LA POSIZIONE DEL PMLI SUL MOVIMENTO ANTIGLOBALIZZAZIONE
Documento
dell'Ufficio politico del PMLI
Il PMLI, sotto la personale e costante direzione del Segretario generale,
compagno Giovanni Scuderi, si è fin qui mosso in modo tempestivo ed efficace
rispetto all'emergere del movimento antiglobalizzazione, non facendosi trovare
né impreparato né in ritardo nell'afferrare fin dai suoi esordi le sue
potenzialità e indirizzare e mobilitare, in base alle conoscenze, i mezzi e le
forze limitate di cui dispone, l'azione dell'intero Partito al suo interno.
Attraverso "Il Bolscevico" e le indicazioni della Commissione centrale
di organizzazione sono stati forniti gli strumenti politici e organizzativi per
far sì che le nostre istanze e i nostri compagni fossero fin da subito calati
con una chiara linea politica e con adeguati accorgimenti tattici in questa
nuova realtà.
Tutto ciò, in particolare, ci ha permesso la qualificata e forte partecipazione
del Partito alla grandiosa manifestazione internazionale contro il G8 del 21
luglio a Genova, dove la nostra delegazione nazionale, con a capo il compagno
Simone Malesci e vicecapi i compagni Denis Branzanti e Antonella Casalini, ha
potuto brillare per le sue parole d'ordine antimperialiste e internazionaliste,
per il coraggio, la determinazione, la combattività, unità e disciplina
proletarie rivoluzionarie e marxiste-leniniste che certo non possono essere
sfuggite ai sinceri antimperialisti che hanno avuto la possibilità di vederci
all'opera come di sicuro non sono sfuggite al governo del neoduce Berlusconi e
alle sue "forze dell'ordine" che hanno con premeditazione caricato lo
spezzone di corteo dove erano presenti i marxisti-leninisti.
Ora si tratta di fornire al Partito ulteriori strumenti di conoscenza e
intervento concreto per il proseguimento del lavoro all'interno del movimento
che sta muovendo ancora i primi passi e che se non verrà soffocato in culla
dall'attuale direzione riformista, trotzkista e cattolica, può avere le
potenzialità per crescere e svilupparsi nei mesi avvenire.
LE CARATTERISTICHE DEL MOVIMENTO
Prima il successo dello sciopero dei metalmeccanici per il contratto del 6
luglio indetto dalla sola Fiom, poi le tre grandi giornate di luglio a Genova,
hanno confermato, nell'arco di poche settimane, ciò che al nostro Partito è
stato chiaro da sempre: ossia che anche quando la lotta di classe ristagna e
segna il passo, essa continua a covare sotto la cenere pronta ad esplodere di
nuovo.
Solo dei rimbambiti, miopi e opportunisti come i neorevisionisti e i trotzkisti
alla Bertinotti o alla Pintor e alla Rossanda, in assenza di uno scontro sociale
aperto e di movimenti di lotta visibili, piombano nella disperazione e nel
pessimismo e nella completa sfiducia nelle masse. Così mentre fino a pochi mesi
fa, di fronte alle ripetute batoste elettorali subite personalmente e dalla
coalizione del "centro-sinistra", i dirigenti di Rifondazione
decretavano la presunta "svolta a destra" delle masse italiane, oggi
sono ringazzulliti da questo movimento, fino a definirlo il "movimento dei
movimenti", nella speranza che esso li tragga in salvo dalle sabbie mobili
che li stavano ormai inghiottendo.
Il fatto è che nella società capitalista e imperialista le contraddizioni di
classe e sociali non avranno mai fine e prima o poi questo nodo viene sempre al
pettine. Ciò vale a livello mondiale per le contraddizioni insanabili fra
l'imperialismo e i paesi, le nazioni e i popoli da esso oppressi che sono
destinate a svilupparsi e a sfociare in rivolte di massa, in lotte di
liberazione nazionale e in rivoluzioni. E vale anche all'interno dei paesi
imperialisti dove le classi dominanti borghesi non possono fare a meno di
sfruttare, impoverire e opprimere il proletariato e le masse popolari per
soddisfare la ricerca del massimo profitto in patria e all'estero.
