congedi per figli e altro).
Ai soci lavoratori di cooperative verrà garantita solo l'applicazione dei minimi contrattuali. Saranno invece privati di ogni altra tutela prevista dai contratti e dallo "Statuto dei lavoratori". Le cooperative potranno definire tutti i loro dipendenti come "soci"; così il loro licenziamento verrà camuffato come espulsione dalla società.
Quanto al part-time la "riforma" fa riferimento al Dlg 61/2002 che, diversamente dal passato, concede alle aziende la facoltà totale di stabilire l'orario di lavoro della prestazione part-time e anche di pretendere lavoro supplementare, cioè straordinario, da chi lavora con questo tipo di contratto.
Di fronte allo scempio sistematico dei diritti e delle tutele dei lavoratori occupati e dei giovani in via di occupazione da parte del governo del neoduce Berlusconi, i DS e gli altri partiti dell'Ulivo non sono andati più in là di una debole e finta opposizione parlamentare. Anche la risposta delle confederazioni sindacali è risultata insufficiente quando non acquiescente. Il vertice della Cgil in un primo tempo ha denunciato la legge 30 come una controriforma, indetto due ore di sciopero con assemblee nei luoghi di lavoro e persino minacciato di promuovere un referendum abrogativo. Ma dopo lo svolgimento del referendum per l'estensione dell'art.18 alle aziende con meno di 15 dipendenti e la firma del "patto per la competitività" con la Confindustria e gli altri due sindacati si avverte un ammorbidimento delle posizioni del segretario cigiellino Guglielmo Epifani. Mentre la Cisl di Pezzotta e la Uil di Angeletti hanno balbettato solo una critica sul metodo, a loro dire poco concertativo, seguito dal governo.
La liberalizzazione del "mercato del lavoro" e la complessiva precarizzazione di tutti i rapporti occupazionali è un altro importante e assolutamente non secondario motivo per continuare la "guerra totate" contro il governo Berlusconi fino alla sua caduta. Specie se verranno toccate le pensioni come si sente minacciare in questi giorni in vista della prossima legge finanziaria. Per dare continuità alle grandi lotte che si sono svolte tra il 2002 e questi mesi del 2003, per valorizzare gli oltre 10 milioni di elettori che nel referendum del 15 e 16 giugno hanno votato Sì, per rivendicare la chiusura dei contratti di lavoro dei dipendenti pubblici e delle altre categorie con le vertenze aperte devono continuare gli scioperi e le manifestazioni di piazza, senza escludere ma anzi mettendo in previsione un nuovo sciopero generale nazionale di tutte le categorie. Questa volta, se possibile, unitario.