Sentenza della Corte costituzionale
"E' illegittima la legge salva-Berlusconi''
Taormina: "Comunisti maledetti quei giudici''. Il governo proporrà l'immunità per tutti i parlamentari. Ora il neoduce sarà processato
Sconfessato Ciampi
La legge salva-Berlusconi, quella che sospende i processi per le cinque più alte cariche dello Stato per tutta la durata del loro mandato, è incostituzionale. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza del 13 gennaio 2004, giudicando fondata l'istanza presentata dai giudici milanesi del processo Sme, che per effetto della legge avevano dovuto congelare il procedimento a carico di Berlusconi.
La legge è stata giudicata illegittima dalla Consulta in quanto viola gli articoli 3 (uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge) e 24 (diritto alla difesa) della Carta costituzionale. Si tratta quindi di una bocciatura piena, di merito, che va oltre la bocciatura "morbida'', solo formale (perché il provvedimento era stato approvato con legge ordinaria anziché costituzionale) per la quale si erano battuti fino all'ultimo i giudici nominati dal Polo, nel tentativo di salvare almeno il principio su cui la legge si fondava in vista di una ripresentazione futura.
Con la stessa sentenza la Corte ha giudicato ammissibile il referendum contro la legge promosso da Di Pietro il quale, prima ancora del parere definitivo della Cassazione, ha già fatto sapere di rinunciarvi perché non più necessario. Conseguenza diretta della sentenza è che il processo Sme a carico di Berlusconi riprenderà, anche se con un altro collegio, diverso da quello che ha già concluso il dibattimento su Previti: al posto del presidente Luisa Ponti e dei giudici a latere D'Elia e Brambilla vi saranno rispettivamente Francesco Castellano e i suoi colleghi Abate e Mastrodomenico.
Il nuovo collegio dovrà decidere da quale fase del dibattimento ricominciare, tenendo conto che il procedimento fu interrotto a ridosso della requisitoria. Castellano si è espresso per un recupero degli atti del precedente processo, che a suo giudizio "sono pienamente validi e utilizzabili''. Si parla di una riapertura intorno ad aprile-maggio. Bisognerà vedere però come verranno distribuiti i tempi, tra gli altri processi già fissati dalla prima sezione del tribunale di Milano e gli "impegni'' politici del premier, che potrebbero portare le cose in lungo fino ad un'eventuale prescrizione ormai non tanto lontana (2006).
Furibonde le reazioni dei tirapiedi del neoduce, a cominciare dal capogruppo alla Camera, Schifani, dal quale ha preso nome il "lodo'' bocciato dalla Consulta: "Prendiamo atto - ha dichiarato con livore - che una grossa componente dei poteri forti del nostro paese è contro Berlusconi. Per fortuna la gente è con Berlusconi, questa è la nostra forte risorsa''. Ancora più rabbiosa la reazione di Carlo Taormina, che si è scagliato contro i giudici della Consulta appellandoli "comunisti maledetti'': "Ormai - ha sibilato l'avvocato personale del neoduce - la giustizia politica ha raggiunto i massimi livelli. Con cura sono stati scelti i membri della Consulta, di alto livello politico, più che scientifico''.
Incassando il duro colpo (il secondo dopo la bocciatura della legge Gasparri da parte di Ciampi) il neoduce ha reagito riunendo subito i suoi fedelissimi e annunciando l'intenzione di presentare in tempi brevissimi un disegno di legge costituzionale che preveda l'immunità per tutti i parlamentari. In questo modo sarebbe sventata in partenza l'eccezione di incostituzionalità, in quanto l'immunità parlamentare era già prevista nella Costituzione prima della sua abolizione nel 1993 sotto i colpi di tangentopoli.
Ma non è solo il neoduce a uscire politicamente scornato da questa vicenda (anche se a livello giudiziario il suo tornaconto l'ha già avuto). Anche Ciampi non ne esce tanto pulito, dal momento che tutti sanno che la legge salva-Berlusconi, o "lodo Schifani'' che dir si voglia, l'aveva dettata lui parola per parola agli uomini del neoduce proprio per renderla un minimo presentabile e poterla firmare in quanto "non manifestamente incostituzionale''.
In realtà l'inquilino del Quirinale era perfettamente consapevole della sua flagrante incostituzionalità, ma ha voluto avallarla a tutti i costi giocandosi la faccia (come poi è stato) pur di salvaguardare il semestre di presidenza italiana della Ue. E anche, più inconfessabilmente, per salvare sé stesso dai possibili risvolti giudiziari del caso Telekom Serbia, allora in pieno sviluppo.