Come cambia la geografia del capitalismo italiano
PIRELLI COMPRA
TELECOM D'ACCORDO IL GOVERNO
Asse tra
Tronchetti Provera e Benetton. La nuova società controlla il 27% dell'Olivetti.
Sconfitto Colaninno, l'amico di D'Alema
A poco più di due
anni dall'acquisto da parte dell'Olivetti di Colaninno, con la benedizione
dell'allora governo D'Alema, il colosso Telecom cambia di nuovo padrone e
finisce nelle mani della Pirelli di Tronchetti Provera, con l'aiuto degli
industriali Benetton e la benedizione del governo Berlusconi. è questo il succo
dell'operazione, un vero e proprio blitz, messa a segno in poche settimane da
Tronchetti Provera e Benetton a fine luglio, comprando per 14 mila miliardi
dalla lussemburghese Bell di Colaninno e Gnutti il 23% della Olivetti, società
che a sua volta controlla il capitale della Telecom.
Il colpo è stato reso possibile dalla situazione di difficoltà in cui si era
venuta a trovare la Telecom negli ultimi mesi, alle prese con la crisi mondiale
del settore delle telecomunicazioni, con tutto il consiglio di amministrazione
sotto inchiesta per irregolarità finanziarie, tra cui la fusione Seat-Tin.it e
il caso Telekom Serbia, e Colaninno alle prese con gli ingenti debiti di
Olivetti (si parla di ben 35 mila miliardi), osteggiato dal governatore della
Banca d'Italia Fazio e senza più appoggi politici dopo il cambio del governo.
Per l'acquisto di Olivetti Marco Tronchetti Provera e Gilberto Benetton hanno
offerto 4,17 euro per azione, il doppio del valore di mercato: un'offerta
irresistibile per Gnutti e la cordata di industriali bresciani che due anni fa
avevano investito i loro soldi nella scalata di Colaninno alla Telecom, a cui
non è parso il vero di ritirarsi in tempo dal pericoloso affare e con le tasche
piene di soldi. E per di più senza pagare una lira di tasse, dal momento che la
società venditrice è straniera.
Senza l'appoggio di Gnutti anche Colaninno ha dovuto arrendersi e accettare
l'offerta, del resto principesca, del duo Tronchetti-Benetton, che con l'1,8% a
testa di azioni Olivetti già in loro possesso hanno così potuto mettere le
mani sul 27% del capitale della società di Ivrea, sufficiente per comandare sul
colosso delle telecomunicazioni e tutte le sue controllate, che spaziano dalla
telefonia, fissa e mobile (Telecom-Tim), ai servizi (Pagine Gialle), a Internet
(Tin.it) e alla televisione (La7).
L'operazione è avvenuta tutta al di fuori del mercato, poiché la società
venditrice non è quotata in Borsa e il pacchetto acquistato è inferiore al
30%. Pirelli e Benetton hanno così potuto aggirare la legge Draghi sull'Opa
obbligatoria trattando direttamente l'acquisto in privato. Di conseguenza
neppure una lira è toccata agli azionisti di minoranza, le cui azioni
continuano a valere la metà di quanto sono state pagate a Colaninno e soci.
Anche per questo l'operazione non è piaciuta agli azionisti Olivetti-Telecom,
soprattutto ai fondi di investimento americani, da due anni alle prese con il
deprezzamento dei loro titoli, che hanno reagito con un'ondata di vendite in
Borsa che ha provocato consistenti perdite alle due società e ha trascinato al
ribasso anche i titoli Pirelli.
CHI SONO I NUOVI PADRONI DI TELECOM
Anche se bocciata per il momento dal mercato l'operazione è comunque andata
avanti e i nuovi padroni hanno subito cominciato la sostituzione dei vertici
delle società acquisite. Tronchetti Provera sostituisce Colaninno alla
presidenza di Olivetti e di Telecom, affiancato da Gilberto Benetton alla
vicepresidenza. A presiedere i due consigli di amministrazione, dopo le
dimissioni di Colaninno, è stato chiamato Enrico Bondi, proveniente dalla
Montedison appena incorporata nella Italenergia di Agnelli, affiancato da Carlo
Buora, amministratore delegato della Pirelli. Un ruolo preminente di potere
spetta dunque al gruppo milanese, rispetto a quello trevigiano, in accordo con
la ripartizione delle quote nella Olimpia, la società appositamente costituita
per impadronirsi della Telecom, di cui Pirelli detiene il 60% e Benetton il 40%,
ma con la prospettiva di scendere presto al 20% per far posto all'ingresso di
Unicredito e Intesa-Bci, operazione che ha già ricevuto il via libera da Fazio.
Sia pure lasciando il ruolo di primo piano a Tronchetti Provera, i Benetton
rafforzano con quest'operazione il loro peso di famiglia emergente del
capitalismo italiano, allargando ulteriormente il loro già ricchissimo
portafoglio di attività rappresentato nella finanziaria di famiglia Edizione
Holding, che partendo dall'abbigliamento spaziano oggi nei trasporti e
infrastrutture (autostrade, aeroporti, stazioni ferroviarie, linee aeree),
nell'alimentazione e ristorazione (Maccarese, Autogrill), nell'editoria (Il
Messaggero, Il Mattino, Il Gazzettino), nei servizi (Amps, Acegas), nel credito
(Banca Antonveneta, Beni Stabili) e nel mondo dello sport.
