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PMLI Mao, l'aggressione imperialista alla Serbia e il governo D'AlemaDiscorso di Mino Pasca per il 23º anniversario della scomparsa di Mao IL GOVERNO D'ALEMA È IL
PEGGIORE DEL DOPOGUERRA, PRIMA LO SPAZZEREMO VIA MEGLIO SARA'
Il PMLI è riconoscente e grato a
Mao per il suo esempio e i suoi immortali insegnamenti antimperialisti, anticolonialisti e
rivoluzionari
Compagne, compagni, amiche e amici,
la morte di Mao avvenne il 9 settembre 1976 e da allora ogni anno il CC del PMLI, a nome
del quale mi onoro di parlare, commemora questo grande maestro del proletariato
internazionale per ricordare e rendere, da una parte, il doveroso omaggio alle sue epiche
imprese rivoluzionarie che hanno segnato il corso della storia e a colui che ha ispirato e
influenzato in modo decisivo la nascita del PMLI, peraltro dando la vita
marxista-leninista ai primi quattro pionieri, e, dall'altra, per continuare a vivere e a
crescere quotidianamente da marxisti-leninisti avendo bisogno dei suoi preziosi
insegnamenti come ogni uomo ha bisogno dell'aria per respirare.
Non appena smettiamo di studiare e applicare il marxismo-leninismo-pensiero di Mao
sentiamo subito l'affanno, le tossine della borghesia entrano in circolo senza incontrare
ostacoli di sorta, iniziano ad avvelenarci e a far degenerare anche il militante più
robusto, fino a portare alla sua morte politica. Ciò che era rosso diventa nero.
Degenerazioni di questo genere si sono ripetute nella storia recente e passata e chissà
quante volte ancora sono destinate a ripetersi in futuro. Hanno interessato sia eminenti
esponenti della II Internazionale ai tempi di Marx ed Engels, sia dirigenti di quelli che
un tempo sono stati gloriosi Stati socialisti come l'Urss e la Cina, colpiscono i grandi
come i piccoli partiti. Non ci debbono stupire né impressionare né demoralizzare.
L'importante è essere coscienti e così potremo fronteggiarla meglio e meglio vincerla.
Non c'è altro modo di disintossicarci dal veleno propinatoci dalla borghesia e
dall'imperialismo che respirare a pieni polmoni l'ossigeno del marxismo-leninismo-pensiero
di Mao e partecipare attivamente alla lotta di classe.
Magari qualcuno potrebbe obiettare: ma che c'entra Mao, vissuto nel lontano continente
asiatico e scomparso 23 anni fa, con il mondo e l'Italia di oggi? Noi siamo certi che da
questo discorso e dal successivo dibattito emergerà che di Mao, del suo esempio, del suo
pensiero, delle sue preziose lezioni non possiamo fare a meno se non vogliamo perdere
l'orientamento proletario rivoluzionario e rimanere frastornati dalla Babele di
interpretazioni, speculazioni e falsificazioni con cui la borghesia e i suoi servi
giustificano i peggiori crimini ai danni del proletariato e dei popoli del mondo. Pensate
alle scandalose giustificazioni che hanno accompagnato l'aggressione imperialista alla
Serbia dall'inizio alla fine. Pensate alle nuvole d'incenso sparso a piene mani dai mass
media per salutare e omaggiare la nascita del governo guerrafondaio del rinnegato D'Alema,
di Gladio, della controriforma neofascista presidenzialista e federalista, piene di un
odore che si fa particolarmente acre e insopportabile ogniqualvolta si tratta di sostenere
il suo operato e le sue decisioni e misure neofasciste e antipopolari.
Questi due recenti avvenimenti, l'aggressione imperialista alla Serbia e la formazione del
governo D'Alema, richiedono da parte nostra un'attenta e approfondita riflessione tali e
tante sono le novità storiche da essi costituite e le ripercussioni che hanno avuto e
soprattutto provocheranno in futuro.
RICONOSCENZA E GRATITUDINE DEL PMLI A MAO
Chi, come il PMLI, è nato e
cresciuto in mezzo alle tempeste antimperialiste che squassavano gli anni Sessanta e
Settanta, quando vede con quale impune tracotanza l'imperialismo la fa da padrone nel
mondo d'oggi, non può non stringere e rendere d'acciaio il suo vincolo di riconoscenza
verso Mao. Riconoscenza per l'esempio di una vita leggendaria dedicata alla lotta
antimperialista, anticolonialista e rivoluzionaria dei popoli dei cinque continenti, e
gratitudine per l'immortale patrimonio di insegnamenti che da ciò ha saputo trarre e
trasmettere a noi e alle generazioni future affinché l'imperialismo morda la polvere
così come era accaduto in più circostanze quando Mao era in vita.
Ecco perché Mao non è mai morto e il nostro non è un pessimistico sentimento di
nostalgia che sovente frena le generazioni meno giovani e le ritrae dal tuffarsi e dal
vivere il presente e dal guardare il futuro con immutate fiducia e combattività.
Certo non è più fra noi quale punto di riferimento vivente oltreché ideale che
illuminava il nostro cammino e semplificava l'orientamento e le scelte degli oppressi, i
quali ovunque vivessero e lottassero guardavano alla Cina di Mao esattamente come in
precedenza si volgevano all'Urss di Lenin e Stalin. Eppure non ci sentiamo orfani di Mao,
come non lo sono mai stati i marxisti-leninisti in 151 anni di vita allorché uno dopo
l'altro hanno visto morire prima Marx, poi Engels, Lenin, Stalin. Perché sappiamo che si
tratta di una legge della natura e chissà ancora quanti grandi maestri da qui al
comunismo darà alla luce il grembo fecondo del proletariato e della causa del socialismo.