Il movimento in atto nel mondo e in Italia nasce come risposta alla
"globalizzazione" - ossia il mercato unico imperialista - che lungi
dal portare ricchezza e benessere, ha prodotto nuovi e spaventosi danni alle
condizioni di vita e di lavoro di miliardi di persone nel mondo. L'imperialismo
e la "globalizzazione", che da qualche tempo attraversa una fase
critica che può preludere a una recessione mondiale, hanno prodotto maggiore
sfruttamento, oppressione, guerre, miseria, fame, disoccupazione, prostituzione,
emigrazione di massa, devastazione dell'ambiente e inquinamento, ma anche nuove
e più profonde disuguaglianze economiche e sociali fra i paesi più ricchi e
quelli più poveri, fra le classi sfruttatrici e le classi sfruttate.
Come già era successo in passato, in occasione di altri movimenti
antimperialisti, il movimento antiglobalizzazione nasce e si sviluppa prima di
tutto all'interno dei paesi imperialisti più ricchi che dominano l'economia e
la finanza mondiale. Esordisce negli Usa, l'imperialismo tuttora più forte in
tutti i campi, più pericoloso e arrogante, poi si sviluppa in Europa, la
superpotenza in ascesa e il rivale più diretto degli Usa anche se legata ad
essi da tanti fili e interessi. Echi di tale movimento si hanno anche in paesi
più poveri e del Terzo Mondo, dell'Africa, Asia e America Latina, ma la loro
voce è diventata estremamente più debole da quando non c'è più Mao e la Cina
socialista che li avevano resi protagonisti della lotta antimperialista su scala
mondiale.
In Italia il movimento antiglobalizzazione ha mosso i primi passi, seppur in
modo frammentario, durante la guerra di aggressione imperialista alla Repubblica
federale jugoslava e con una serie di manifestazioni a carattere locale che
evidenziavano il grande potenziale rivoluzionario dei giovani che vi prendevano
parte, la loro sete di giustizia sociale e la loro disponibilità alla lotta. E'
il caso della grande manifestazione contro la Nato a Firenze del 24 maggio 2000,
alla quale la delegazione del PMLI partecipò sotto la direzione del Segretario
generale, e della manifestazione anti-global forum del 17 marzo 2001 a Napoli.
Con le manifestazioni anti-G8 di Genova il movimento fa un salto di qualità per
forza e determinazione, capacità di coinvolgimento, per il carattere nazionale
e internazionale che assume.
Rispetto agli altri paesi imperialisti, in Italia il movimento
antiglobalizzazione riesce ad avere un maggiore appoggio di massa e popolare,
dimostrando ancora una volta che la classe operaia e le masse popolari italiane
sono fra le più avanzate e coscienti dell'occidente capitalistico. In ciò si
può notare una similitudine con quanto era accaduto nella Grande Rivolta del
Sessantotto che nel mondo imperialista era partita dalle università americane,
ma che solo in Italia e in Francia ha avuto quella profondità, quella asprezza
degli scontri di classe, quella durata e capacità di coinvolgimento e di
sconvolgimento sociale e politico che hanno segnato la storia del nostro Paese.
Le ragioni di tali peculiarità stanno nella tradizionale e storica sensibilità
del nostro popolo nei confronti delle contraddizioni internazionali e alla lotta
antimperialista a cui si saldano le contraddizioni sociali e politiche del
capitalismo italiano che, specie oggi in piena seconda repubblica capitalista,
neofascista, presidenzialista e federalista, riacuiscono le insanabili
contraddizioni fra proletariato e borghesia, fra capitale e lavoro, fra nord e
sud del Paese.