Con la conquista di Telecom, a sua volta, Tronchetti Provera realizza un
disegno, quello dell'espansione nel settore strategico delle telecomunicazioni,
che aveva in mente da anni, fin da quando nel 1993 si offrì di comprare la Stet
dall'Iri, ricevendo però il rifiuto di Prodi. Un disegno alimentato e
rinfocolato dalla successiva sconfitta del tentativo di scalata alla
Continental, a causa del protezionismo tedesco, che lo convinse che era più
facile e remunerativo tentare la scalata a un gruppo nazionale e di un settore
meno ``maturo'' di quello dei pneumatici e cavi. L'occasione gli si è
presentata con la vendita dello stabilimento di fibre ottiche agli americani
della Cisco e della Corning, quando ancora il suo valore di mercato era
sopravvalutato dalla forte espansione mondiale delle tlc, e dalla quale ha
ricavato ben 7 mila miliardi. Questa massa enorme di liquidità aspettava solo
di essere reinvestita in un acquisto importante: ``Ancora un anno fa - ha
commentato soddisfatto il presidente della Pirelli - avevamo le fibre ottiche,
che abbiamo venduto. Se avessimo tenuto le fibre, che già rendevano poco, oggi
avrebbero anche un valore molto basso, insignificante. Invece abbiamo questa
presenza in Telecom''.
RIMESCOLAMENTO DI CARTE
Dopo questa mossa, partendo da una piccola società da 600 miliardi, la Camfin,
che controlla il 25,1% della cosiddetta ``Pirellina'' (la società in
accomandita per azioni che controlla a sua volta la Pirelli, ndr), attraverso
una catena di scatole cinesi Tronchetti Provera si trova di colpo al comando di
un impero industriale che tra Pirelli, Olivetti e Telecom vale qualcosa come 300
mila miliardi di lire e diventa, nella geografia del capitalismo italiano,
secondo soltanto ad Agnelli, anche lui in cerca di nuovi territori di caccia
alternativi al settore ``maturo'' dell'automobile, e che si è recentemente
allargato nel campo dell'energia con la conquista di Montedison con l'aiuto dei
francesi di Edf.
Questo recente e tumultuoso rimescolamento delle carte, nel panorama fino a non
molto tempo fa ingessato della geografia del grande capitale in Italia, si deve
principalmente a due fattori: la dissoluzione di Mediobanca, con il suo
incontrastato potere di arbitrato sulle grandi famiglie capitaliste, a partire
dal divorzio Agnelli-Cuccia, e soprattutto dopo la morte di quest'ultimo (vedi
la vicenda della scalata alla Montedison); e il cambio della guardia a Palazzo
Chigi, con l'uscita di scena del ``centro-sinistra'' e l'arrivo del neoduce
Berlusconi e dei suoi uomini al governo del Paese.
Se il dissolvimento di Mediobanca, con la rottura dei complessi e delicati patti
di sindacato e intrecci societari che garantivano gli equilibri tra le grandi
famiglie capitaliste, in aggiunta alla grande liquidità resa disponibile dagli
immensi profitti aziendali di questi anni di ``pace sociale'' e le ghiotte
opportunità offerte dalle imponenti privatizzazioni garantite dai governi di
``centro sinistra'', hanno riacceso e scatenato la lotta per l'accaparramento di
nuove aziende e quote di mercato, l'avvento di Berlusconi al governo ha
ulteriormente accelerato questo processo, favorendo capovolgimenti di fronte e
rovesciamenti di alleanze.
NUOVE ALLEANZE POLITICHE
è noto che la scalata del mantovano Colaninno e degli altri industriali della
cosiddetta ``razza padana'' alla Telecom da poco privatizzata, sponsorizzata da
Mediobanca, fu appoggiata e favorita dall'allora governo D'Alema, secondo il
disegno attribuito al capofila dei rinnegati e ai suoi consiglieri di produrre
un ``rinnovamento'' nel capitalismo nazionale, giudicato troppo ``asfittico'',
poco incline al rischio e troppo egemonizzato dalle grandi famiglie milanesi e
torinesi, Agnelli in testa. è noto anche che Tronchetti Provera era a quel
tempo uno dei grandi sponsor di D'Alema e dell'Ulivo, ma ora le cose sono
cambiate. E se Agnelli, dopo la sconfitta subìta alle elezioni del presidente
della Confindustria, ha capito l'antifona e si è messo con decisione dalla
parte del cavallo vincente Berlusconi (ricevendone non a caso in cambio il nulla
osta all'operazione Montedison), anche Tronchetti Provera ha cominciato a
prendere le distanze dal ``centro-sinistra'' già in campagna elettorale,
finendo anche lui per mollare definitivamente il perdente D'Alema e passare nel
campo del neoduce di Arcore.
Ecco perché il governo, che era stato informato dell'operazione, ha dato via
libera e ha espresso soddisfazione per la sua riuscita. Ma anche
l'``opposizione'' non ha trovato nulla da ridire, limitandosi a sottolineare,
all'unisono con il governo, che in questo modo la Telecom ``resta in mano
italiana''. E questo a riprova che davanti agli interessi del grande capitale
non ci sono differenze ideologiche e politiche che tengano tra i partiti del
regime neofascista.
Per Berlusconi la mossa di Tronchetti Provera è manna piovuta dal cielo: lo
libera da un alleato dell'Ulivo come Colaninno; lo libera da un fastidioso
potenziale rivale del suo impero mediatico, quale poteva essere La7 di
Pelliccioli, che aspirava a diventare il terzo polo televisivo: adesso
Pelliccioli è in partenza e La7 ha altri progetti; cementa l'alleanza tra il
neoduce e le grandi famiglie capitaliste, che fino a ieri lo tenevano a
distanza. E infine conferma il suo prezioso alleato, il governatore di
Bankitalia Fazio, nel ruolo che fu di Cuccia nel tessere la nuova geografia del
potere economico. Mentre, a sua volta, il nuovo Mussolini sta assumendo sempre
più il ruolo del ``garante'' politico di questo profondo riassetto del
capitalismo italiano.
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