XIV Congresso nazionale della Cgil
IL NOSTRO CONTRIBUTO CRITICO E DI PROPOSTA AL DOCUMENTO DELLA "SINISTRA SINDACALE''
Nonostante le divergenze, siamo disponibili al fronte unito contro la destra cofferatiana
In un primo articolo (pubblicato sul numero scorso de "Il Bolscevico'') abbiamo espresso le nostre riflessioni sulla scomposizione e ricomposizione della "sinistra della Cgil'', a conclusione di un dibattito durato oltre un anno che ha investito migliaia e migliaia di quadri e delegati sindacali e svoltosi attraverso numerose assemblee nazionali nelle principali città del Paese. In quell'articolo apprezzavamo la decisione di sciogliere le correnti sindacali legate al PdCI e al PRC ("Alternativa sindacale'' e "Area dei comunisti in Cgil'') per creare un'aggregazione più ampia aperta a tutti coloro che dissentono da sinistra con il vertice cofferatiano, denominata Area programmatica "LavoroSocietà-cambiare rotta'' per affrontare non in ordine sparso la battaglia del XIV Congresso nazionale confederale. Pertanto abbiamo sottolineato positivamente la decisione di presentare un documento congressuale alternativo e ci siamo dichiarati disponibili a fare fronte unito per il Congresso; precisando però che i marxisti-leninisti continueranno a lavorare dentro e fuori la Cgil per far maturare e realizzare il sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali dei lavoratori.
Nel commentare il suddetto documento e la piattaforma rivendicativa ivi contenuta abbiamo voluto da un lato evidenziare le convergenze su alcuni aspetti anche importanti sia di linea sia rivendicativi (come ad esempio la denuncia della mancanza di autonomia e di subordinazione della maggioranza cofferatiana dal governo e dal padronato, l'avversione e il superamento della concertazione cogestionaria e neocorporativa e dei "patti sociali'') e dall'altro abbiamo esplicitato le divergenze sulla strategia e sul modello di sindacato proposto e su parti non secondarie della piattaforma. In questo secondo articolo, per chiarezza e per portare il nostro specifico contributo al dibattito e alla battaglia congressuale, vogliamo approfondire nel limite del possibile proprio queste divergenze.

E LA DENUNCIA DELL'IMPERIALISMO?
Nell'introduzione quel documento invita a "contrastare la globalizzazione liberista'', ossia l'abbattimento delle dogane e il dilagare di politiche economiche e finanziarie da capitalismo selvaggio, ma non denuncia in alcun modo l'imperialismo di cui essa è figlia. è una impostazione "riformista'' che depotenzia e riduce la lotta al solo aspetto economico; un'impostazione che emerge ancor più chiaramente quando in contrapposizione al modello Usa si sostiene, facendone un'assurda e astratta esaltazione, "il modello europeo fatto di Stato sociale, di diritti del lavoro individuali e collettivi, di pluralismo politico e sociale, di ruolo dello Stato nell'economia e della redistribuzione dei redditi''. A nostro parere invece non esiste un capitalismo-imperialismo buono e uno cattivo, in ogni caso della vecchia tradizione socialdemocratica dell'Europa occidentale, compresa l'Italia, fondata sul Welfare, non è rimasto quasi nulla anche grazie alle politiche neoliberiste sviluppate dai governi di "centro sinistra''; l'Europa, specie dopo il varo dell'Euro, non è più una potenza subordinata agli Usa ma una superpotenza imperialista emergente sempre più in contrapposizione con essa per il dominio nel mondo; sarebbe dunque meglio correggere la parola d'ordine con: contrastare la globalizzazione imperialista.
Sul tema della guerra, il documento lamenta uno svuotamento del ruolo dell'Onu e la sua sostituzione con la Nato, come se nel passato l'Onu avesse svolto un ruolo equo e obiettivo a favore dei popoli e non sia stata invece sempre uno strumento delle grandi potenze, Usa in testa. Per mettere a posto le cose, sembra di capire, è sufficiente "riformare'' l'Onu. Mentre noi crediamo che, insieme alla Nato e alla stessa Ue, vada sciolta. Inoltre, stranamente, non si chiede l'uscita dell'Italia dalla Nato e la chiusura delle basi Nato e Usa in Italia.
Emerge anche una concezione pacifista quando si afferma che la Cgil deve ripudiare "la guerra come strumento di soluzione dei conflitti'' senza specificare di quali conflitti e quali guerre si tratta. Si doveva precisare che l'opposizione netta e risoluta è alle guerre imperialiste di aggressione in generale e alle guerre dell'Italia contro altri Stati, come è sancito nell'art.11 della Costituzione; non si può però negare il diritto dei popoli a ricorrere alle guerre di liberazione (come ad esempio quella palestinese), e nemmeno alle rivoluzioni contro le dittature militari e fasciste e alle rivoluzioni proletarie contro le rispettive classi dominanti borghesi per istaurare il socialismo.

