Dalle colonne de "Il Giornale" di Berlusconi
Forza fascisti lancia la campagna per una nuova costituzione su misura del regime neofascista

Mentre in parlamento prosegue l'iter del progetto di controriforma costituzionale della casa del fascio, il partito di Berlusconi, Forza fascisti, lancia una campagna su "Il Giornale" per spianare il terreno a una nuova Costituzione cucita su misura del regime neofascista imperante. La campagna è stata aperta dallo stesso direttore del fogliaccio ufficiale del neoduce, Maurizio Belpietro, con un editoriale sul numero del 12 febbraio, nella cui scia si sono inseriti con altri interventi, quasi quotidianamente e per oltre due settimane, giornalisti, politici e giuristi neofascisti di simpatie berlusconiane quando non direttamente al suo servizio.
Nell'editoriale intitolato "Quella porta aperta ai comunisti", che dà il "là" di inizio alla rubrica denominata "dibattito sulla Costituzione", Belpietro proclama indignato che "la nostra Repubblica è impregnata fin nelle ossa di marxismo" , e che "la stessa Costituzione non è esente dal contagio". è la tesi, cara al suo padrone Berlusconi, della "Costituzione sovietica", più volte da lui proclamata per attaccare la nostra Carta fondamentale, del resto già affossata di fatto dal regime neofascista. Belpietro si propone appunto di sostanziare questa falsa e strumentale tesi, che la nostra sarebbe cioè una Costituzione di "ispirazione marxista", e quindi in quanto tale da affossare anche nominalmente, come un residuato bellico.
Citando uno scritto dell'azionista Piero Calamandrei, il direttore de "Il Giornale" sostiene in sostanza che questa "ispirazione marxista" della Costituzione fu concessa dalla DC al PCI per compensarlo della rinuncia alla prospettiva rivoluzionaria in Italia. Questo scambio sarebbe stato realizzato in sede di Assemblea costituente da un accordo tra l'ala dossettiana della DC con il PCI di Togliatti e il PSI di Nenni, emarginando le componenti liberale, repubblicana e azionista, portatrici dei valori della democrazia liberale. Per Belpietro, quindi, la Costituzione nasce "stortignaccola", affetta da una tara genetica, insomma. A cominciare, dice, dalla dichiarazione "L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro", invece che sulla "libertà". In conclusione, per il megafono di Berlusconi, la DC condusse la resistenza al comunismo "aprendo le porte al nemico".
In realtà, se è vero che la Costituzione del 1948 rappresentò un compromesso tra le forze politiche uscite dalla Resistenza, come riflesso degli opposti interessi di classe di proletariato e borghesia, essa fu tutt'altro che "marxista" o "sovietica", perché se pur accoglieva alcuni giusti principi a livello formale, a livello sostanziale sanciva la proprietà privata e quindi l'intangibilità del sistema capitalistico garantita dallo Stato italiano, a sua volta fedele e rigida espressione della classe dominante borghese. Tant'è vero che tale Carta non ha impedito l'affossamento della prima Repubblica e l'avvento della attuale seconda repubblica in camicia nera, e finanche che l'Italia tornasse a svolgere una politica estera nazionalista, militarista e guerrafondaia, nonostante l'eplicito divieto dell'articolo 11.