Già nel dicembre 1998, il compagno Scuderi nel Rapporto al 4° Congresso
nazionale del Partito, aveva avvertito che "in alcune roccaforti
imperialiste c'è un certo risveglio delle masse. Comincia di nuovo a farsi
sentire la contraddizione tra il proletariato e la borghesia nei paesi
capitalisti e imperialisti. Nel nostro Paese attualmente sono gli studenti e i
giovani disoccupati che danno maggiori segni di ribellione anticapitalista. Non
c'è da meravigliarsi perché i giovani sono sempre i primi a muoversi, a
scendere in lotta, e le loro lotte annunciano le grandi tempeste sociali".
La storica e fondata grande fiducia che il nostro Partito ha sempre riposto nei
giovani è stata puntualmente confermata, ivi compresa la loro significativa e
qualificata partecipazione all'odierna commemorazione di Mao.
Come già nel '68 e nel '77, i giovani sono stati i primi a scendere in piazza
con coraggio ed entusiasmo e rappresentano attualmente la componente principale
e l'anima vitale del movimento antiglobalizzazione.
Si tratta di un evento importantissimo, poiché era da quelle grandi stagioni di
lotta che una nuova generazione di giovani non scendeva in campo su un terreno
oggettivamente antimperialista e anticapitalista. Non che da allora i giovani
siano stati con le mani in mano. Anche nel movimento per la pace e contro la
guerra degli anni '80 erano in prima fila, contro la controriforma
dell'Università e della scuola gli studenti hanno dato vita agli importanti
movimenti della "Pantera" e della "Tigre" nel '90. Ma
certamente, per le tematiche che affronta e le forze che può mettere in campo,
il movimento antiglobalizzazione si presenta con un maggior respiro e con
maggiori similitudini, quanto meno potenziali, con i movimenti del '68 e del
'77.
Ovviamente ancora molto lo separano da quei movimenti rivoluzionari,
antimperialisti, anticapitalisti, antifascisti e antirevisionisti, la cui parte
più avanzata arrivò persino a porsi il problema della conquista del potere
politico da parte del proletariato. Diverse sono le condizioni storiche e
politiche internazionali e nazionali. Quei movimenti potevano ancora godere
della potente influenza della Cina socialista di Mao che teneva accesa
sull'intero pianeta la fiaccola del marxismo-leninismo, dell'antimperialismo,
dell'internazionalismo proletario e del socialismo, contrastando il processo di
deideologizzazione e decomunistizzazione avviato fin dal '56 dai revisionisti
moderni in Urss e in tutti i paesi come l'Italia dove potevano contare su forti
partiti revisionisti come il PCI.
Questa nuova generazione è scesa in campo disarmata ideologicamente,
culturalmente e politicamente dal punto di vista di classe, essa, come ha
sottolineato il 16 settembre il Segretario generale nel discorso "Mao e le
due culture", non conosce niente di marxismo-leninismo-pensiero di Mao,
niente della storia del movimento operaio italiano e internazionale, della
storia del Sessantotto e dei movimenti di liberazione nazionale del secolo
appena trascorso. Essa è stata volutamente tenuta all'oscuro
dell'importantissima esperienza di lotta del nostro proletariato e della nostra
gioventù e dovrebbe in futuro non avvalersene e ripudiarla sia dal punto di
vista ideologico che politico, programmatico, organizzativo e delle forme di
lotta.
Oggi il disarmo ideologico e politico causato dalla direzione borghese e
riformista della classe operaia e delle masse popolari e giovanili rappresenta
una pesante zavorra per il movimento antiglobalizzazione. L'idealismo e
l'umanitarismo, le illusioni parlamentari, elettorali, riformiste e pacifiste,
sparse dai revisionisti, neorevisionisti e trotzkisti, da una parte, e quelle
movimentiste e avventuristiche di piccolo gruppo, dall'altra, imprigionano in
una camicia di forza i giovani anticapitalisti e antimperialisti.
E altrettanto imprigionano la classe operaia che, pur dando degli importanti
segnali di risveglio, è ancora prevalentemente vittima dell'egemonia e del
controllo dei rinnegati e dei falsi comunisti, nonché dei vertici sindacali
collaborazionisti e borghesi. Questa egemonia e questo controllo, fra l'altro,
sono uno dei fattori che tuttora ha impedito l'incontro fra il movimento operaio
e sindacale e il movimento antiglobalizzazione. L'altro fattore sta nella stessa
direzione del movimento che non ricerca e per certi versi allontana e respinge
tale alleanza.
