Secondo l'Istat il Pil nel 2003 è aumentato dello 0,3%
L'Italia del capitalismo e di Berlusconi non cresce
Meno "ricchi"e più tartassati dal fisco
Appena un mese fa in quella cloaca televisiva che è il programma di Bruno Vespa, il neoduce Berlusconi aveva "spiegato" agli italiani che le difficoltà economiche in cui si dibattono le famiglie, anche quelle del cosiddetto "ceto medio", sono tutte bugie della sinistra che usa "il metodo stalinista della calunnia e della menzogna quotidiana su tutto"; che i dati diffusi dall'Eurispes, istituto ovviamente "di parte", sono solo "menzogne infinite". Anzi, aveva ribattuto, da quando c'è lui al governo "c'è stato un arricchimento generale del Paese" e, trionfante, aveva esclamato: "quest'anno il Pil crescerà del 2 per cento", insomma la ripresa c'era. E vai! Ancor più ottimista delle stime di Tremonti che per il 2004 ha previsto una crescita del +1,9%.
A sbugiardarlo due giorni dopo, erano stati resi noti i dati Istat sull'andamento del prodotto interno lordo (Pil), ovvero la ricchezza generata dal paese, dell'ultimo trimestre 2003 che segnava un secco 0%. Infine, a far svanire definitivamente il "miracolo" di un'Italia ricca, sana e in ripresa, sono arrivati, il 1° marzo scorso, anche quelli consuntivi dell'intero 2003: il Pil si è fermato ad appena +0,3%, contro lo 0,5% previsto da Tremonti (che già aveva corretto al ribasso la stima del +0,8% contenuta del Dpef, che a sua volta aveva corretto le previsioni fatte nel luglio del 2002, quando il nuovo "mago" della "finanza creativa" aveva previsto per il 2003 una crescita del Pil del 2,7%). Peggio che nel 2002, quando il Pil si era attestato a +0,4%. Per contro la pressione fiscale, indicata dallo stesso neoduce il test cruciale del suo "buongoverno" non soltanto non è scesa, ma è addirittura aumentata dal 41,9% del 2002 al 42,8% del 2003 del Pil (+0,9%). Insomma non soltanto la ricchezza nazionale si sta assottigliando, ma gli italiani sono addirittura più tartassati di prima dal fisco.
Alla luce di questi ultimi dati, Berlusconi è stato costretto ad ammettere, bontà sua, che in effetti qualche problema di "crescita" l'Italia c'e l'ha, ma guarda caso si è premurato bene di scaricare le responsabilità sull'Europa che vivrebbe le stesse nostre identiche difficoltà (sic!). E comunque non ha trovato di meglio che rilanciare la sua ricetta iperliberista di "meno tasse (ovviamente per i ricchi, ndr) e meno vincoli per rilanciare consumi e investimenti".
Parole che ovviamente non hanno convinto le organizzazioni sindacali investite dai riflessi della crisi in cui versa il paese e dalla ricaduta che essa avrà sulle già pessime condizioni di vita delle masse lavoratrici.
Infatti se andiamo a vedere tra le pieghe dei dati forniti dall'Istat è facile rendersi conto che i dati sulla crisi avrebbero potuto essere più evidenti se a "risollevare" le sorti del Pil non fosse intervenuto il discreto andamento del settore delle costruzioni (+2,5%) e dei servizi (+0,7%). Industria e agricoltura viceversa registrano una diminuzione del valore aggiunto (rispettivamente 0,1% e 5,6%).
Se poi si guarda l'andamento della produzione industriale la situazione non migliora. Il consuntivo del 2003 indica che la produzione media è scesa dello 0,4% rispetto all'anno precedente. Gli indici per settore di attività economica danno le dimensioni del disastro: -3,8% la produzione dei mezzi di trasporto (e si pensa alla crisi Fiat), la produzione di metallo che aveva retto durante l'anno, si inabissa con un -2% a dicembre sul mese precedente (e si pensa a Terni). C'è poi il -4,1% dei mobili, il -3,5% del tessile, il -5,5% delle calzature. Altrettanto male sono andati il fatturato e gli ordini calati rispettivamente dell'1% e del 3,7% rispetto al 2002. Negativo anche il dato sull'occupazione, che "cresce" appena dello 0,4% (grazie anche alla contabilizzazione delle centinaia di migliaia di immigrati regolarizzati), cioè niente e per di più si tratta di un'occupazione povera e precaria; mentre nella grande industria continua inarrestabile l'emorragia di posti di lavoro. E poi c'è l'inflazione che è tornata a galoppare ad un tasso doppio rispetto a quello degli altri paesi europei, gli investimenti che sono calati dell'2,1%.
Anche gli obiettivi che il governo si vanta di aver centrato, come il rapporto deficit/Pil al 2,4%, in realtà è un risultato truccato. Infatti non soltanto tale indice è peggiorato rispetto all'anno precedente ma comunque se si è mantenuto al di sotto del 3% (la famosa soglia per rispettare Maastricht) è solo grazie alle alchimie contabili di Tremonti, come i condoni, le cartolarizzazioni e le pesanti una tantum, senza le quali il deficit volerebbe ben oltre il 4%.
Il disastro provocato dalla fallimentare e scellerata politica economica del governo del neoduce Berlusconi è dunque sotto gli occhi di tutti, e la Finanziaria di quest'anno rischia di peggiorare ulteriormente la situazione, in special modo per le masse lavoratrici e popolari. Motivi questi che rendono ancor più urgente e irrimandabile la battaglia politica e sindacale per buttarlo giù.
10 marzo 2004