Controriforma liberista di Maroni sulle pensioni
IL GOVERNO SMANTELLA LA PREVIDENZA PUBBLICA A FAVORE DI QUELLA PRIVATA
5 punti di decontribuzione a favore delle aziende. Forti rischi per la tenuta dei conti Inps. Trasferimento obbligatorio dei Tfr sui fondi pensione. Penalità sulle pensioni di anzianità. 20 per cento in meno per le pensioni dei neoassunti
I SINDACATI MINACCIANO LO SCIOPERO GENERALE
Dopo 17 mesi circa di gestazione, il governo del neoduce Berlusconi si prepara a varare definitivamente la sua controriforma liberista sulle pensioni. L'ennesima di questi ultimi 10 anni, che non stravolge le precedenti "riforme" di Amato, Dini e Prodi, come vorrebbero dare ad intendere i DS e gli altri partiti dell'Ulivo, ma porta alle estreme conseguenze il disegno di tagliare drasticamente la spesa pensionistica e di smantellare la previdenza sociale pubblica a favore di quella privata.
Già il 28 dicembre del 2001, allorché fu presentata la prima edizione della legge delega sulle pensioni, erano apparse chiarissime le intenzioni di Berlusconi, Tremonti e Maroni finalizzate ad accogliere per intero le esose pretese della Confindustria quali: un taglio consistente delle tasse previdenziali per le imprese; lo scippo del Tfr dei lavoratori per finanziare i fondi di pensione privati; la "liberalizzazione" dell'età pensionabile, incentivi e disincentivi per indurre i lavoratori a rinviare il momento della pensione; decurtazione pesante delle pensioni per giovani e precari e altro ancora.
Nonostante la netta opposizione espressa sin da allora da tutte e tre le confederazioni sindacali e la conseguente minaccia di una mobilitazione generale, il governo, seguendo il principio mussoliniano "me ne frego della piazza", ha ignorato arrogantemente le obiezioni dei sindacati e ha fatto approvare alla Camera, alla fine di febbraio 2003, la suddetta legge delega senza variazioni significative. In questa occasione, approfittando dell'assenza di molti parlamentari della Casa del fascio, lo schieramento di "centro-sinistra" avrebbe potuto mettere sotto il governo e dare un colpo alla controriforma pensionistica berlusconiana. Invece non ha assunto alcuna iniziativa dando il tempo ai parlamentari di "centro-destra" di riversarsi precipitosamente a Montecitorio e approvare la legge. Eccola l'opposizione imbelle e opportunista dei vari Rutelli, Fassino e D'Alema!

IN DIRITTURA D'ARRIVO
Il testo della controriforma è passato all'esame del Senato, per l'approvazione definitiva che il governo furbescamente ha programmato subito dopo le elezioni amministrative parziali del 25 maggio e in ogni caso entro giugno prossimo. Intanto il ministro del welfare, il leghista Maroni, ha continuato a prendersi gioco delle segreterie sindacali, non solo di quella della Cgil, ma anche delle altre più amiche e collaboratrici di Cisl e Uil. Appuntamenti rimandati in continuazione e persino incontri fissati e disertati. Sul documento unitario che i leaders sindacali Guglielmo Epifani, Savino Pezzotta e Luigi Angeletti hanno messo a punto alla fine del marzo scorso e consegnato all'Esecutivo, dove esprimevano parere negativo al taglio dei contributi per i nuovi assunti, all'obbligo di versare le liquidazioni in un Fondo pensione complementare, alla parificazione tra Fondi chiusi negoziali e Fondi aperti, all'inserimento delle polizze vita nei benefici riconosciuti al risparmio previdenziale, non c'è stata nessuna risposta da parte del governo.
Il punto più grave e più avversato da parte sindacale è senz'altro la riduzione tra il 3 e il 5% degli oneri contributivi dovuti dalle imprese alla previdenza sociale per i neoassunti, compresi quelli che passano dal contratto a termine a quello a tempo determinato. Si tratta di un grosso e ingiustificato regalo ai padroni con due conseguenze rovinose e assolutamente inaccettabili: la tenuta dei conti Inps tra entrate (contributi previdenziali) e uscite pagamenti delle pensioni (e altri interventi assistenziali); decurtazione di quasi il 20% delle pensioni dei giovani avviati al lavoro dopo l'approvazione delle legge, essendo queste calcolate sui contributi effettivamente versati. Tra l'altro questa norma potrebbe spingere i padroni a licenziare il personale in servizio, e si può star certi che molti lo faranno, per assumerne di nuovo e così usufruire dello sconto previdenziale.