Ci sentiamo viceversa, anche se il PMLI è un piccolo Partito, maggiormente
responsabilizzati, più consapevoli del nostro ruolo e dei compiti che ci spettano.
Quando nell'agosto 1895 morì Engels, il Lenin che ricorda ai russi in un articolo
commemorativo di aver perduto "il loro migliore amico" mentre dedica "memoria
imperitura al grande combattente e maestro del proletariato" (1) è
uno sconosciuto venticinquenne assai lontano dal rappresentare l'erede e il continuatore
dei fondatori del socialismo scientifico, ciononostante non furono i più grandi ed
esperti partiti della II Internazionale capeggiati da eminenti intellettuali ed esponenti
che avevano goduto delle lezioni dirette e personali di Engels a fare e a vincere la
rivoluzione ma proprio quel piccolo nucleo di rivoluzionari russi che grazie a Lenin
muovevano i primi passi per dar vita in seguito al partito bolscevico che avrebbe
scatenato e guidato alla vittoria la rivoluzione russa in quel bastione della reazione
europea che era l'autocrazia zarista.
Che importa se siamo piccoli e apparentemente deboli! Forse erano grandi e forti Marx ed
Engels quando scrissero il "Manifesto del Partito Comunista"? Era grande
e forte Lenin quando si trattava di demolire il populismo per riuscire a garantire lo
sviluppo del socialismo scientifico in Russia? Era grande e forte Stalin quando alla morte
di Lenin iniziò la costruzione del socialismo in un solo paese, assediato dall'aggressiva
coalizione delle potenze imperialiste europee, e quando l'Urss fu proditoriamente invasa
dalle orde nazifasciste? Era grande e forte Mao alla vigilia della leggendaria Lunga
Marcia di 12 mila chilometri e davanti alla storica rottura con l'Urss, a cui il rinnegato
revisionista Krusciov aveva cambiato colore, trasformandola da dittatura del proletariato
a dittatura della borghesia? Sono stati a lungo piccoli e apparentemente deboli loro che
pure sono diventati dei giganti della storia. Perché mai non potrebbe diventarlo anche il
PMLI che di loro è discepolo acuto e fedele?
Oggi che la borghesia, ringalluzzita per essere riuscita a cancellare il socialismo dalla
faccia della terra, si sente più che mai onnipotente e il sistema imperialista domina
senza contrasti in grado di impensierirlo, il nostro nemico sembra ancor più grande e noi
ancor più piccoli. Ma le apparenze non traggano in inganno. "Se una cosa è
grande, non bisogna averne paura. Ciò che è grande è destinato a essere rovesciato da
ciò che è piccolo, e questo diventerà grande. ( ) Chi dispone di forze esigue, ma
è legato al popolo, è forte; chi dispone di forze ingenti, ma è contro il popolo, è
debole" (2).
Così si esprimeva Mao in una conversazione con due personalità dell'America Latina nel
1956, quantunque all'epoca il socialismo vivesse una stagione esaltante e non conoscesse
gli attuali ostacoli la sua avanzata nei confronti di un sistema imperialista aggressivo e
pronto ad atterrire i popoli col ricatto atomico ma pur sempre costretto sulla difensiva
assediato com'era dalla rivoluzione e dai popoli dei cinque continenti.
Eppure anche allora c'era chi, intimorito dal ricatto atomico e frastornato e confuso dai
sermoni piagnucolosi e codardi dei revisionisti antichi e moderni alla Nenni e Togliatti,
ne rimaneva paralizzato e rischiava di ritrarsi dalla lotta di classe e di confidare nella
benevolenza dell'imperialismo piuttosto che nella iniziativa dei popoli oppressi.
Mao non si è stancato mai di ripetere davanti alle tremende prove fronteggiate e superate
un principio che non dobbiamo mai dimenticare: " l'imperialismo e tutti i
reazionari hanno una duplice natura - sono al tempo stesso tigri vere e tigri di carta.
( ) le classi reazionarie, retrograde, decadenti hanno conservato questa duplice
natura anche di fronte alle lotte mortali condotte dal popolo. Da un lato, erano tigri
vere, divoravano gli uomini, li divoravano a milioni, a decine di milioni. La causa della
lotta popolare ha attraversato un periodo di difficoltà e dure prove, e il suo cammino è
stato molto tortuoso. Per abbattere il dominio dell'imperialismo, del feudalesimo e del
capitalismo burocratico in Cina, il popolo cinese ha impiegato più di cento anni, e ha
dovuto sacrificare decine di milioni di vite prima di raggiungere la vittoria nel 1949.
Dunque non erano forse tigri vive queste, tigri di ferro, vere tigri? Ma alla fine si sono
trasformate in tigri di carta, tigri morte, tigri di ricotta. Questi sono fatti storici.
Forse che non si sono visti, non se n'è sentito parlare? E in realtà ce ne sono stati
migliaia, decine di migliaia! Migliaia, decine di migliaia! Quindi, l'imperialismo e tutti
i reazionari, valutati nella loro essenza, con criterio lungimirante e da un punto di
vista strategico, devono essere visti per ciò che sono: tigri di carta. Su questo si basa
il nostro concetto strategico. D'altra parte, essi sono anche tigri vive, tigri di ferro,
vere tigri che possono divorare gli uomini. Su questo si basa il nostro concetto
tattico". (3). Laureatosi alla macchia con lo studio vivo, condotto sul campo, di un'esperienza
ricchissima e stimolante e grazie alle sue straordinarie capacità di guardare
criticamente alle migliori tradizioni di pensiero cinesi, Mao è un maestro insuperabile
di dialettica materialista e la padroneggia con sicurezza. E lui ci ha insegnato appunto a
disprezzare il nemico dal punto di vista strategico, per considerarlo seriamente dal punto
di vista tattico.