Solo un malato cronico di spontaneismo e di trotzkismo come Bertinotti può
affermare, probabilmente rispondendo a una nostra analisi contraria, che è
sorta una "nuova generazione di lavoratrici e lavoratori... consapevole
continuatrice di una tradizione di battaglia in cui si esprime una coscienza di
classe per sé che continuamente si riproduce" ("la rivista del
manifesto", settembre 2001).
Per noi valgono le parole del Segretario generale pronunciate al 4° Congresso
nazionale: "Attualmente il proletariato italiano lotta oggettivamente, nei
fatti contro la borghesia ma non ne mette in discussione il potere politico.
Lotta per migliorare le sue condizioni di vita e di lavoro ma non per abolire le
cause che generano il suo malessere e la sua subalternità sociale. Esso vive,
agisce e lotta come una classe in sé, cioè una classe di fatto, ma non come
una classe per sé, consapevole della sua natura, dei suoi compiti e del suo
ruolo storico, indipendente e autonoma ideologicamente, politicamente e
organizzativamente dalla borghesia e antagonista a essa, cosciente di essere una
classe generale destinata a succedere alla borghesia al potere e a por fine una
volta per tutte a ogni forma di sfruttamento dell'uomo sull'uomo e ad emancipare
l'intera umanità. Solo il PMLI in quanto avanguardia cosciente e organizzata
del proletariato, può dare al proletariato la coscienza di essere classe per
sé e quindi risvegliarlo, rilanciarlo, organizzarlo e guidarlo nella lotta per
il socialismo. Un compito titanico ma assolutamente necessario se vogliamo
trasformare cielo e terra".
Un'altra importante componente del movimento antiglobalizzazione è
rappresentata dai cristiani sia nella parte che fa capo direttamente al papa e
in Italia alla Cei, sia in quella che fa riferimento a tutto il variegato mondo
dell'associazionismo cattolico, dall'Agesci, all'Azione cattolica, Pax Christi,
Caritas, Mani Tese e le numerose organizzazioni di missionari fra cui
"Nigrizia".
Anche tale massiccia partecipazione dei cristiani e dei cattolici assimila
questo movimento a quello del Sessantotto. Solo che allora era questa componente
a essere fortemente attratta e influenzata dalla lotta antimperialista e
anticapitalista che infiammava il mondo e l'Italia e si spingeva nella sua parte
più avanzata finanche a sostenere la lotta per il socialismo. Mentre adesso fa
fatica a sottrarsi all'egemonia culturale e politica del papa e delle autorità
ecclesiastiche che lavorano alacremente per lo più incontrastati per far
prevalere nel movimento la propria visione idealista, interclassista,
umanitarista, solidarista e pacifista.
E' dunque inevitabile allo stato attuale dei fatti che questo movimento sia
sostanzialmente egemonizzato da una visione idealista, pacifista e riformista, e
quindi borghese, del mondo. E che in esso prevalgono il solidarismo umanitario,
interclassista, idealista e cattolico in luogo dell'internazionalismo
proletario, il riformismo, la "non violenza", il dialogo e la
collaborazione istituzionale, in luogo di una coerente lotta antimperialista e
rivoluzionaria.
LA LINEA POLITICA DEL MOVIMENTO
Il movimento antiglobalizzazione è oggettivamente un movimento antimperialista
perché combattendo il neoliberismo, ossia la politica economica attuale dei
paesi imperialisti, e la "globalizzazione" di fatto compie delle
azioni che concretamente infliggono dei danni all'imperialismo. Ma non lo è
soggettivamente perché non muove da un'analisi di classe del mondo, non ha
coscienza della natura, delle caratteristiche e della politica dell'imperialismo
e non lo individua come il suo nemico da combattere e abbattere. Men che mai ha
compreso la natura imperialista della superpotenza europea ai cui interessi
rischia di essere subordinato e strumentalizzato.
