No agli enti bilaterali previsti dalla controriforma del "mercato del lavoro"
Certificazione dei nuovi contratti di lavoro precario. Opera di conciliazione sui contenziosi tra lavoratori e padroni. Potere di registrare trattamenti peggiorativi in deroga alle norme vigenti
Così il sindacato cambia natura e diventa un'appendice del governo (la critica della CGIL)

Del decreto attuativo della legge 30/03, ossia della controriforma del governo del neoduce Berlusconi sul "mercato del lavoro" (vedi il n.33/03 de "Il Bolscevico") c'è un punto che merita una trattazione a parte per le conseguenze nefaste che può provocare nel prossimo futuro per la rappresentanza e la tutela dei diritti dei lavoratori. Si tratta degli enti bilaterali composti da padroni e da sindacalisti collaborazionisti, costituiti, recita la legge, nell'ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale e quando la commissione di certificazione sia costituita nell'ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale. Cosa sono, come agiscono e quali compiti hanno?
Il compito principale che la legge sembra assegnare loro è la certificazione dei numerosi contratti precari e flessibili introdotti, onde ridurre al minimo gli inevitabili contenziosi che genereranno. "Al fine di ridurre il contenzioso - si legge nel testo - in materia di qualificazione dei contratti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale e a progetto di cui al presente decreto, nonché dei contratti di associazione in partecipazione di cui agli articoli 2549-2554 del Codice Civile, le parti possono ottenere la certificazione del contratto secondo la procedura volontaria". Sono organi abilitati a questa certificazione le Commissioni di certificazione istituite presso gli enti bilaterali, oltreché nelle Direzioni provinciali del lavoro e le Università pubbliche e private.
Le sedi di certificazione, in particolare gli enti bilaterali nelle intenzioni del governo, delle associazioni padronali e di quei sindacati che si sono resi disponibili, "sono altresì competenti a certificare le rinunce e transazioni di cui all'articolo 2113 del Codice Civile a conferma della volontà abdicativa o trasattiva delle parti". In pratica diventano sedi per dare "legittimità" ad accordi tra il datore di lavoro e il lavoratore che stabiliscono trattamenti e condizioni di lavoro peggiorative rispetto alle norme contrattuali e legislative vigenti.
Le suddette Commissioni e i suddetti enti bilaterali sono presentati come un elemento di garanzia, di controllo e di correttezza, specie per i prestatori d'opera che nella definizione del contratto di lavoro sono i soggetti più deboli, nell'applicazione della normativa di legge. In primis per gli "atipici", i parasubordinati, i collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co.) che in quanto tali dovrebbero sparire per diventare lavoratori (autonomi) a progetto. Niente di più falso. Intanto perché il prestatore d'opera, ricattato dal bisogno di lavorare, è probabile che firmerà qualsiasi cosa che il datore di lavoro gli proporrà. Inoltre, vi è da notare che in caso di contenzioso e di regole violate dal datore di lavoro, fallita la conciliazione in sede di ente bilaterale e aperta una vertenza in sede giudiziaria, il lavoratore può rivendicare i suoi diritti solo per il futuro e non per il passato.
E non è tutto. La normativa approvata permette agli enti bilaterali di svolgere anche "funzioni di consulenza e assistenza effettiva alle parti contrattuali, sia in relazione alla stipula del contratto di lavoro e del relativo programma negoziale medesimo concordate in sede di attuazione del rapporto di lavoro con particolare riferimento" alla qualificazione dei contratti di lavoro. In questo si intravede uno stravolgimento del modello della contrattazione sindacale.
Di fronte a questi lavoratori ai quali viene proposto un sistema di contratti individuali, di fatto, per tutelare i loro interessi viene proposto di rivolgersi agli enti bilaterali anziché al sindacato.
Gli enti bilaterali non rappresentano una novità introdotta dalla controriforma sul "mercato del lavoro". Essi esistono già e operano in settori per lo più caratterizzati dalla prevalenza di imprese di piccole dimensioni e da alti tassi di stagionalità (edilizia, agricoltura, commercio, artigianato). Con funzioni mutualistiche e solidaristiche, di sostegno al reddito e più di recente anche per svolgere funzioni di formazione professionale. Sono enti introdotti nel tempo e istituiti per accordo tra le "parti sociali", con contratti collettivi stipulati unitariamente dalle associazioni padronali e dai sindacati più rappresentativi, a cui le stesse parti affidano funzioni e risorse, per lo più corrisposte dalle aziende e in alcuni casi dai singoli lavoratori per specifici servizi percepiti. E dove è praticata la rigorosa separazione dei ruoli tra i rappresentanti sindacali e gli amministratori che gestiscono i fondi.
Ma tra questi e gli enti previsti nella legge 30 ci sono differenze sostanziali. I primi sono organismi costituiti contrattualmente a cui padroni e sindacati attribuiscono funzioni e risorse frutto di accordi sindacali. I secondi sono soggetti a cui la legge affida un insieme di funzioni pubbliche e parapubbliche di normale competenza dello Stato e delle amministrazioni pubbliche.
La fisionomia di questi nuovi enti di stampo cogestionario e neocorporativo prese corpo con la sigla del "patto per l'Italia", da noi denunciato come patto della capitolazione e del tradimento, firmato dalla Cisl e dalla Uil di Angeletti, ma non dalla Cgil. Ad essi infatti venivano attribuiti compiti abnormi e del tutto impropri in materia di "mercato del lavoro" e di "ammortizzatori sociali", di formazione professionale e di sicurezza sul lavoro, con il conforto di lauti incentivi pubblici. E in prospettiva l'attribuzione di ulteriori funzioni di gestione sul campo del welfare, previdenza e sanità integrative in testa. Cosicché sindacati e imprese si potrebbero trovare a braccetto a gestire funzioni pubbliche e prestazioni universalistiche con rischi molto concreti di malversazioni e il passaggio verso un sindacato parastatale e di regime in quanto appendice del governo.
Che Cisl e Uil, ma anche la Confindustria, intendono procedere in questa direzione è dimostrato anche dall'accordo separato, del marzo scorso, per il contratto nazionale dei metalmeccanici, non firmato dalla Fiom. Dove tra l'altro si legge che "Le parti stipulanti concordano di istituire un Gruppo di lavoro che entro il mese di settembre del 2004 presenti alle parti medesime un progetto operativo per la creazione di un Ente bilaterale nazionale per il settore metalmeccanico avente l'obiettivo di essere interlocutore attivo e supporto alle attività degli Osservatori e delle Commissioni nazionali e territoriali previste nel presente contratto".
Enti bilaterali in sostituzione dei sindacati indipendenti dal governo e dai padroni? No grazie!