Disprezziamo l'imperialismo anche se sembra onnipotente e incontenibile, disprezziamo il
governo D'Alema anche se sembra aver messo il morso al proletariato e dettare impunemente
la sua politica neofascista e antipopolare. Il loro destino è segnato, non si potranno
sottrarre alla stessa legge della storia che ha condotto alla disfatta il nazismo e il
fascismo e rinnegati come Mussolini. Quanti più crimini commettono contro il proletariato
e i popoli, tanti più debiti avranno contratto nei loro confronti, quanto più a lungo
impediranno ogni manifestazione di dissenso e protesta, tanto più violenta e devastante
sarà la ribellione e più ampio il fronte di lotta che porteranno al loro annientamento.
LA NUOVA DOTTRINA IMPERIALISTA DELLA "INGERENZA UMANITARIA"
Ora si sono resi colpevoli di un altro crimine brutale, l'aggressione imperialista alla
Serbia. Sinistramente il secolo si chiude con una guerra in quella stessa penisola
balcanica dove all'inizio del Novecento era precipitata la crisi da cui prese le mosse la
prima guerra mondiale. Mai era accaduto da oltre mezzo secolo che la guerra avesse per
teatro un'area nevralgica del Vecchio continente e arrivasse a lambire l'Italia, ridotta
dal governo D'Alema a potenziale bersaglio del fuoco serbo e nel contempo a sterminata
portaerei da cui si sono levati in volo i caccia Usa, Nato e italiani coi loro carichi di
distruzione e morte e sui cui cieli si è rischiato lo scontro armato con gli aerei serbi.
D'un colpo è svanita l'illusione che i paesi cosiddetti progrediti e più
industrializzati fossero in qualche modo vaccinati e immuni dalla guerra, una faccenda
sporca riservata soprattutto ai paesi poveri e arretrati, e si fossero guadagnati una
sorta di pace sicura dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della "guerra
fredda" tra imperialismo occidentale e socialimperialismo sovietico. E mai era
accaduto prima, che un avvenimento di questa gravità e portata godesse di un così ampio
unanimismo internazionale, frutto della nuova situazione internazionale, ossia
dell'egemonia assoluta dell'imperialismo sui paesi e i popoli del Terzo mondo,
saccheggiati economicamente, minacciati e schiacciati militarmente e ridotti politicamente
al silenzio. La scomparsa di Mao e della Cina socialista, trasformata dai rinnegati
revisionisti cinesi in una dittatura di tipo fascista, li ha privati del punto di
riferimento e orientamento politico e dell'indomita fortezza e retrovia antimperialista
facendo peraltro venire meno un deterrente contro l'espansionismo e l'aggressività
imperialista ai loro danni.
I 19 paesi appartenenti alla Nato hanno goduto dell'impunità e della copertura
internazionale fornita dall'Onu e dalla benedizione divina del papa nero Wojtyla come se
fossero i protagonisti di una moderna crociata contro i serbi, nel ruolo degli infedeli
saraceni. La "guerra santa" è stata chiamata "guerra umanitaria"
ma per il resto poco è cambiato. "Questa sporca aggressione imperialista - spiega il
compagno Scuderi - è avvenuta in flagrante violazione della carta dell'Onu, del diritto
internazionale e del principio della inviolabilità della sovranità statale. E già i
teorici e i giuristi borghesi al servizio dell'imperialismo ragionano della necessità di
un nuovo diritto internazionale che, sulla base della 'ingerenza umanitaria' e dei
'diritti umani', consenta a un paese o a un'alleanza di paesi di intervenire militarmente
per tutelare questi cosiddetti 'diritti umani'" (4). Riflettiamo su ciò che denuncia
il compagno Scuderi e si dissolveranno quei dubbi e ambiguità sparsi dagli imperialisti e
i loro servi.
È vero che le responsabilità del conflitto tra il Kosovo e la Serbia cadono sulle spalle
del rinnegato, fascista e macellaio Milosevic, responsabile della "pulizia etnica"
ai danni del popolo kosovaro-albanese e di una politica di egemonismo regionale della
grande Serbia, peraltro non nuova nella storia anche se ai nostri giorni risulta
prevalentemente indirizzata nei confronti dei paesi che partecipavano e partecipano alla
Federazione jugoslavia. È vero che noi marxisti-leninisti italiani siamo al fianco del
popolo kosovaro-albanese oppresso, massacrato, umiliato, depredato di tutto e deportato
fuori dalla sua terra e sosteniamo il suo diritto a essere lasciato libero di decidere il
proprio destino senza alcuna ingerenza esterna e nel pieno rispetto di tutte le minoranze
che vivono nel Kosovo, compresa quella serba.
Ma è anche vero che l'imperialismo occidentale ha preso a pretesto la difesa dei "diritti
umani" dei kosovari-albanesi per aggredire uno Stato sovrano e indipendente che
rifiutava di piegarsi ai diktat dell'imperialismo americano ed europeo e di svendere la
propria indipendenza all'Unione europea, un pretesto per assicurarsi il controllo militare
dei Balcani, un pretesto per lanciare un avvertimento alla Federazione russa e al mondo
intero su chi detta legge nelle questioni internazionali. Tant'è che oggi il Kosovo non
è né più libero né più indipendente di qualche mese fa ma conosce un semplice
avvicendamento della guardia: ieri era sotto il tallone di ferro della Serbia del
rinnegato e fascista Milosevic, oggi è ridotto a un protettorato occidentale ed è
ripartito in cinque zone controllate da Usa, Italia, Gran Bretagna, Germania e Francia
(alla Russia, come è noto, non è stato affidato il comando di alcuna zona) ed è
occupato militarmente dai contingenti di oltre 25 paesi, mentre è destinato a terreno di
caccia dei monopoli dei paesi più industrializzati allettati dagli astronomici profitti
derivanti dall'opera di ricostruzione.
