LE MENZOGNE DI GOVERNO E CONFINDUSTRIA SULL'ARTICOLO 18

Sia il capo del governo Berlusconi, che il presidente della Confindustria D'Amato negano spudoratamente che la modifica dell'art.18 della legge 300 ("Statuto dei lavoratori'') abbia come fine (politico) la libertà di licenziamento senza "giusta causa'' e di conseguenza la riduzione dei diritti fondamentali dei lavoratori in azienda e del potere contrattuale dei sindacati. E sostengono, sapendo di mentire, che i licenziamenti facili favorirebbero l'emersione del "lavoro nero'', il passaggio di tanti lavoratori dal contratto a tempo determinato a quello indeterminato, la crescita delle dimensioni delle piccole aziende sotto i 15 dipendenti, l'aumento di nuova occupazione. Sostengono queste tesi senza portare nessuna argomentazione fondata e valida, con vuote promesse propagandistiche.
In cambio di meno diritti, un'occupazione per i giovani, è quanto il governo vorrebbe far credere. "Se sei disoccupato - dice infatti il ministro Tremonti - preferisci andare a lavorare con la deroga dell'articolo18 piuttosto che stare a casa''. Per quanto cinico, arrogante e assolutamente inaccettabile sia questo scambio, il lavoro verrebbe dato loro per davvero? Noi sosteniamo di no! Non c'è un legame tra deroga dall'art.18 e aumento dell'occupazione, se non in una misura insignificante. In nessuno dei casi in cui il governo chiede i licenziamenti facili c'è infatti garanzia di maggior lavoro.
Per quanto riguarda il "lavoro nero''. Le misure prese dal governo per favorire l'emersione del "lavoro nero'', agevolazioni fiscali, deroghe dai contratti nazionali, salari più bassi, ecc. hanno fatto sostanziale fallimento, solo 150 aziende hanno chiesto di essere regolarizzate per un introito nelle casse dello Stato di appena 8 miliardi invece dei 6 mila previsti. Niente fa prevedere che con la deroga all'art.18 questa situazione possa mutare, anche perché le aziende a "nero'' praticamente sono tutte sotto la soglia in cui agiscono le garanzie sindacali e vi è già la libertà di licenziamento.
Per i contratti di lavoro a tempo parziale trasformati a tempo indeterminato. Le aziende assumeranno i lavoratori col metodo del contratto a tempo determinato per poi passarli a tempo indeterminato, ottenendo così un periodo di prova lungo mesi e anni, la deroga dell'articolo18 per una quantità di lavoratori sempre più ampia a mano a mano che ruota il turn-over e senza che questo significhi un aumento reale dell'occupazione ma solo una sua diversa composizione.
Circa l'equazione licenziabilità = crescita occupazionale e dimensionale sopra i 15 dipendenti delle piccole imprese, il suo effetto non potrebbe che essere minimo. Se si tiene conto che quelle con meno di 50 dipendenti sono il 99,4 per cento dell'insieme delle aziende italiane. Di queste il 3 per cento conta tra 10 e 19 lavoratori e solo il 2 per cento ha un organico tra 10 e 15 dipendenti, mentre la stragrande maggioranza ne hanno da 1 a 4 . In pratica, sulla carta, solo una piccolissima parte delle mini imprese potrebbe essere interessata ad aumentare la sua dimensione sopra la soglia in cui entra in vigore la copertura dello "Statuto dei lavoratori''. Abbiamo usato il condizionale di proposito perché in realtà le ragioni che impediscono lo sviluppo delle micro-imprese sono altre: il credito, le tasse, i servizi, le infrastrutture, la formazione professionale, e altro ancora.
Monotona la litania di governo e Confindustria: per modernizzare il paese, renderlo competitivo e sviluppare l'occupazione occorre flessibilità, flessibilità e flessibilità, in entrata e in uscita, cioè precariato, precariato e precariato. Peccato che la realtà che si è venuta a determinare li smentisca in modo plateale. Nel senso che il rapporto tra le assunzioni a tempo determinato rispetto a quelle a tempo indeterminato si è rovesciato a favore di quest'ultime. Secondo i dati della Banca d'Italia nel 2001 su 434 mila nuove occupazioni, 392 mila sono avvenute a tempo pieno e 110 a termine.
Le elaborazioni dell'Istat rese note in questi giorni dicono nella sostanza le stesse cose e anche qualcosa di più. Da gennaio 2001 a gennaio 2002 l'occupazione è aumentata di 371 mila unità: metà coperta dai disoccupati e l'altra metà da giovani di primo impiego, riducendo il divario con la media europea ad appena 0,7 per cento. Ciò è avvenuto con queste particolarità: la stragrande maggioranza di queste nuove assunzioni non riguardano il lavoro precario e transitorio e nemmeno attività di tipo autonomo o parasubordinato ma lavoro dipendente a tempo pieno e indeterminato; la crescita dei posti di lavoro è avvenuta nonostante la congiuntura economica bassa con un incremento mediocre del prodotto interno lordo (+1,8%).
Se ne deduce che, quantunque il "mercato del lavoro'' ampiamente liberalizzato offra ormai una quantità notevole di contratti di lavoro flessibili, le aziende sono tornate, almeno per il momento, alle assunzioni a tempo indeterminato e chi cerca lavoro ha scelto, ovviamente, il "posto fisso''.
Con buona pace di tutti i detrattori dell'articolo 18!

15 maggio 2002