NOTE SUL MOVIMENTO ANTIGLOBALIZZAZIONE
STORIA
Il movimento antiglobalizzazione nasce in risposta alla devastazione sociale, economica e ambientale prodotta nel mondo intero dalla cosiddetta "globalizzazione", ossia l'abbattimento delle barriere doganali e tariffarie, la liberalizzazione dei mercati, la vertiginosa circolazione dei capitali su scala mondiale, la formazioni di un mercato unico imperialista. La "globalizzazione", che ha conosciuto uno sviluppo incontrastato dopo la disintegrazione del socialimperialismo sovietico e del suo impero, ha infatti prodotto nel mondo ancor più fame e miseria, disoccupazione, sfruttamento e oppressione, guerre, prostituzione, emigrazione di massa, devastazione dell'ambiente e inquinamento, nuove e più profonde disuguaglianze economiche e sociali fra Stati ricchi e Stati poveri, fra classi dominanti sfruttatrici e classi sfruttate e oppresse.
Come già era successo in passato, in occasioni di altri movimenti antimperialisti, il movimento antiglobalizzazione nasce e si sviluppa prima di tutto all'interno dei paesi imperialisti più ricchi che dominano l'economia e la finanza mondiale. Prima negli Usa, l'imperialismo tuttora il più forte in tutti i campi, il più pericoloso e il più arrogante, poi in Europa, la superpotenza in ascesa e il rivale più diretto degli Usa anche se ad essi legato da tanti fili e interessi. Ovviamente manifestazioni ed echi di tale movimento vi sono anche in paesi più poveri e del Terzo Mondo, come in Africa, in Asia e in America Latina, ma la loro voce è diventata estremamente più debole da quando non c'è più Mao e la Cina socialista che li avevano resi protagonisti della lotta antimperialista su scala mondiale.
Il movimento antiglobalizzazione non ha una precisa data di nascita. C'è chi addirittura lo fa partire alla fine degli anni '70 con l'affermazione del neoliberismo a livello mondiale. Chi invece stabilisce la tappa di partenza nel Forum alternativo di Rio de Janiero nel 1992, che però fu un incontro delle sole Ong (Organizzazioni non governative). Quasi tutti sono però concordi che il punto di svolta è stata la "battaglia di Seattle", in Usa, del 30 novembre 1999 con cui migliaia di giovani e lavoratori di diversi paesi del mondo, soprattutto americani, bloccano il centro delle conferenze in cui si tiene l'assemblea generale dell'Organizzazione mondiale del commercio (Omc o Wto secondo l'acronimo inglese).
Segnali di avvio di tale movimento vi erano stati già in precedenza a Birmingham in Gran Bretagna al Summit dell'allora G7, e ancor più durante l'omologo vertice nel maggio 1999 a Colonia, in Germania, quando migliaia di manifestanti si mobilitarono sui temi dell'ambientalismo, del pacifismo e della remissione del debito dei paesi poveri unendoli al tema del lavoro, contro il precariato e la disoccupazione.
Ma è con Seattle, e poi con la manifestazione di Washington alla metà di aprile 2000 per la riunione annuale del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale (Bm) che il movimento si rende visibile a livello internazionale rappresentando un punto di incontro e di identificazione per tutti quei movimenti, associazioni e organizzazioni sorti nei vari paesi negli anni novanta e impegnati su vari problemi economici, sociali, culturali, ambientali.
Nasce allora anche la rete No-Global che collega via Internet i vari movimenti, associazioni, gruppi e singoli individui sparsi nel mondo, rappresentando al tempo stesso uno strumento di diffusione delle tematiche in discussione e un mezzo di organizzazione e amplificazione degli appuntamenti più importanti.