VECCHIO RIFORMISMO E INCOERENZE
Per quanto riguarda la richiesta di "un diverso e sostenibile modello di sviluppo economico e sociale'' affinché i diritti e le condizioni materiali dei lavoratori "occupino un posto perlomeno non inferiore alle esigenze dell'impresa e del profitto'': non contestiamo tanto le rivendicazioni specifiche, anche se su qualcuna ci sarebbe da dire qualcosa, quanto l'illusione e, di fatto, l'inganno (tipico del vecchio riformismo socialdemocratico e revisionistico, alla Togliatti e alla Berlinguer, alla Di Vittorio e alla Lama, per intenderci) che esso possa realizzarsi fermo restando il capitalismo. Oggi le uniche "riforme'' che vengono approvate (tanto dal "centro sinistra'' che dal "centro destra'') hanno il segno del liberismo, del federalismo, del presidenzialismo, del neofascismo e provocano un peggioramento a tutti i livelli delle condizioni di vita delle masse lavoratrici e popolari.
Anche quando nel documento si agita la volontà di volersi opporre alle politiche neoliberistiche imperanti, tale volontà risulta poco coraggiosa, contradditoria, incoerente. Lo dimostra il fatto che non si rivendica l'abrogazione delle controriforme sociali, quella delle pensioni Dini e della sanità Bindi in testa, per non parlare di quella sull'assistenza sociale della Turco sulla quale si giunge ad esprimere un giudizio politico di fondo positivo. In buona sostanza non si mette in discussione l'impostazione strategica di queste controriforme, liberiste e privatistiche, (pertanto si finisce coll'accettare il sistema di calcolo contributivo per le pensioni, l'innalzamento dell'età pensionabile, la cancellazione della pensione di anzianità, la pensione integrativa; l'aziendalizzazione e la regionalizzazione della sanità, il sanitometro, ecc). Ci si limita a delle critiche secondarie e a invocare miglioramenti, senza dubbio giusti, che però non escono dalla logica antipopolare che le animano.
Nel denunciare il fallimento della "politica dei redditi'' e la crescita vertiginosa del profitti che essa ha prodotto, si pone la necessità di riportare al centro dell'attenzione la crescita dei salari. Tuttavia, la parola d'ordine della "redistribuzione della ricchezza'' non ci trova d'accordo. Non si tratta di riformulare una nuova "politica dei redditi'' magari un po' più a favore dei lavoratori, com'è la proposta di legare gli incrementi salariali alla crescita del Pil, ma di battersi per rivendicare ciò che spetta di diritto ai lavoratori, per strappare ai capitalisti aumenti salariali il più possibile consistenti, modificando a favore degli operai il rapporto profitti-salari, riducendo il plusvalore indebitamente accaparrato dai padroni. Un obiettivo questo che si raggiunge anche attraverso la riduzione dell'orario di lavoro senza riduzioni salariali.

QUALE OPPOSIZIONE AL FEDERALISMO?
Su un tema di massima importanza come quello del federalismo non si avverte una opposizione chiara e netta, non c'è la coscienza dei danni che esso ha già provocato e continuerà a provocare al Paese e alla masse popolari, portatore di divisioni e di discriminazioni territoriali, economiche e sociali tra regioni e zone ricche e regioni e zone povere, di indebolimento dell'unità politica e sindacale della classe operaia e dei lavoratori. C'è invece una posizione ambigua e cedevole, con qualche debole e tentennante paletto riguardo al federalismo fiscale e al fondo sanitario che deve rimanere nazionale. Si tratta di una posizione assolutamente inadeguata considerando anche la "riforma'' costituzionale approvata il 28 febbraio che dà alle regioni il potere di legiferare su sanità, scuola, ambiente, tutela e sicurezza del lavoro (che potrebbe portare in teoria ogni regione a farsi il proprio statuto dei lavoratori), introduce il principio della "sussidiarietà'' e quant'altro.
Generica, oltre a essere fuorviante e illusoria, la rivendicazione di "una riforma democratica dello Stato ... una esigenza non rinviabile per la distanza crescente tra istituzioni e popolazione''. Sarebbe stato meglio e più giusto denunciare quelle misure già approvate per chiederne l'abrogazione che hanno inserito nella Costituzione del '48, stravolgendola da destra, pesanti caratteri presidenzialisti, federalisti, liberisti, neofascisti.
A proposito dell'incoerenza, per dire, sulla flessibilità e la precarizzazione del lavoro si rivendica un forte contenimento, ma non si chiede l'abrogazione delle forme più odiose e inaccettabili, come il lavoro interinale.