Al rinnegato D'Alema che si rallegra della garanzia democratica costituita dalla presenza
in Kosovo di oltre 25 paesi sotto l'egida dell'Onu, ricordiamo che anche alla guerra di
aggressione alla Corea presero parte nel 1950 ben sedici paesi, anche allora il
guerrafondaio Truman si faceva scudo dell'Onu per giustificare l'attacco militare, anche
allora quei sedici paesi aggressori si dicevano amanti della pace e rovesciavano sulla
Cina socialista e la Corea l'accusa di aggressione. Che cosa è cambiato nel frattempo?
Semplicemente i protagonisti, che annoverano oggi tra i più sfegatati guerrafondai il
rinnegato D'Alema.
Per quanto pretendano di presentarsi come disinteressati paladini dei cosiddetti "diritti
umani", partecipi delle sofferenze cui sono soggetti quei paesi e popoli che se
li vedono negare e dunque decisi a porvi rimedio ricorrendo a ogni mezzo, economico e
politico, diplomatico e militare, i fautori del principio di "ingerenza umanitaria"
non hanno inventato niente di nuovo, hanno semplicemente escogitato l'ennesima dottrina
imperialista per praticare indisturbati la loro politica di dominio, aggressione ed
espansione. Non c'è stato nella storia un solo lupo imperialista che non abbia sentito il
bisogno di travestirsi da agnello e non sia stato obbligato a coniare slogan ad effetto
per negare, giustificare e abbellire le sue aggressioni. Persino Hitler, nell'invadere
l'Urss di Stalin, si vantava di "salvare l'intera civiltà mondiale dal pericolo
mortale del bolscevismo"; o giustificava l'aggressione nazista della
Cecoslovacchia con la necessità di difendere la minoranza tedesca "oppressa"
dai cechi; o presentava l'occupazione militare dell'Austria con il termine di "annessione",
una sorta di ricompattamento del grande Stato tedesco smembrato e umiliato dal trattato di
Versailles. La negazione dell'inviolabilità della sovranità statale e dell'indipendenza
nazionale di ciascun paese è stato un chiodo fisso per l'imperialismo americano nel
secondo dopoguerra. Per garantire agli Usa la piena libertà di intervento in ogni angolo
della terra Dulles sosteneva che il concetto di sovranità nazionale "è diventato
fuori moda" e la sovranità di un singolo Stato doveva cedere il posto a una
cosiddetta "sovranità congiunta". Non è ancor peggiore la dottrina
imperialista della "ingerenza umanitaria" sostenuta ai nostri giorni
dagli Usa e dall'Ue?
A quanti obiettano che l'ingerenza umanitaria è stato il solo modo per non assistere
passivamente alla tragedia del Kosovo noi rispondiamo che nessuno e per nessuna ragione al
mondo può arrogarsi il diritto di sostituirsi ai paesi e ai popoli interessati e decidere
per loro. Imporre qualsiasi soluzione ai loro problemi dall'esterno è un'intollerabile
ingerenza nei loro affari interni, un'aggressione che lungi dal risolverli li
incancrenisce e li rende ancor più esplosivi. Forse che i criminali bombardamenti e il
protettorato imperialista nel Kosovo hanno avviato a risoluzione una soltanto delle
innumerevoli contraddizioni e questioni sul tappeto alla vigilia della guerra?
Esprimiamo la nostra totale e incondizionata solidarietà al popolo di Timor Est che, per
aver vinto il referendum sull'indipendenza del proprio paese, viene massacrato dai
miliziani filoindonesiani. Questo genocidio deve essere fermato senza l'intervento armato
di alcun paese e della stessa Onu, isolando politicamente e diplomaticamente il regime
fascista di Giacarta, rompendo ogni rapporto con esso e bloccando ogni aiuto economico e
finanziario e ogni vendita di armi all'Indonesia. Questa tragica esperienza conferma
dolorosamente che la libertà e l'emancipazione si conquistano contando sulla lotta di
classe e sulla lotta armata, a cui si è appellato significativamente anche il vescovo
cattolico Belo.
Per continuare a gettare fango sul comunismo, l'imperialismo ha dipinto di rosso il nero
Milosevic e il suo regime fascista, presentandoli all'opinione pubblica come se fossero
gli eredi dell'esperienza comunista. Si tratta di un'altra mostruosa falsità. Il
rinnegato Milosevic non ha niente a che spartire col comunismo. Anche se può sembrare
paradossale, costui è figlio dei rinnegati revisionisti Tito e Krusciov che gli
imperialisti hanno osannato e sostenuto nell'opera di demonizzazione di Stalin e
dell'esperienza storica della costruzione del socialismo in Urss e dunque è un genio
malefico dell'imperialismo e non del socialismo. Esattamente come il rinnegato D'Alema non
ha mai avuto niente di comunista e non può considerarsi che figlio dei capofila del
revisionismo italiano Togliatti e Gramsci.
