Col via libera di D'Alema e Bersani e la regia di Cuccia
OLIVETTI CONQUISTA TELECOM

Il 21 maggio, dopo una battaglia senza esclusione di colpi durata tre mesi, l'Olivetti ha conquistato il controllo della Telecom, il gigante delle telecomunicazioni, ex azienda di Stato privatizzata due anni fa. L'annuncio ufficiale è stato dato dall'amministratore delegato di Olivetti, Roberto Colaninno, subentrato tre anni fa a Carlo De Benedetti dopo la grande crisi che aveva portato l'azienda di Ivrea sull'orlo del fallimento, non appena è stata raggiunta la certezza che l'Opa (offerta pubblica di acquisto) lanciata sul capitale della Telecom aveva superato il 50% di adesioni da parte dell'azionariato. Si è trattato di un'operazione finanziaria di dimensioni colossali, per un valore complessivo di ben 117 mila miliardi, l'Opa più importante mai lanciata in Europa.
Esce così di scena Franco Bernabé, l'amministratore delegato di Telecom, proveniente dall'Eni e nominato appena nel novembre scorso dopo la discussa gestione Rossignolo, che fino all'ultimo si era opposto all'offensiva dell'Olivetti mettendo invano in campo tutte le contromosse possibili, compreso il tentativo di fusione con la tedesca Telekom. Con lui se ne vanno l'intero vecchio management e il vecchio Consiglio di amministrazione dominato da Ifil (Agnelli), Generali, Ina, S.Paolo-Imi, Comit, che hanno finito per vendere anch'essi le loro azioni a Colaninno dopo aver capito che la partita era ormai persa.
L'operazione aveva preso il via alla fine di febbraio, quando Colaninno lanciò un'Opa da 100 mila miliardi su Telecom a 10 euro per azione. A lanciare la scalata al gigante delle telecomunicazioni, sotto le sembianze di un'oscura società finanziaria, la Tecnost, era una cordata di imprenditori e di banche capeggiate da Olivetti: oltre alla società di Ivrea ne facevano parte un gruppo di imprenditori bresciani capeggiati dall'industriale Gnutti, titolare della lussemburghese Bell, principale azionista di Olivetti assieme a Colaninno, un gruppo di banchieri del ricco Nord-Est, e un gruppo di investitori facenti capo alla cosiddetta "finanza di sinistra", rappresentati da Monte dei Paschi di Siena e Unipol, a cui si è poi unita la potente Banca di Roma facente capo al clan di Mediobanca. Colaninno assicura che i soldi per comprare le azioni Telecom verranno dalla vendita al socio tedesco Mannesmann delle floride Omnitel e Infostrada.
Un'operazione al limite del pazzesco, date le sue enormi ambizioni rispetto ai mezzi messi in campo da Olivetti, che all'inizio era stata sottovalutata dal vertice di Telecom, che pensava di averla fatta subito abortire quando appena due giorni dopo il lancio dell'Opa la Consob, la società che controlla la Borsa, ne aveva decretato l'irregolarità per mancanza di garanzie. Anche a livello politico D'Alema, che all'inizio aveva salutato l'Opa come un'iniziativa "coraggiosa", era sembrato prendere le distanze dichiarando che il governo si manteneva "neutrale" rispetto alla vicenda.

