Intervista del ministro della Difesa alla compiacente "la Repubblica''
MARTINO: "L'ITALIA E' PRONTA A OFFRIRE I SUOI SOLDATI''
"Stiamo dando agli Stati Uniti tutto l'appoggio possibile"

Ormai è chiaro che l'imperialismo italiano, capeggiato da Ciampi e Berlusconi, vuole essere tra i primi della classe nello spalleggiare Bush nella guerra dichiarata agli Stati sospettati di sostenere il terrorismo, e freme per parteciparvi attivamente e possibilmente fin dalle prime operazioni belliche.
In proposito basta leggere l'intervista rilasciata dal ministro della Difesa Antonio Martino, che alla compiacente la Repubblica di giovedì 20 settembre, sostanzialmente illustra le decisioni prese dal Consiglio supremo di difesa convocato da Ciampi il 14 settembre, a cui Martino ha partecipato assieme al capo dell'esecutivo e ai ministri degli Esteri, dell'Interno, Economia e Attività produttive.
"Se ci sarà - ha avvertito Martino - un'operazione militare nei confronti del terrorismo, l'Italia farà fino in fondo la sua parte. Se questo dovesse comportare l'impiego di truppe, l'Italia è disposta anche a fornire i suoi soldati''. Anzi, il governo ha già stabilito chi partirà per primo: "soprattutto - dice il ministro - i reparti speciali: gli incursori della Marina, i paracadutisti del Col Moschin o il battaglione San Marco. Bisognerà vedere dove, e come, ci verrà chiesto di partecipare all'operazione''. Comunque sia, ha aggiunto Martino, "noi stiamo dando agli Stati Uniti tutto l'appoggio possibile, a cominciare dalla massima protezione delle basi Nato in Italia''. A suo dire l'Italia si trova di fatto già in guerra e pronta a schierare le sue truppe al primo cenno di Bush "sia tra qualche giorno, o tra qualche settimana''. Tuttavia si guarda bene dall'usare il termine "guerra'', sostituendolo eufemisticamente con quello di "operazione militare antiterrorismo'', un modo sporco e subdolo per non allarmare, da una parte, l'opinione pubblica italiana e, dall'altra, per esautorare con sottile formalismo il parlamento dal diritto-dovere costituzionale di dare il "nulla osta'' preventivo a qualsiasi azione bellica attribuendo ogni potere al governo del neoduce Berlusconi.
Infatti secondo Martino l'Italia è pronta a spedire i suoi soldati in guerra e per far ciò: "Non è necessario un voto del Parlamento, dopo che la Nato ha deciso di avviare le procedure previste dall'articolo 5''. "Se ricevessi in questo momento una telefonata da lord Robertson che mi dicesse `guarda, abbiamo deciso di fare questo', - aggiunge sbrigativamente - io immediatamente informerei il Quirinale, Palazzo Chigi, poi i ministri interessati e subito a ruota, gli esponenti delle opposizioni. Quindi informerei tempestivamente il Parlamento. Ma entreremmo subito in azione, senza aspettare alcun dibattito parlamentare, specialmente se dovesse essere un'azione a sorpresa''.- Queste parole hanno suscitato la protesta delle opposizioni parlamentari al governo che, attraverso una nota successiva del ministero della Difesa, ha cercato di attenuare sostenendo che con l'eventuale partecipazione dell'Italia alle "operazioni contro il terrorismo'' "nell'attuale situazione non si configura il ricorso alla deliberazione dello stato di guerra spettante, secondo l'articolo 78 della Costituzione, alle Camere'', forte peraltro del consenso del presidente della Corte costituzionale Baldassarre secondo cui: "Non serve il voto del Parlamento perché questa non è una guerra'' (sic!).
Tuttavia le polemiche sollevate dalle opposizioni del "centro-sinistra'' sull'arrogante esautoramento del parlamento a proposito di una materia così delicata si risolvono in obiezioni di tipo formale e non sostanziale dal momento che, a parte qualche insignificante distinzione, sono pronte a votare a favore di un intervento militare italiano.
Infatti il candidato alla segreteria della Quercia Giovanni Berlinguer, nonostante giudichi incondivisibile l'idea di Martino, ritiene che il governo si stia muovendo con apprezzabile "prudenza e oculatezza'' senza "sbandamenti'', "se l'intervento dei nostri militari fosse necessario per un'azione armata tesa a identificare e punire i terroristi, direi di sì''. In sostanza quello che rode ai DS è il fatto che la maggioranza ha respinto la loro proposta di usare la sede parlamentare per il confronto maggioranza-opposizione per gestire l'eventuale scenario di guerra, eppure essi dovrebbero ben ricordare che fu l'allora presidente del Consiglio D'Alema ad agire nello stesso modo quando si trattò di far partire dall'Italia l'aggressione militare e i bombardamenti alla Serbia senza che il parlamento l'avesse deciso.

26 settembre 2001