Contro i rinnegati revisionisti Krusciov e Togliatti e ancor prima contro Tito, venuto
allo scoperto già quando era in vita Stalin, Mao ingaggiò una lotta senza quartiere per
smascherare la natura borghese e controrivoluzionaria del revisionismo moderno e chiamare
all'unità gli autentici marxisti-leninisti: "La cricca dirigente revisionista
dell'Unione Sovietica, la cricca titoista della Jugoslavia e tutte le altre cricche di
rinnegati e di 'gialli' di ogni genere non sono che dei mucchietti di polvere -
scriveva nel 1966 Mao - Essi sono dei servi e degli uomini di paglia prosternati
di fronte agli imperialisti
L'Unione Sovietica, la Jugoslavia e gli altri paesi in cui il potere è nelle mani delle
cricche revisioniste hanno cambiato o stanno per cambiare di natura, restaurando il
capitalismo e passando dalla dittatura del proletariato alla dittatura della
borghesia". (5)
Confrontando la situazione jugoslava di allora con quella di oggi può apparire
paradossale l'affermazione che Milosevic è figlio di Tito, cioè di colui che dette per
primo vita alla Federazione jugoslava. Tuttavia a un esame più approfondito non è
difficile capire che quella federazione nacque grazie al socialismo, perché soltanto
nelle condizioni del socialismo e sulla base paritaria e del libero consenso che essa si
può aggregare, consolidare e sviluppare. Esattamente com'era accaduto quarant'anni prima
all'Urss di Lenin e di Stalin, nata grazie al regime socialista perché si era costituita "sulla
base dei principi dell'eguaglianza e della libera adesione dei popoli
dell'Urss " "una collaborazione fraterna dei popoli, sulla base d'un
reciproco aiuto economico, politico e militare, unendoli in un solo Stato federale
plurinazionale" (6). A dare il primo colpo di piccone alla Federazione
jugoslava fu dunque il suo stesso fondatore, non appena portò il suo affondo contro il
socialismo e lo rovesciò.
Ridotto alla stregua degli stati plurinazionali di tipo borghese, persino l'impero
sovietico ha finito per implodere come l'impero austro-ungarico. Una implosione che ha
dapprima riguardato i confini più esterni e cioè i cosiddetti paesi dell'Est quali
Polonia, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria, Germania Orientale, per poi interessare la
stessa unione delle repubbliche - comprendente in origine circa sessanta tra nazioni,
gruppi nazionali e nazionalità - repubbliche come i paesi Baltici e l'Ucraina se ne sono
distaccate e le rimanenti, come la Cecenia, il Daghestan e magari altre come l'Azerbaigian
e la Georgia e le ricche regioni caucasiche tendono sempre più a separarsi e accentuano
la loro rivolta contro l'oppressione nazionale e lo sciovinismo della nazionalità
dominante costituita dai grandi-russi.
Sopra le spoglie dell'impero sovietico volteggiavano da tempo gli avvoltoi imperialisti ma
del lauto banchetto ha beneficiato anzitutto l'imperialismo europeo, da sempre persuaso
della necessità di sfondare a Est, lungo quella direttrice naturale in grado di
soddisfare i suoi appetiti espansionisti. E così intorno alla ricostituita Grande
Germania ha ripreso slancio il disegno, la riorganizzazione interna e la prepotente
emersione della superpotenza europea, inimmaginabile poco più di un decennio fa. Ebbene,
l'aggressione alla Serbia ha rappresentato una sorta di battesimo militare della
superpotenza europea, quantunque essa abbia in ogni modo cercato di rimandarlo davanti
all'evidente inferiorità e incapacità di competere militarmente con la superpotenza
americana puntando piuttosto a una vittoria politico-diplomatica, attraverso gli accordi
di Rambouillet, andati falliti.
LA UE È LA SUPERPOTENZA IN ASCESA
Tra i partiti italiani solo il PMLI ha condannato con coraggio è coerentemente ai
principi antimperialisti e internazionalisti la natura imperialista dell'aggressione
condotta, "in flagrante violazione della carta dell'Onu, del diritto internazionale e
del principio della inviolabilità della sovranità statale", (7) non soltanto dagli
Usa e dalla Nato ma per la prima volta esplicitamente dalla Unione europea e dall'Italia.
Il documento dell'Ufficio politico del 25 marzo scorso denunciava: "Bombardando la
Serbia e il Kosovo, la Nato si è arrogata il diritto di imporre con le armi la volontà
dell'imperialismo occidentale, non solo quindi dell'imperialismo americano ma anche quello
dell'Unione europea di cui l'Italia è parte integrante, ai paesi del mondo che non
accettano il suo dominio e le sue decisioni. Il governo del rinnegato D'Alema, in
perfetta sintonia con i suoi amici Clinton e Blair, partecipando attivamente e in prima
linea all'aggressione della Federazione jugoslava, rilancia l'Italia in avventure militari
dello stesso stampo di quelle di Mussolini e coinvolge il nostro popolo in guerre
imperialiste che servono unicamente a rafforzare il sistema capitalistico e il potere
della classe dominante borghese." E concludeva rivendicando: "Questo governo
guerrafondaio va spazzato via. Le basi Usa e Nato in Italia vanno chiuse. L'Italia deve
uscire dalla Nato e dalla Ue" (8).
Gli Stati Uniti, che sono stati il solo paese imperialista uscito rafforzato dalla seconda
guerra mondiale grazie alle scarse perdite e distruzioni subite e all'enorme sviluppo
goduto dalla produzione industriale e dalla penetrazione dei suoi monopoli nei mercati
internazionali, continuano a essere l'imperialismo più forte ed egemone. Ma per quanto
ancora? Noi sappiamo che l'ineguale sviluppo dei paesi capitalisti è una legge che agisce
in profondità provocando dapprima piccoli terremoti che alterano di poco i rapporti di
forza e la gerarchia interna al sistema imperialista mondiale e col passare del tempo
porta ripetutamente a brusche rotture degli equilibri esistenti fino a che non avvia una
fase critica di aperta instabilità, destinata prima o poi a sfociare nel conflitto aperto
e nella guerra tra le vecchie e le nuove coalizioni di paesi imperialisti.