Questo movimento, come sostiene l'appello del primo Forum sociale mondiale di
Porto Alegre, l'unico documento al momento preso come punto di riferimento da
tutte le sue componenti interne, fuorché dal PMLI, mette al centro della
propria linea politica "la lotta al neoliberismo in nome
dell'umanità".
Pertanto mette in discussione solo l'attuale politica economica
dell'imperialismo ma non l'imperialismo stesso che infatti nemmeno nomina, ed
esclude esplicitamente la questione del potere politico deviando la lotta di
liberazione dei popoli e la lotta delle masse sul piano dell'economismo e
dell'anarco sindacalismo.
L'umanità, vale a dire il genere umano, è il complesso di tutti gli esseri
umani, quindi anche degli imperialisti e dei governanti che praticano il
neoliberismo. Essa non pone distinzione tra le classi e tra i paesi che
opprimono e i paesi oppressi. Mettere perciò al centro della propria lotta
politica l'umanità equivale a impantanarsi nell'interclassismo, nel solidarismo
cattolico e nel riformismo, equivale in ultima analisi a ripetere lo stesso
discorso degli imperialisti, del papa e della chiesa cattolica. E ad
accontentarsi nel migliore dei casi di fare la sinistra dell'imperialismo.
La stessa lotta contro la "globalizzazione" risulta spuntata e
incapace di realizzare obiettivi concreti e duraturi. Infatti non si può
combattere la "globalizzazione" senza mettere in discussione
l'imperialismo che l'ha generata, la alimenta, la governa e la difende
attraverso le sue istituzioni statali, politiche, economiche, finanziarie e
militari. Se non si combattono gli Stati, i governi, le alleanze e istituzioni e
organismi internazionali dell'imperialismo, se non ci si pone l'obiettivo di
spazzare via la Nato, la Ue, ciò che resta dell'Ueo, l'Ocse e anche l'Onu. Se
non si combatte l'imperialismo, in primo luogo dall'interno nelle sue
roccaforti, per indebolirlo, fiaccarlo, demonizzarlo, dividerlo e disperderne le
forze cominciando dal "proprio" imperialismo, nel nostro caso quello
italiano, e dal governo del neoduce Berlusconi che ne regge le sorti. In questo
quadro, la stessa piattaforma rivendicativa pur condivisibile in molte sue
parti, risente fortemente dell'egemonia riformista e cattolica e del fatto che
non si vuole mettere nel mirino la politica degli Stati, dei governi e delle sue
istituzioni borghesi e imperialiste. Attac-Italia (Attac in francese vuol dire
Associazione per una tassa Tobin di aiuto ai cittadini), per bocca di Fiorino
Iantorno, come riporta il "Corriere della sera" del 9 settembre, ha
dichiarato, probabilmente in polemica anche con la nostra posizione: "Ci
vuole aria nuova... Smettiamola con gli slogan tipo 'fuori l'Italia dalla Nato',
puntiamo sulla contestazione creativa". E non a caso la stessa Attac,
insieme alla rete Lilliput, che raccoglie una serie di associazioni cattoliche e
non (tipo WWF), è fra i sostenitori della "Carta dei diritti
europea".
Si vuole infatti far passare nel movimento l'idea che non si tratta di lottare
contro la "globalizzazione" in generale, ma solo contro
"questa" globalizzazione, cioè limitandosi a rimuovere solo gli
effetti più perversi dell'attuale politica economica imperialista, dandogli
delle regole, un'etica, "umanizzandola".
Una parola d'ordine che unisce i dirigenti di Rifondazione al papa, a esponenti
governativi e istituzionali borghesi come il governatore di Bankitalia Fazio e
al primo ministro francese Jospin che ha appena scritto un libro per una
"mondializzazione dal volto umano".