Dopo Seattle e Washington, il movimento si dà appuntamento a Melbourne, in Australia (11 settembre 2000 contro il Forum economico mondiale), a Praga, nella Repubblica Ceca (26 settembre ancora contro il Fmi e la Bm), a Seoul, in Corea del Sud (10 ottobre, contro il vertice Europa/Asia), a Nizza, in Francia (6/7 dicembre contro il vertice dell'Unione europea), a Napoli (marzo 2001 contro il "Global Forum"), a Quebec city, in Canada (aprile 2001 contro l'avvio della area di libero scambio delle Americhe), e infine a Göteborg, in Svezia (giugno 2001 contro Il Summit Eu). E questo solo per quanto riguarda i principali appuntamenti "istituzionali" ossia la contestazioni di vertici di istituzioni, organismi o convenzioni internazionali.
Momenti di confronto avvengono durante i contro-summit che in genere sono organizzati in queste circostanze. In testa a tutti c'è il Forum sociale mondiale che si è tenuto fra il 25 e il 30 gennaio 2001 a Porto Alegre in Brasile in contemporanea al Forum economico mondiale capitalista di Davos in Svizzera. Al Forum sociale mondiale hanno aderito e partecipato organizzazioni non governative e sindacati, movimenti, associazioni e gruppi, partiti, singoli intellettuali e artisti con l'obiettivo di costruire una "grande alleanza" antiglobalizzazione. In sostanza Porto Alegre è stato il primo vero tentativo di dare una linea e una direzione unica al movimento antiglobalizzazione, imbracandolo però in una strategia riformista.
Il componente italiano del Forum di Porto Alegre, che oggi è il portavoce del Genoa social forum (GSF), l'organismo che è stato creato per organizzare la contestazione del vertice del G8 a Genova e di cui fa parte anche il PMLI, Vittorio Agnoletto (43 anni, medico del lavoro, obiettore di coscienza, da una vita nell'associazione cattolica degli scout, ex PdUP, ex DP, candidato alla Camera come indipendente nelle liste del PRC alle ultime elezioni politiche, fondatore della Lila, l'associazione italiana di lotta all'Aids), in una recente intervista ha in qualche modo preso le distanze dalla "battaglia di Seattle" per rivendicare come punto di partenza proprio Porto Alegre: "Non chiamatelo più movimento di Seattle, ma di Porto Alegre. è a Porto Alegre, in Brasile, che si è tenuto lo scorso anno il primo Forum sociale mondiale e lì ci ritroveremo, nel febbraio 2002, per discutere gli aspetti propositivi del movimento. Non rinnego la contestazione di Seattle: era necessaria, con quella modalità, perché era l'unico modo per far sapere all'opinione pubblica che noi c'eravamo. Ora dobbiamo spiegare perché ci siamo" ("Sette", inserto del Corriere della Sera del 28.6.01).
In sostanza, ha voluto dire che Porto Alegre ha segnato per il movimento il passaggio dalla contestazione al dialogo e alla proposta.

COMPOSIZIONE
Il movimento antiglobalizzazione è un movimento composito ed eterogeneo sia da un punto di vista di classe, che sociale, politico, culturale. In esso confluiscono ambientalisti, ecopacifisti, femministe, movimenti per i diritti civili, associazioni culturali e ricreative e del volontariato, anarchici, socialdemocratici, revisionisti, neorevisionisti e trotzkisti, operaisti e anarcosindacalisti.
Una grossa componente è rappresentata dai cristiani e in particolare dai cattolici sia nella parte che fa capo direttamente al papa e in Italia alla Cei, sia quella che fa riferimento a tutto il variegato mondo dell'associazionismo cattolico, dall'Agesci, all'Azione cattolica, Pax Christi, Caritas, Mani Tese e le numerose organizzazioni dei missionari fra cui Nigrizia. Per ora è quasi inesistente la presenza di altre chiese e religioni essendo il movimento nato ed essendosi sviluppato nell'Occidente capitalistico feudo indiscusso del cristianesimo e del cattolicesimo.