Lo scontro per l'egemonia mondiale vede oggi come protagonisti gli Usa, la Ue e il
Giappone. Gli Usa appaiono senza dubbio i più potenti e prepotenti in ogni campo, i più
aggressivi e pericolosi, i più feroci e brutali, eppure sono in declino. La Ue e il
Giappone appaiono più deboli e collaborativi, più pacifici e inclini alle soluzioni
diplomatiche che militari, più cordiali e ragionevoli, eppure sono in ascesa. E
soprattutto la superpotenza europea è destinata nel tempo a prevalere. "All'Unione
europea manca solo di avere - ha spiegato il compagno Scuderi nel suo prezioso Rapporto al
4° Congresso nazionale del PMLI - un governo, una politica estera e di difesa unificati
per poter competere con gli Usa ad armi pari e su tutti i piani e per poter difendere i
suoi interessi, cioè quelli delle sue multinazionali, a livello mondiale." (9)
Queste tre deficienze europee, messe ancor più a nudo dalla guerra, hanno indotto i
circoli dirigenti europei a correre ai ripari e ad accelerare il processo di integrazione
estendendolo dal sistema commerciale, economico e monetario al livello politico e
militare.
Degli innumerevoli fattori che rendono transitorie la superiorità americana e
l'inferiorità europea vogliamo ricordare due. Anzitutto il logoramento a cui va incontro
inevitabilmente un imperialismo come quello Usa cresciuto in modo abnorme per tutto il
Novecento e appesantito dal parassitismo economico e da un costosissimo apparato bellico
indispensabile a garantirgli l'egemonia mondiale nel secondo dopoguerra. E in secondo
luogo la storica opportunità che è stata offerta all'Europa dall'espansionismo a
oriente: questo moderno "Far west" europeo le arricchisce il già
superiore mercato interno di nuovi mercati vergini e recettivi e le spalanca le porte al
saccheggio delle preziose miniere di materie prime che l'aveva frenata in passato.
COMBATTERE ANZITUTTO CONTRO IL PROPRIO IMPERIALISMO
Uno dei tanti riflessi dell'accresciuta rivalità tra Ue e Usa sta nelle crescenti
manifestazioni di insofferenza e avversione nei confronti degli Usa presenti nell'opinione
pubblica italiana; per una metà provocate dalla maggiore consapevolezza maturata dal
popolo italiano in un lungo arco di tempo dei crimini e misfatti di cui si macchiano nel
mondo intero; per l'altra metà indotte astutamente dai circoli dirigenti imperialisti
italiani per giustificare la necessità di una maggiore presenza europea in grado di
contrastarli. Ecco perché il primo dovere degli antimperialisti e internazionalisti
conseguenti è la lotta senza quartiere anzitutto contro il proprio imperialismo, sia esso
italiano o europeo, mettendo in guardia le masse popolari e il proletariato dall'illudersi
che esso sia migliore e interessato unicamente a contestare e rompere il brutale
predominio americano e non aspiri invece a sostituirsi a esso quale gendarme del mondo.
Ridursi a denunciare, come fanno gli imbroglioni neorevisionisti Cossutta e Bertinotti,
l'imperialismo americano tacendo sulle responsabilità dell'Europa e dell'Italia o peggio
imbellettandole e presentandole subdolamente anch'esse come vittime e non predoni, è
quello che Lenin bollò come socialsciovinismo e socialimperialismo, quella sciagurata
politica opportunista dei dirigenti socialdemocratici che tradì l'internazionalismo
proletario e la causa del socialismo e sposò le "ragioni" della propria
borghesia nel macello della prima guerra mondiale. "Proletari di tutti i paesi unitevi!" , questo grido che Marx ed Engels
levarono oltre centocinquanta anni fa dalle pagine del "Manifesto" deve
continuare a risuonare e ad animare i proletari di oggi. Non lasciatevi irretire dal
nazionalismo e dall'imperialismo e tenete sempre alta la bandiera dell'internazionalismo
proletario.
Ci voleva un rinnegato del comunismo come D'Alema alla carica di presidente del Consiglio
per gettare l'Italia nell'avventura della guerra e per varare o approntare leggi e
politiche neofasciste e antipopolari che non erano riuscite in cinquant'anni ai governi
democristiani né a Craxi né a Berlusconi. Alla faccia di chi si sente più tranquillo
con un ministro "comunista" o con un governo di "centro sinistra"
piuttosto che con uno apertamente di destra. In realtà a sentirsi più tranquilla, com'ha
ripetuto a più riprese Agnelli, è la grande borghesia quando affida l'amministrazione
dei suoi affari nelle mani di rinnegati come D'Alema, Cossutta, Bertinotti, perché
costoro le assicurano, almeno per un certo tempo, quella "pace sociale" che ben
difficilmente riescono a strappare i leader apertamente di destra. Ricordate la vicenda
delle pensioni che infiammò le piazze e portò alla caduta del governo Berlusconi e
guardate quel che accade oggi che, al di là delle polemiche demagogiche e strumentali, il
presidente del Consiglio e i leader sindacali giocano sulla pelle dei lavoratori e dei
pensionati a scavalcarsi a destra con proposte decisamente peggiori di quelle avanzate a
suo tempo da Berlusconi.
I MISFATTI DEL GOVERNO D'ALEMA
La salita al governo di D'Alema costituisce il completamento storico del tradimento della
causa del proletariato e del socialismo avviato dai dirigenti revisionisti come Bordiga,
Gramsci e Togliatti nel momento stesso in cui veniva giustamente fondato nel 1921 l'allora
PCd'I a Livorno.
In passato i revisionisti abbattevano un tabù alla volta e impiegavano anni per farli
ingoiare alle masse popolari. Slogan come "il salario non è una variabile
indipendente" oppure "mi sento più sicuro sotto l'ombrello della Nato"
hanno rappresentato delle svolte dibattute e giustificate a lungo. Ora non è più così.