Il papa e i governanti e i politicanti della destra e della "sinistra"
borghese sono infatti preoccupati della crisi della "globalizzazione"
e delle reazioni che essa suscita fra i popoli e le classi sfruttate e oppresse.
La "sinistra" borghese in particolare ambisce e si candida a governare
la "globalizzazione", ossia l'imperialismo, "pacificamente"
e col consenso delle masse, anche se ormai la storia ha ampiamente dimostrato
che questo è impossibile.
La parola d'ordine "Un altro mondo è possibile" lanciata a Porto
Alegre e ripresa dal Genoa social forum leggermente modicata in "Un mondo
diverso è possibile", risponde a questa visione idealista, riformista e
cattolica del mondo. Questo mondo diverso, di cui non a caso si lasciano
indefiniti tratti e caratteristiche, si realizzerebbe infatti non abbattendo
l'imperialismo e il capitalismo e conquistando il potere politico, ma
nell'ambito del capitalismo stesso attraverso la lotta al neoliberismo e
sottraendo il dominio della "globalizzazione" alle multinazionali per
restituirlo alle istituzioni politiche e statali adeguatamente
"riformate" e supportate dalla cosiddetta "democrazia
partecipata", che in Italia ha la sua espressione nel "Bilancio
partecipato" già introdotto dalle amministrazioni di
"centro-sinistra" a Roma e Napoli. La "democrazia
partecipata" avrebbe il compito di esercitare il controllo della
"società civile" sull'operato degli Stati, delle imprese e sul
funzionamento del mercato da realizzarsi essenzialmente col dialogo e la
partecipazione alle istituzioni borghesi e alle organizzazioni e alleanze
imperialiste. Una formula che Bertinotti spaccia per "democrazia
diretta", ma che in realtà è il trucco con cui tenta di recuperare il
consenso e di coinvolgere le masse nelle istituzioni rappresentative borghesi e
di evitare uno sbocco rivoluzionario alle lotte antimperialiste dei popoli e del
proletariato.
Inutile dire che si tratta di tesi illusorie e ingannatorie, frutto di un ormai
vecchio e fallito riformismo e pacifismo borghesi, volte a tarpare le ali al
movimento antiglobalizzazione.
Dal momento che nel movimento è stato posto il problema dell'obiettivo
strategico riguardante una nuova società, non possiamo sottrarci dalla critica
di tale obiettivo e non contrapporgli la nostra visione strategica. Per noi
infatti l'unico mondo possibile in alternativa a questo mondo dominato
dall'imperialismo, è un mondo socialista, un mondo che nasce dalle macerie
dell'imperialismo e dalla conquista del potere politico da parte del
proletariato. Senza di che è impossibile emancipare l'umanità.
Ma la nostra strategia non possiamo trasportarla meccanicamente nel movimento.
Bisogna che le masse maturino questa coscienza sviluppando lo studio, la
riflessione e l'esperienza concreta e di lotta.
Noi dobbiamo lavorare perché la lotta contro l'imperialismo continui e si
rafforzi sempre più. Non c'è assolutamente bisogno di "fare una pausa di
riflessione". In realtà le reazioni belliciste di Bush, della Nato e della
Ue confermano quanto inumano, ingiusto e guerrafondaio è l'imperialismo. La
manifestazione anti Nato di Napoli non deve essere sospesa, come qualche capetto
dei centri sociali vorrebbe. Spaventato e disorientato dagli attentati
terroristi agli Usa. Anzi, il movimento deve sviluppare la sua lotta non
rinunciando alla piazza e alla lotta di massa e autoconfinandosi in convegni di
studio. La situazione politica lo richiede quanto mai. Dobbiamo fermare la
guerra imperialista ai paesi sospettati di terrorismo. Bisogna sabotare la
macchina da guerra dell'imperialismo. Né un soldo, né un soldato, né una base
per la guerra imperialista all'Afghanistan.