Il "peccato originale" dell'antifascismo
Ciononostante, per certi lustrascarpe di Berlusconi, come per esempio il giornalista Carlo Pelanda ("Peccato originale", su "Il Giornale" del 15 febbraio, ndr), la Costituzione sarebbe "piena di sovietismi", come per esempio "l'idea di un contratto nazionale", perché sancirebbe a suo dire "lo strapotere dei sindacati a scapito del parlamento", ecc. Ragion per cui sarebbe l'ora di sbarazzarcene, anche perché oggi, a differenza degli anni '40, "un pericolo sovietico, in forma di agente interno di un aggressore esterno, non esiste più".
Il "peccato originale" di cui parla Pelanda, sarebbe insomma, secondo il suo degno compare Paolo Armaroli, "di guardare alla realtà con un occhio solo: quello dell'antifascismo", e un altro "vizio congenito" della nostra Carta fondamentale sarebbe il cosiddetto "complesso del tiranno", vale a dire di "aver dato vita a istituzioni piuttosto gracili" per la paura che assegnando più potere ai governi potesse ritornare una dittatura fascista.
"La Costituzione - rincara la dose l'editorialista Mario Cervi, citando la `Storia d'Italia' scritta da lui stesso insieme a Montanelli - ebbe una impronta unitaria, e omogenea, proprio in quella che si rivelerà una delle sue caratteristiche più negative: la voluta debolezza del potere esecutivo, cioè del governo, nel nome di un parlamentarismo esasperato che il tempo trasformerà in partitocrazia e lottizzazione". Una Costituzione, quindi, non solo affetta dal "peccato originale" di risentire del clima resistenziale dell'epoca, ma anche generatrice di ingovernabilità, e perciò da controriformare al più presto in senso presidenzialista. è questo il senso degli interventi di Cervi e Armaroli sull'edizione del quotidiano berlusconiano del 16 febbraio.
Per l'ex presidente della Corte costituzionale, Gaetano Quagliarello, la controriforma della Costituzione è - nel solco tracciato dal neofascista Marcello Pera - addirittura l'occasione per regolare i conti con la storia una volta per tutte. Affinché tale controriforma sia efficace, infatti, secondo il giurista berlusconiano, "essa non potrà limitarsi a sancire il superamento della guerra fredda. Dovrà anche chiarire cosa ha vinto e cosa è stato sconfitto nel 1989. E di conseguenza, in campo costituente, per accedere a una concezione liberale e conflittuale non basta cambiare la carta del 1948. � anche necessario abbattere il suo mito". Mentre da parte sua, sulla stessa edizione del 17 febbraio, Francesco Perfetti suona la carica alla casa del fascio "per un ammodernamento della Costituzione, per una Costituzione che sia davvero liberale", sicurissimo che "questa occasione il centro-destra, se vorrà, potrà coglierla, certo di vincere la sfida per la modernizzazione delle strutture politiche e dell'intero Paese".

Una "carta da riscrivere" da cima a fondo
Sull'edizione del 18 febbraio ("Una carta da riscrivere") il rinnegato Ferdinando Adornato ritorna ancora sul tema ossessivo dell'"ispirazione classista" e della "retorica del lavoro" di cui sarebbe impregnata la Carta costituzionale, e chiede di riscriverla sia nella seconda che nella prima parte, affinché incarni fino in fondo "i valori di una democrazia liberale". Mentre un altro neofascista par suo, Federico Guiglia ("L'amnesia della Patria") si scaglia contro la mancanza di riferimenti sufficientemente forti al nazionalismo e al patriottismo, tanto che "soltanto oggi - 2004! - stiamo ritrovando il senso di una memoria condivisa sulle foibe, sui Savoia, sul `voto estero' e sulle missioni all'estero" ecc.
C'è poi chi incita sbrigativamente la casa del fascio ad approfittare della maggioranza parlamentare per imporre la controriforma neofascista della Costituzione a suon di voti in parlamento, senza attardarsi ulteriormente nel tentativo di coinvolgere l'"opposizione". Così fanno Alessandro Corneli sull'edizione del 20 febbraio ("meglio finirla - scrive costui - con la finzione della concordia a tutti i costi, perché è paralizzante, impedisce i cambiamenti e quindi favorisce la conservazione, l'immobilismo"), e Salvatore Scarpino, sull'edizione del 22, per il quale "lo scontro sulle riforme diventa (...) la questione centrale della transizione italiana. Da una parte chi vuole una matura democrazia dell'alternanza e intende pertanto riscrivere la Costituzione; dall'altra chi vuole che nulla cambi e si nasconde dietro la Costituzione del 1947-48 come dietro a uno scudo magico, la cui semplice ostentazione dovrebbe imporre la conservazione dell'esistente". Tra questi, Scarpino ne indica l'esistenza persino nel suo stesso schieramento.
La campagna si chiude (per ora) in "bellezza" sul numero del 2 marzo, con un lungo articolo firmato da Gianni Baget Bozzo e Gabriele Cazzullini, di attacco frontale a quello che i due tirapiedi del nuovo Mussolini chiamano non a caso "La dittatura del Parlamento", che richiama alla mente la famigerata filippica del duce del fascismo contro l'"aula sorda e grigia". Tale "dittatura" sarebbe dovuta appunto alla Costituzione del 1948, perché "il governo è sotto ricatto del parlamento che minaccia la revoca della fiducia, mentre il governo non può fare lo stesso ma solo premere sul presidente della Repubblica affinché intervenga".
Per tagliare il nodo gordiano, secondo i due neofascisti, ci vuole un governo eletto direttamente dai cittadini, cioè quei "pieni poteri" come li volle e ottenne Mussolini e che il neoduce reclama a ogni piè sospinto perché in mancanza di essi gli viene "impedito" di governare e attuare quel programma capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e imperialista che egli spaccia come toccasana per il Paese.
17 marzo 2004