D'Alema ha sbriciolato ogni differenza sostanziale tra la sinistra e la destra
parlamentare fino a renderle indistinguibili in tutto. Ecco perché noi le abbiamo
denunciate e definite per tempo sinistra e destra del regime neofascista. D'accordo,
prendiamo atto che hanno definitivamente abbandonato il terreno delle dispute ideologiche,
dando per scontata la comune adesione all'ideologia liberale e liberista della borghesia.
Ma forse riuscite a distinguere le loro politiche programmatiche, quella del governo
D'Alema da quella di un governo Berlusconi?
Sapevamo che era peculiarità della sinistra parlamentare difendere l'esercito di leva per
garantirne il carattere difensivo e in qualche modo un controllo popolare, ed era di
destra invocare l'esercito professionale sul modello dei famigerati parà della Folgore.
Ebbene se in Italia avremo un esercito interventista interamente professionale è merito
del governo D'Alema che nel Consiglio dei ministri del 3 settembre ha varato un disegno di
legge che sopprime la leva obbligatoria a partire dal 2005.
Sapevamo che la sinistra parlamentare riteneva sacra e inviolabile la centralità del
parlamento, ed era di destra sottrargli competenze e poteri a favore dell'Esecutivo, del
presidente della repubblica e dei vertici politico-istituzionali. Eppure ci voleva il
governo D'Alema per calpestare così spudoratamente la sovranità del parlamento inviando
in volo i caccia italiani a bombardare la Serbia mentre ancora era in corso il dibattito
in aula. E che non si sia trattato di un semplice disguido ci ha pensato D'Alema in prima
persona a riaffermarlo, laddove nel suo recentissimo libro-intervista sulla guerra in
Kosovo, lamenta l'anomalia italiana rispetto ai paesi europei, dove "su scelte
simili non si vota neppure in parlamento" (10), mentre invoca "la delega
a pochi", quale "condizione di funzionamento della democrazia moderna"
(11), attraverso "l'attribuzione di compiti particolari nel campo della difesa al
presidente della Repubblica eletto dai cittadini" (12). E in un sussulto di
ducismo sfrenato, che trova pari neppure in Craxi e forse solo in Mussolini, sostiene che
:"In una situazione eccezionale è consentito al governo di interpretare il suo
mandato con margini anomali" (13), giacché "l'eccesso di
democrazia emargina dalle sedi dove si decide" (14) e "il rischio
peggiore è stare in un paese che non conta niente, espulso dai luoghi dove si decide".
Insomma, a detta del nuovo "Uomo della Provvidenza", per essere un paese di
serie A e contare tra i paesi imperialisti più forti, la democrazia parlamentare borghese
è diventata un optional a tutto vantaggio del presidenzialismo neofascista.
Sapevamo che era di sinistra difendere la scuola pubblica e la sua centralità e rifiutare
qualsiasi ipotesi di finanziamento della scuola privata, ed era di destra essere paladini
di una fantomatica libertà di istruzione da garantire mediante l'equiparazione
pubbliche-private e finanziamenti paritetici alle scuole private. Se il Vaticano esulta e
con esso quei democristiani come Andreotti che non vi riuscirono quantunque possedessero
il controllo assoluto dei governi per oltre un quarantennio, è merito ancora una volta di
D'Alema che non si è limitato a foraggiare la scuola cattolica e confindustriale ma l'ha
elevata al rango di scuola pubblica.
Sapevamo che la sinistra parlamentare rivendicava una presenza significativa dello Stato
nell'economia anche attraverso un tessuto articolato di imprese statali nei settori
strategici, ed era di destra sostenere la libertà assoluta del mercato e la
privatizzazione di ogni settore economico e persino del settore dei servizi. Eppure il
governo D'Alema passerà come il governo che ha liberalizzato e privatizzato l'Enel e ha
avviato o attuato il più massiccio piano di privatizzazione nei settori strategici
dell'energia, autostradale, areoportuale, bancario e in quelli più avanzati delle
telecomunicazioni, per non parlare della privatizzazione dei servizi pubblici locali.
Sapevamo che era di sinistra difendere la previdenza pubblica e di destra svuotarla a
tutto vantaggio della previdenza integrativa privata, eppure le due controriforme che
hanno falcidiato le pensioni dei lavoratori nel '92 e nel '95 hanno come padri Amato e
Dini, due ministri del suo governo, mentre D'Alema si appresta a dare la spallata
definitiva al sistema previdenziale pubblico cancellando del tutto le pensioni di
anzianità ed estendendo a tutti il calcolo contributivo usato per il calcolo attuariale
delle pensioni private.
Sapevamo che era di sinistra sostenere la causa dell'emancipazione femminile anche
attraverso il potenziamento dei servizi sociali, sanitari e assistenziali ed era tipica
della destra cattolica, democristiana e fascista la politica sociale familista che pone la
famiglia, fondata sul matrimonio meglio se cattolico e unicamente eterosessuale, come
soggetto privilegiato dei diritti economici e sociali invece delle masse lavoratrici,
femminili e popolari. Eppure è il governo D'Alema a moltiplicare i sussidi alla
maternità e alle famiglie numerose e povere elevando peraltro a legge dello Stato il
principio reazionario e cattolico del "solidarismo familiare".
Per tutte queste ragioni e per le mille altre che non possiamo qui elencare tutte, il
governo D'Alema è il peggiore governo del dopoguerra, nonostante la foglia di fico della
presenza dei ministri cossuttiani e la benevola opposizione del PRC di Bertinotti. È un
nemico mortale del proletariato e delle masse popolari che prima sarà spazzato via meglio
sarà. E un duro colpo possiamo infliggere tanto al governo D'Alema quanto al Polo di
Berlusconi estendendo e qualificando l'astensionismo alle elezioni regionali che si
terranno nella prossima primavera.