Da un punto di vista sociale, la componente principale di questo movimento sono i giovani, ma forte è anche la presenza delle donne. Scarsa ancora la partecipazione della classe operaia e dei lavoratori, sia per il freno costituito dai partiti della sinistra parlamentare e dai dirigenti sindacali collaborazionisti che specie nei paesi imperialisti sono ormai integrati e omologati nel sistema se non direttamente al governo, sia perché questo movimento tende ad ignorare e in un certo senso ad escludere questa presenza.

DIREZIONE
Data la storia e la composizione di questo movimento non si può individuare un'unica direzione, in quanto ogni componente risponde ai propri teorici e ai propri rappresentanti. Si può comunque dire che in generale la direzione è sostanzialmente in mano alla piccola e media borghesia, se non, in alcuni casi, ad esponenti della "sinistra" della grande borghesia che non si riconoscono pienamente nel processo di "globalizzazione" in atto o comunque sono critici sugli effetti che essa produce. Fra i teorici del movimento infatti ritroviamo economisti, filosofi, antropologi, studiosi e professori universitari americani e canadesi. C'è per esempio l'economista Jeremey Rifkin, presidente della "prestigiosa" Foundation of economic trends di Washington e collaboratore di "Panorama", o le femministe come Vandana Shiva o Naomi Klein, i padri missionari come Alex Zanotelli, ma anche Wojtyla e Marcos.

IDEOLOGIA E LINEA POLITICA
Il movimento antiglobalizzazione è un movimento oggettivamente antimperialista, ma non lo è soggettivamente. Esso non ha la consapevolezza che contestando il neoliberismo e la "globalizzazione" di fatto compie un atto che concretamente infligge dei danni all'imperialismo. Esso non ha questa consapevolezza e quindi non può maturare pienamente una strategia, una politica e una pratica antimperialista perché è privo di una ideologia, di una linea e di una direzione proletaria rivoluzionaria.
Attualmente il movimento è sostanzialmente egemonizzato da una visione idealista, pacifista e riformista, e quindi borghese, del mondo.
Nessuna delle sue componenti, se non il nostro Partito, mette infatti in discussione l'imperialismo nel suo complesso e adesso sembra prevalere la tendenza a non mettere in discussione nemmeno la "globalizzazione".
Nelson Mandela, spesso citato come uno dei rappresentanti del movimento antiglobalizzazione per la lotta del suo paese contro il monopolio dei farmaci contro l'Aids, ha sostenuto che "opporsi al processo di globalizzazione è come opporsi al succedersi delle stagioni". Fidel Castro da parte sua dice che la globalizzazione offre addirittura "spazi e possibilità per costruire forme di democrazia progressiva", di "socialismo diffuso". Niente di diverso sostengono da anni il papa e la chiesa cattolica. Il cardinale di Genova, Dionigi Tettamanzi, ha sostenuto infatti che "noi non siamo contro la globalizzazione, che è un processo storico inarrestabile. Ma siamo per una globalizzazione umana e umanizzante".
Sulla stessa linea anche padre Alex Zanotelli, storico esponente di "Nigrizia" la rivista mensile dei missionari comboniani, che oggi si trova in Kenya, là dove afferma sul numero di luglio/agosto 2001 che "Non abbiamo nulla contro la globalizzazione ma contro questo tipo di onnimercificazione, dove tutto diventa denaro" e ancora: "Non vogliamo distruggere Babilonia, ma trasformarla dal di dentro perché diventi la città di Dio. Non abbiamo imperi da abbattere, non abbiamo nemici da uccidere, ma solo persone come noi da cambiare... Ci impegniamo perché crediamo che il Drago può diventare agnello, come ha fatto Francesco con il lupo di Gubbio".
In sostanza, l'obiettivo che attualmente accomuna le varie componenti del movimento è quello di rimuovere gli effetti più perversi della globalizzazione nel nome del "bene dell'umanità", dargli delle regole, un'etica, "umanizzarla" per permettere una crescita economica davvero globale, la "redistribuzione di ricchezza e di reddito", ecc.