METTERE IN CRISI L'INPS
Sulla base delle simulazioni calcolate dall'Inps e presentate in un'audizione parlamentare dall'ex presidente, Massimo Paci, le minori entrare per l'istituto ammonterebbero nel 2005 a 12.111 miliardi di vecchie lire nel caso che la riduzione contributiva fosse di 3 punti e di 20.185 miliardi se la riduzione fosse di 5 punti. Ciò a fronte di un incremento di entrate previdenziali di 9.330 miliardi di lire, proveniente dai lavoratori parasubordinati che certamente non se ne staranno zitti. Proiettando questi tagli contributivi nel 2020 le minori entrate saranno rispettivamente di 60.760 miliardi e di 101.267 miliardi di lire.
In questa sciagurata prospettiva, l'Inps non avrebbe più fondi sufficienti per pagare le pensioni maturate, il sistema pensionistico fondato sulla ripartizione e sul versamento obbligatorio dei contributi previdenziali andrebbe irrimediabilmente in rovina, comunque dovrebbe ridimensionarsi in un ruolo secondario e marginale rispetto alla previdenza privata che si vuole sviluppare secondo il metodo iperliberista in voga negli Stati Uniti e Inghilterra. Un modello che rompe con il principio di universalità e aumenta a dismisura le ingiustizie sociali, che garantisce un reddito sufficiente in vecchiaia solo a coloro che possono pagarsi la pensione "complementare", mentre per gli altri c'è una pensione da fame.
Non regge più la favola raccontata da governo e Confindustria della spesa pensionistica oltremisura e fuori controllo. Visto che in Italia è all'11,5% (se si escludono le componenti assistenziali finanziate da apposite gestione del bilancio Inps) sostanzialmente in linea con la media europea. Secondo il rapporto Inpdam sullo "stato sociale" i risparmi accumulati nella spesa pensionistica dal 1998 al 2002 (grazie alle controriforme varate dai governi di "centro-sinistra") si aggirano sul 160 mila miliardi di lire.

LO SCIPPO DELLE LIQUIDAZIONI
La destinazione obbligatoria del Tfr (trattamento di fine rapporto) ai fondi pensione, è insieme alla decontribuzione, l'altra misura pesante del progetto governativo, contestata dai sindacati confederali; anche perché il governo vorrebbe eliminare i vincoli e le agevolazioni che favoriscono i fondi pensione chiusi di tipo contrattuale, categoriale e aziendale, per orientare questo fiume di denaro, si parla di decine di migliaia di miliardi di lire, verso le fondazioni previdenziali private di tipo aperto. Insomma, niente volontarietà e nemmeno il meccanismo già inaccettabile del silenzio-assenso. D'imperio vogliono scippare ai lavoratori le liquidazioni, si vuole derubarli del loro salario differito maturato e guadagnato col loro lavoro. Per darlo in gestione a operatori finanziari senza garanzie effettive circa il rendimento, e anzi con rischi molto concreti di perdite di denaro in momenti di crisi economiche e in caso di investimenti errati. Basti dire che, l'ultimo monitoraggio eseguito dalla Covip, l'ente che vigila sulla previdenza complementare, ha rilevato per il 2002 una perdita media del 3,5% dei fondi pensione chiusi e dell'11% dei fondi aperti. Mentre a oggi il Tfr gode di una rivalutazione annua certa che permette in linea di massima il recupero dell'inflazione reale.
L'espropriazione del Tfr, ritenuta dalla Cgil anticostituzionale, non solo e non tanto per il metodo che il governo intende seguire, non solo per la scarsa convenienza e i rischi che ci sono nella destinazione ai fondi pensione, ma anche perché le liquidazioni per i lavoratori mantengono ancora una utilità non rinunciabile per sostenere spese di una certa importanza, come l'acquisto della casa, e anche per fronteggiare situazioni di precarietà per coloro, e sono tanti, una volta licenziati non usufruiscono di cassa integrazione, né di indennità di mobilità.
Le legge delega contiene anche una serie di misure per "convincere" con incentivi e disincentivi i lavoratori a rinunciare ad andare in pensione di anzianità e a rinviare il momento del pensionamento di vecchiaia maturata all'età di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne. A proposito di questa ultima misura, chiamata "liberalizzazione dell'età pensionabile" gli incentivi previsti non appaiono convenienti, considerato che nell'ultima legge Finanziaria è stato eliminato il divieto di cumulo tra pensione e reddito da lavoro.

GIOVANI E PRECARI I PIU' PENALIZZATI
Le vittime principali della controriforma pensionistica berlusconiana sono i giovani e soprattutto quella massa di precari (lavoratori "atipici", dipendenti parasubordinati, cioè i famosi co.co.co., ecc.) cresciuti abnormemente in questi anni. Già con le controriforme del "centro-sinistra" avevano subito dei danni, con l'introduzione del metodo contributivo che calcola il livello della prestazione pensionistica sulla base del rapporto tra anni lavorati, contributi versati e speranza di vita, con il risultato di spostare in avanti l'età pensionabile e ridurre la prestazione pensionistica pubblica. Berlusconi ci aggiunge i cinque punti di decontribuzione e un'accentuazione di una vita lavorativa precaria e discontinua (vedi a questo proposito la recente legge sul "mercato del lavoro" che amplia il lavoro in affitto, introduce il lavoro a chiamata, privatizza il collocamento).
Nella legge delega non c'è traccia di provvedimenti finalizzati ad affrontare questi problemi tipo: un meccanismo che permetta la continuità contributiva maturata in vari posti di lavoro; contributi figurativi per coprire i periodi di inattività tra un lavoro e l'altro; agevolazioni per un miglior rendimento dei contributi versati in situazioni di lavoro precario.
I sindacati hanno chiesto al parlamento di congelare la discussione e l'approvazione della delega, al governo (di nuovo) un incontro per avere risposte precise sui punti contestati. Diversamente, entro giugno, sarà sciopero generale!