DIRITTO DI SCIOPERO E RSU
Su altre due questioni della massima importanza, il documento si rivela insoddisfacente per la scarsa quantità di spazio che viene loro dedicato e per la qualità scadente delle posizioni espresse: sono il diritto di sciopero, i metodi di lotta e la rappresentanza sindacale aziendale.
Nel momento in cui si rivendica il superamento della concertazione sindacale e dei "patti sociali'', nel momento in cui si elabora una piattaforma rivendicativa alternativa a quella dei vertici sindacali confederali, Cgil compresi, e per cui inevitabilmente si mette in conto l'apertura di una nuova stagione di lotte anche aspre con il padronato e il governo, il documento non rimette in discussione né i codici di autoregolametazione sindacali né la regolamentazione per legge del diritto di sciopero; si limita a chiedere delle misure che mettano in "equilibrio'' il diritto dello sciopero e i diritti degli utenti (sic!). Silenzio assoluto sugli altri metodi di lotta, come le occupazioni, di cui evidentemente non si deve neppure parlare.
Sbrigativa, troppo sbrigativa, la trattazione della rappresentanza sindacale aziendale, semplicemente legata alla sollecitazione dell'approvazione della legge giacente in parlamento da tempo. A nostro parere a questo tema è necessario dare molto più spazio e più importanza perché da qui passano questioni centrali quali l'unità sindacale dei lavoratori, la democrazia sindacale, la sburocratizzazione del sindacato e la partecipazione della base alla vita sindacale, la costruzione dal basso di un nuovo modello di sindacato che noi chiamiamo delle lavoratrici e dei lavoratori fondato sulla democrazia diretta e il potere sindacale e contrattuale alle Assemblee generali dei lavoratori.

QUALE MODELLO DI SINDACATO?
Per contro, non a caso, molto spazio viene dedicato all'autoriforma della Cgil, alla democrazia del mandato, alla democrazia di organizzazione, alla trasformazione delle Camere del Lavoro che, rispetto al sindacato dei consigli di sessantottina memoria, che a suo modo e in una certa misura voleva rappresentare tutti i lavoratori e praticare la democrazia diretta, rimette al centro il sindacato di organizzazione delle tessere di origine partitica. Siamo pronti ad appoggiare e siamo i primi a proporre misure finalizzate a ridurre drasticamente la burocrazia sindacale, a garantire nei gruppi dirigenti una rappresentanza di tutte le componenti della Cgil a contrastare il verticismo giunto a livelli intollerabili, a sancire vincoli precisi ed esigibili per la discussione e l'approvazione delle piattaforme, per la conduzione delle trattative, per la gestione delle vertenze e delle lotte. Ma tutto questo non nel quadro di un "cambiamento della linea e della direzione della Cgil in senso di classe'', ma per un obiettivo più ambizioso e adeguato ai tempi e alla nuova situazione politica, economica e sociale che si è venuta a determinare, ossia per il sindacato di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro appartenenza politica e partitica, riuniti attorno ai loro interessi generali e particolari.
La "riforma'' della Cgil in senso di classe, che anche noi sostenevamo fino al XII Congresso, la consideriamo una proposta superata e non adeguata alla nuova situazione politica e sindacale che si è venuta a creare con l'avvento della seconda repubblica e la totale integrazione ideologica, programmatica, rivendicativa dell'ex-PCI, oggi DS, e della stessa Cgil che, indipendentemente dalle divisioni contingenti, si è omologata sul piano strategico alla Cisl e alla Uil. La nuova proposta sindacale (la nostra) deve invece tendere a unire tutti i lavoratori di ambo i sessi e di tutte le categorie pubbliche e private in una sola organizzazione, indipendente dal governo, dai partiti e dal padronato, con al centro la democrazia diretta e gli interessi dei lavoratori.
Detto ciò, lo ripetiamo, la disponibilità dei marxisti-leninisti iscritti, delegati e dirigenti della Cgil a fare una lotta comune con l'area della "sinistra sindacale'' in sede di congresso contro la destra cofferatiana ci sarà, onesta, attiva e coerente con la nostra linea e piattaforma sindacali rilanciate solennemente con il Nuovo Programma d'azione del PMLI.