Al vertice della "sinistra" borghese e di regime
Prime intese tra Ulivo, PRC e il fascista Di Pietro per un'alleanza di governo
Bertinotti media sul referendum per abrogare la legge salva Berlusconi
Rimandata la manifestazione contro il governo

Martedì 23 settembre, nella sede del gruppo dei DS al Senato, si è tenuto il primo vertice di tutta la "sinistra" borghese e di regime, allargato all'Italia dei valori del fascista Di Pietro, per costruire un'"alternativa programmatica e di governo" a Berlusconi. Erano presenti tutti i leader dell'Ulivo eccetto Mastella - Fassino, Rutelli, Pecoraro Scanio, Diliberto e Boselli - più il segretario del PRC Bertinotti e Di Pietro.
Invariabilmente soddisfatti i commenti dei protagonisti, da Fassino, per il quale "è cominciato il cammino di alternativa al governo", a Bertinotti, secondo cui "in cinque anni è cambiato tutto. Questa è la riunione di tutte le forze che si battono contro il governo. E noi siamo qui per cercare un terreno di incontro". Una riunione "molto positiva e serena, in un clima radicalmente nuovo" anche per il capogruppo dei senatori DS Angius, che ha lodato il "ruolo unitario, quasi ecumenico, di paciere", svolto da Fausto Bertinotti.
L'incontro - il primo dalla caduta del governo Prodi nel '98 con l'uscita del PRC dalla maggioranza di "centro-sinistra" - era in gestazione da diverso tempo, dopo le amministrative parziali dello scorso maggio che avevano costituito una prova generale con l'accordo elettorale tra Rifondazione e Ulivo. La marcia di riavvicinamento di Bertinotti all'Ulivo aveva subìto una forte accelerazione dopo l'esito di quel test elettorale, che aveva dissanguato ulteriormente Rifondazione e reso più concreto il fantasma di una sua possibile dissoluzione. Da qui la "svolta" verso un accordo non più soltanto elettorale, ma programmatico e di governo con l'Ulivo e Di Pietro, ufficializzata nel Comitato politico nazionale del PRC di fine giugno. Cui hanno fatto seguito incontri e trattative culminate con il dibattito tra Bertinotti e D'Alema alla festa di "Liberazione" a Venezia, dove l'obiettivo di arrivare a un "Ulivo allargato", secondo la definizione di D'Alema, o a un'alleanza di "tutta l'opposizione", come preferisce chiamarla il segretario del PRC, è stato spiattellato pubblicamente.
Anche con Prodi la ricucitura era ormai cosa fatta. Lo confermava lo stesso Bertinotti all'ex sottosegretario di Prodi, Enrico Micheli, quando a luglio costui lo aveva sondato per sapere quale sarebbe stata la sua posizione sulla candidatura del professore a capo della "lista unica" della "sinistra" borghese: "Noi non abbiamo pregiudiziali sul nome di Prodi come candidato premier", era stata la risposta del leader neorevisionista e trotzkista del PRC.
In vista del vertice Bertinotti era partito in tromba, proponendo di mettere all'ordine del giorno del vertice a Palazzo Madama, oltre ai temi della Finanziaria, della legge Gasparri sulle tv e delle "riforme" istituzionali, anche quello di una "enorme" manifestazione nazionale entro la fine di ottobre per "cacciare il governo prima della fine del suo mandato". Ma è stato subito gelato dai marpioni dell'Ulivo, che si sono subito affrettati a scaricargli l'arma in mano: "Non sarà con un corteo una tantum che Berlusconi se ne andrà a casa", dichiarava il coordinatore dei DS, Chiti. "Non è il momento di spallate", rincarava il vice di Rutelli nella Margherita, Gentiloni. "Bertinotti è sveglio e lo sa da solo, non è detto che con una manifestazione cada il governo", completava più untuoso e ironico che mai D'Alema.
E il leader del PRC non si è fatto pregare molto per ridimensionare più che volentieri i suoi "bellicosi" propositi, visto che già due giorni prima del vertice dichiarava a "la Repubblica": "Solo uno sciocco può pensare che con una manifestazione per quanto grande possa cadere un governo. E solo uno sciocco può pensare che ci sia qualcuno che lo pensi". Detto fatto: al vertice del Senato si è quasi persa ogni traccia della suddetta manifestazione. La si farà - non si sa quando - a chiusura di un "percorso tematico" con mobilitazioni parziali su Finanziaria, legge Gasparri e condono edilizio. E in ogni caso non avrà il carattere di una manifestazione per far cadere il governo Berlusconi.
In sostanza tutto viene ricondotto ai temi e alle linee fissati in un documento elaborato dai responsabili del lavoro degli otto partiti in un precedente incontro del 17 settembre, dove si parla di politica industriale, occupazione, Stato sociale e pensioni, erosione salariale e democrazia sindacale. Un documento generico e tutt'altro che nettamente alternativo alla politica economica e sociale del governo: basti pensare, a titolo di esempio, che propone di "ridurre la precarietà", anziché di combatterla risolutamente, e che considera "indispensabile" il "ruolo del pubblico nel campo della sanità, dell'assistenza, della scuola, della previdenza", sottintendendo perciò che anche il privato deve avere ruolo in tali servizi fondamentali.
Superato agevolmente questo "scoglio", per la pronta retromarcia di Bertinotti, il vertice ha dovuto risolvere quello rappresentato dal referendum per abrogare la legge salva Berlusconi (o lodo Schifani, come è stata chiamata la legge che regala l'impunità alle cinque più alte cariche dello Stato, tra cui naturalmente il neoduce) promosso da Di Pietro, che proprio in quei giorni depositava le firme raccolte. Bertinotti si autonominava "mediatore" proponendo che anche nel caso non si trovasse una posizione unitaria sul referendum questo non dovrebbe portare a una rottura dei rapporti tra le varie forze dell'"opposizione". Lo stesso copione seguito per il referendum sull'estensione dell'art. 18, il cui vergognoso boicottaggio da parte della maggioranza dell'Ulivo non ha impedito che continuasse come se nulla fosse accaduto, il dialogo tra Bertinotti e gli affossatori del referendum. Nulla di strano che la proposta gli sia valsa il riconoscimento di aver "salvato" il vertice da una incresciosa rottura con Di Pietro.
L'imbroglione trotzkista sta dunque pilotando apertamente il PRC verso una nuova, piena alleanza programmatica, elettorale e governativa con l'Ulivo e l'anticomunista Di Pietro, senza escludere una possibile integrazione anche organizzativa (in una forma "federativa" o altra che sia) con il nuovo "soggetto riformista" in gestazione nella "sinistra" borghese e di regime. E questo infischiandosene altamente della base del partito, che assiste con crescenti disappunto e malcontento alla deriva di destra impressa dal gruppo dirigente con alla testa il suo segretario.
Una deriva che dopo la scissione a destra di Cossutta e Diliberto rischia di spaccare ulteriormente il partito della Rifondazione trotzkista, come dimostra fra l'altro la raccolta di firme contro la "svolta" della minoranza che fa capo al trotzkista Marco Ferrando, secondo cui Bertinotti "per gettarsi in braccio all'Ulivo sta perdendo il suo partito".