La parola d'ordine di Porto Alegre era "Un altro mondo è possibile", la stessa che apriva nel 1999 la Marcia della pace Perugia-Assisi. Per Genova gli organizzatori l'hanno leggermente modificata in "Un mondo diverso è possibile" e annunciano che al prossimo incontro di Porto Alegre la parola d'ordine sarà: "Un altro mondo è possibile. Stiamo cominciando a costruirlo". Un mondo diverso però di cui non se ne definiscono tratti e caratteristiche, e che sarebbe possibile costruire non combattendo e distruggendo capitalismo e imperialismo ma nell'ambito del capitalismo stesso.
La via sarebbe quella della cosiddetta "democrazia partecipata", ossia del controllo della "società civile" sull'operato degli Stati, delle imprese e sul funzionamento del mercato da realizzarsi essenzialmente col dialogo e la partecipazione alle istituzioni borghesi e alle organizzazioni e alleanze imperialiste appositamente riformate per accogliere tale partecipazione e per operare nell'interesse sovranazionale, globale, interclassista dei popoli e dell'umanità nel suo complesso. Una espressione di questa "democrazia partecipata" è il "bilancio partecipato" introdotto dalle amministrazioni comunali di Napoli e Roma sulla base dell'esperienza del governo della brasiliana Porto Alegre e delle teorizzazioni del Forum sociale mondiale, e appoggiato dai trotzkisti e dai movimentisti.
Inutile dire che si tratta di tesi illusorie e ingannatorie, frutto di un'ormai vecchio e fallito riformismo e pacifismo borghesi, che mirano a tarpare le ali al movimento antiglobalizzazione.

I METODI DI LOTTA
Anche i metodi di lotta riflettono questa linea ideologica e politica che fra l'altro esclude come nemici i singoli governi e Stati nazionali, considerati al massimo degli ostaggi delle multinazionali. Vedi le difficoltà del nostro Partito a far comprendere il nostro attacco al governo Berlusconi, espressione dell'imperialismo italiano, com'è avvenuto nelle assemblee del movimento a cui abbiamo partecipato a Firenze e Forlì.
Le campagne di critica sono mirate soprattutto contro le multinazionali e ancor più contro i loro simboli e marchi, o contro quei governi, specie quello americano, che sono considerati loro diretta espressione. L'imperialismo europeo e quello dei propri paesi sono completamente ignorati.
Queste campagne si concretizzano con denunce nei tribunali, con i boicottaggi delle merci, i sabotaggi delle produzioni come nel caso delle aziende che producono Ogm (organismi geneticamente modificati), la disobbedienza civile. In genere si tratta soprattutto di forme di testimonianze e di protesta individuali e di piccolo gruppo (teorizzati come "gruppi di affinità"). Gruppi che non sono radicati nel proprio territorio ma agiscono sul terreno "globale", ossia si spostano da un punto all'altro del pianeta, oggi nel Chiapas, domani a Mururoa, oggi nella foresta amazzonica, domani a Genova, spesso sovrapponendosi o sostituendosi alle masse locali.
Nelle manifestazioni di massa che in genere vengono organizzate solo in coincidenza di appuntamenti istituzionali, si teorizza la non violenza, la resistenza passiva o attiva, il dialogo e l'accordo.
Ci sono anche componenti piccolo borghesi, individualiste e anarchiche che adottano metodi di lotta contraddittori com'è il caso delle "tute bianche". Da una parte infatti accettano e teorizzano sul piano ideologico il pacifismo e la non violenza, dall'altra si addestrano all'azione di guerriglia di piccolo gruppo di stampo militaristico, staccata e in sostituzione all'azione di massa.
Dopo Seattle e dopo Porto Alegre la parola d'ordine è quella di passare dal pur sbagliato e fuorviante assalto ai Mc Donalds (prerogativa delle "tute nere"), all'ingannevole dialogo con le istituzioni, i governi, le "forze dell'ordine", come se nel mezzo non ci fosse spazio per una vera lotta di massa e di piazza contro il capitalismo e l'imperialismo che è la sua ultima fase.