Il compagno Scuderi ha giustamente spiegato: "Un passo dietro l'altro, con una
velocità impressionante, non concessa nemmeno al governo Berlusconi che è uno dei
maggiori alfieri della seconda repubblica, sta smantellando legalmente la prima repubblica
democratica borghese, ivi inclusa la sua Costituzione, ed edificando un nuovo regime
fascista. In ciò aiutato dal nuovo presidente della repubblica, l'ex avanguardista, ex
ufficiale dell'esercito di Mussolini ed ex azionista, in odore di massoneria.
Quando saranno approvate la nuova forma di governo, la nuova forma di Stato e la nuova
legge elettorale la restaurazione del fascismo sotto nuove forme e nuovi mezzi e vessilli
sarà pienamente compiuta.
Il vecchio e il nuovo fascismo, quello di Mussolini e quello di D'Alema, hanno diversi
punti in comune. Sottomettere la classe operaia e i lavoratori alla borghesia attraverso
il corporativismo e la collaborazione tra le classi, stabilizzare e rafforzare il potere
della borghesia, sostenere l'imperialismo italiano in modo da competere ad armi pari con
gli altri imperialismi, fare la guerra in nome degli 'interessi vitali della nazione'.
Solo che Mussolini usava più il manganello che l'inganno, mentre D'Alema usa più
l'inganno che il manganello." (15)
Il risveglio della classe operaia passa anche da un più rapido e consistente ingresso
degli anticapitalisti e dei rivoluzionari nel PMLI.
Il PMLI è una certezza e insieme una speranza, scriveva recentemente un compagno nella
domanda di ammissione al Partito. La certezza non può essere cancellata da nessuno, e sta
nel ricco patrimonio di idee, esperienze e uomini accumulato nei 32 anni che ci separano
dacché i primi quattro pionieri cominciarono a compiere i primi passi della nostra Lunga
marcia. La speranza è riposta nei suoi attuali militanti e quadri chiamati a non tradirla
ma assai di più è riposta nei tanti anticapitalisti e rivoluzionari che devono rompere
ogni indugio e militarvi. Gli indugi sono di diversa natura, personale e politica, e
frenano le giovani generazioni e i militanti di vecchia data che si attardano nel PRC e
nel PdCI nell'illusione che questi partiti possano in qualche modo risultare utili alla
causa del proletariato e del socialismo e invece la intralciano. Noi li invitiamo alla
scelta coraggiosa di diventare marxisti-leninisti e siamo certi che insieme riusciremo a
costruire un grande forte e radicato Partito marxista-leninista per combattere la seconda
repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista e realizzare l'Italia
unita, rossa e socialista. Per quanto possano sembrare enormi i problemi che siamo
chiamati a fronteggiare e vincere, anche noi marxisti-leninisti italiani daremo uno sbocco
vittorioso alla nostra Lunga marcia perché come insegna Mao: "Il mondo è fatto
di contraddizioni. Senza contraddizioni, il mondo cesserebbe di esistere. Il nostro
compito consiste nel risolvere queste contraddizioni in modo corretto. Potremo noi, nel
corso della pratica, dare ad esse una soluzione interamente soddisfacente? A questo
proposito, dobbiamo essere pronti a due eventualità. Inoltre nel risolvere queste
contraddizioni, ne incontreremo di nuove, incontreremo nuovi problemi. Ma come abbiamo
detto spesso, il cammino è tortuoso, l'avvenire è radioso" (16).
Coi maestri vinceremo!
Note
Lenin, Friedrich Engels, autunno 1895. Lenin, Opere complete vol. 2 pag. 18
Mao Zedong, L'imperialismo è una tigre di carta, 14 luglio 1956. Mao Zedong,
Rivoluzione e costruzione, pag. 413, Einaudi editore
Mao Zedong, Intervento a una riunione dell'UP del PCC tenutasi a Wuchang, 1° dicembre
1958. Sta in Mao, Opere scelte, vol. IV pagg. 94-95, Edizioni in lingue estere, Pechino
1975
Giovanni Scuderi, Che la classe operaia si risvegli e prenda la direzione della lotta
contro l'imperialismo, per l'Italia unita, rossa e socialista. 5 giugno 1999. Pubblicato
su "Il Bolscevico" n. 24/1999, pag. 3
Mao Zedong, Messaggio di felicitazioni al V Congresso del PLA, 25 ottobre 1966. Mao
Zedong, Sulla lotta contro il revisionismo moderno, edizioni "Il Bolscevico",
pagg. 9-10
Stalin, Sul progetto di costituzione dell'Urss, 25 novembre 1936. Stalin, Questioni del
leninismo, Edizioni in lingue estere di Mosca, 1946, pag. 557
Documento dell'Ufficio politico del PMLI, Fermiamo l'aggressione imperialista alla
Serbia. Spazziamo via il governo guerrafondaio del rinnegato D'Alema, Firenze 25 marzo
1999. Pubblicato su "Il Bolscevico" n. 14/1999 pag. 1
Ibidem
Giovanni Scuderi, Rapporto al 4° Congresso nazionale del PMLI, 26 dicembre 1998. 4°
Congresso nazionale del Partito marxista-leninista italiano, Documenti, pag. 23
Massimo D'Alema, Kosovo gli italiani e la guerra, Mondadori, pag. 35
Ibidem, pag. 38
Ibidem, pagg. 36-37
Ibidem, pag. 35
Ibidem, pag. 37
Giovanni Scuderi, Che la classe operaia si risvegli e prenda la direzione della lotta
contro l'imperialismo, per l'Italia unita, rossa e socialista. 5 giugno 1999. Pubblicato
su "Il Bolscevico" n. 24/1999, pag. 4
Mao Zedong, Sui dieci grandi rapporti, 25 aprile 1956. Edizioni in lingue estere di
Pechino, pag. 34