LE FASI DELLA BATTAGLIA

Ma poi le cose erano andate avanti lo stesso, e anziché spengersi la battaglia è divampata più furiosa che mai, tra mosse e contromosse dei due schieramenti opposti. Bernabé cerca di alzare barriere invalicabili per Olivetti, dapprima proponendo una fusione di Telecom con Tim per rendere troppo grosso il boccone da ingoiare per Colaninno. Quest'ultimo rilancia aumentando a 11,5 euro l'offerta di acquisto di azioni Telecom (i 10 euro, nemmeno tutti in contanti ma parte in obbligazioni era considerata poco appetibile per gli azionisti Telecom) e vara un maxiaumento di capitale per la Tecnost a 23 mila miliardi, onde fornire più solide garanzie alla Consob.
Ad aprile, constatato il fallimento di tutte le difese via via messe in campo, Bernabé tenta la carta decisiva annunciando il matrimonio con Deutsche Telekom, e le cose vanno avanti fino all'approvazione della fusione da parte del Cda di Telecom. Ma a questo punto si intromette il governo, che pone condizioni: Telekom deve essere prima privatizzata, e ci devono essere garanzie di pariteticità nel controllo della nuova società risultante dalla fusione. Si paventa cioè che l'operazione possa portare in pratica ad una caduta di Telecom Italia in mani straniere. L'intervento del governo blocca praticamente il tentativo di fusione. Una soluzione di compromesso, fare entrare Olivetti nel nucleo stabile di Telecom accanto al vecchio "nocciolo duro" viene respinta da Agnelli, che annuncia a D'Alema la vendita della sua quota se l'Opa Olivetti avrà successo.
Si arriva così alla resa dei conti finale, con l'Opa di Colaninno che sbaraglia le ultime difese di Bernabé, lasciato solo anche dagli azionisti di riferimento, Ifil in testa, che uno dopo l'altro si defilano vendendo le proprie quote al nemico. I fondi di investimento aderiscono in massa all'Opa, e si dice che anche la Banca d'Italia, ufficialmente non coinvolta abbia messo a disposizione il fondo pensioni di via Nazionale. Colaninno esce trionfatore, anche se la sua cordata dovrà far fronte a una montagna di debiti per coprire l'Opa: si parla di almeno 50 mila miliardi, che la sua cordata conta di ricavare in gran parte dagli utili futuri della stessa fortezza Telecom appena espugnata. Un calcolo assai azzardato, che fa addensare forti sospetti di speculazione sull'operazione. Senza contare che il nuovo padrone Olivetti non ha ancora chiarito quali saranno i suoi obietivi e le sue strategie aziendali per Telecom, soprattutto per quanto riguarda il mantenimento dei livelli occupazionali.
Potrebbero essere a rischio decine di migliaia di posti di lavoro (si parla di 30, forse 40 mila), tant'è che i sindacati hanno subito chiesto garanzie al governo. Lo stesso Colaninno, pur smentendo in più occasioni ipotesi di licenziamenti in vista, le ha in realtà avvalorate dichiarando minacciosamente in sede di insediamento del nuovo Cda Olivetti: "I dipendenti (della Telecom, ndr) devono lavorare onestamente, partecipare al progetto, sono pagati per il loro lavoro. Quelli bravi saranno premiati, gli altri saranno licenziati".

VINCITORI E VINTI

A battaglia finita emerge il vero regista dell'operazione Olivetti-Telecom: Mediobanca di Cuccia, il cui intervento è stato decisivo per coalizzare forze in appoggio alla scalata di Colaninno e soci: si parla di un fronte di forze che va da Cesare Romiti, al presidente della Banca di Roma, Geronzi, da Antonio Fazio a Massimo D'Alema, con un accordo cementato in un incontro privato tra il presidente del Consiglio e il potente presidente onorario dell'istituto di via Filodrammatici.
Gli sconfitti, oltre a Bernabé, sono gli Agnelli e gli uomini di Prodi il quale, pur smentendo l'asse con il vertice spodestato di Telecom, non aveva nascosto l'avversità alla scalata dell'ex monopolio pubblico, arrivando a dichiarare con stizza: "Se io avessi fatto il 2 per cento di quello che sta facendo il governo D'Alema per influenzare le decisioni di soggetti privati, aziende quotate sui mercati, sarei già stato crocefisso". Alla faccia dell'"unità" in seno all'Ulivo tanto agognata a parole dai suoi protagonisti!
Attorno alla battaglia per il controllo della Telecom si sono dunque combattute due guerre parallele. Una economico finanziaria tra due grandi schieramenti del capitalismo nostrano, quello capeggiato dalla galassia Fiat-San Paolo e quello capeggiato da Cuccia-Romiti, con tutti i relativi alleati, per ridisegnare la mappa del potere in Italia. E l'altra a livello politico, che ha visto saldarsi un asse tra D'Alema, Cuccia e il governatore di Bankitalia Fazio.
Per il rinnegato D'Alema, ossessionato dall'idea neoliberista di irrobustire il capitalismo nostrano attraverso il confronto col mercato per metterlo in grado di reggere le sfide europee e mondiali, l'avventura di Colaninno è stata l'occasione per dare uno scossone ad un assetto capitalistico considerato troppo ossificato e troppo poco propenso a rischiare, per i suoi gusti di stampo decisamente blairiano. Per il vecchio regista di via Filodrammatici è stata un'occasione d'oro per tessere un nuovo sistema di alleanze, dopo la rottura dei vecchi equilibri sancita dal divorzio con la Fiat, che veda la sua potente banca d'affari sempre al centro di gravità del sistema industriale e finanziario nazionale.