Dobbiamo batterci contro il tentativo in atto di obbligare le masse, nel nome
della non-violenza e del più imbelle pacifismo, a rinunciare alle tradizionali
forme di lotta del movimento operaio e popolare, quali le manifestazioni di
piazza, i cortei, i presidi, le occupazioni, i blocchi stradali e ferroviari, i
picchetti. Esse non possono in alcun modo essere paragonati al terrorismo e
nemmeno alla violenza di piccolo gruppo, individualista, avventurista e staccata
dalle masse che come dimostrano la storia e l'esperienza quotidiana rafforzano
l'imperialismo, gli forniscono alibi di vittima e giustificano le sue
rappresaglie e le sue misure antiterroristiche. Senza contare i gravissimi danni
che creano nella coscienza politica delle masse che vengono defraudate ed
esonerate dalla lotta antimperialista.
La lotta di massa e di piazza invece accrescono la coscienza politica di chi vi
partecipa e vi contribuisce, suscitano consensi a livello di massa, allargano il
fronte antimperialista e infliggono dei duri colpi agli imperialisti e ai loro
governi.
LA DIREZIONE DEL MOVIMENTO
La storia e la composizione di questo movimento non hanno dato vita a un'unica
direzione, in quanto ogni componente risponde ai propri teorici e ai propri
rappresentanti. La nascita del Genoa social forum è stato un primo tentativo di
dargli una direzione unitaria. In realtà questo obiettivo per ora non è stato
realizzato. Profonde contraddizioni attraversano le varie componenti riformiste
sia "laiche" che cattoliche, che si fronteggiano per assicurarsi
l'egemonia del movimento. Pertanto è stata anche rinviata la nascita del Forum
sociale italiano che Vittorio Agnoletto aveva annunciato per l'inizio di
settembre e che invece è stato rimandata a un'assemblea nazionale convocata a
Firenze per il 20 e 21 ottobre prossimo.
Da una parte vi sono una serie di organizzazioni cattoliche come le Acli, ma
anche la stessa "Nigrizia", che dopo Genova pretendono che il
movimento assuma pregiudizialmente e in modo vincolante la cultura e la pratica
del pacifismo e della non violenza, e sono assai restii a rinunciare alla
propria autonomia politica e organizzativa. Dall'altra, settori di
"sinistra", come i Cobas, e in particolare quello della scuola che fa
capo al trotzkista Bernocchi, e una serie di centri sociali, i quali si
oppongono alla nascita di un organismo nazionale frutto di un'alleanza di tipo
verticistico, che probabilmente li metterebbe in minoranza, e sostengono invece
che un tale organismo debba essere il frutto di un ampio coinvolgimento dei
forum locali. Il che da un altro punto di vista non sarebbe sbagliato.
Ormai è chiaro che Rifondazione - che agisce in prima persona attraverso i suoi
dirigenti nazionali e indirettamente attraverso una serie di valletti a capo di
centri sociali e organizzazioni movimentiste come Luca Casarini e Francesco
Caruso -, ha fretta di arrivare a costituire un tale organismo nazionale, che
già presenta come la realizzazione dell'idea della "Costituente dei
movimenti", e di legarlo mani e piedi al Forum sociale mondiale che terrà
il suo secondo appuntamento internazionale a Porto Alegre dal 31 gennaio al 5
febbraio 2002, con la parola d'ordine "Un altro mondo in costruzione".
Per il gruppo dirigente di Rifondazione questo movimento rappresenta infatti
un'occasione irrinunciabile per ridare fiato al partito a livello politico ed
elettorale, condizionare a proprio vantaggio la "sinistra" DS,
stringere i suoi rapporti con la socialdemocrazia e il trotzkismo
internazionale.
Non a caso la "Centralità del rapporto col movimento" sarà al centro
del dibattito congressuale in vista dell'assise nazionale previsto per il marzo
2002.
Secondo Bertinotti, come ha affermato nella relazione alla Direzione nazionale
riunita in vista del congresso l'11 settembre: "la stagione dei movimenti
ci offre una grande occasione e ci pone una sfida estrema. Abbiamo la
possibilità di superare la crisi della politica e di fare passi decisivi sulla
discussione dell'eredità del Novecento. Questa fase può dunque determinare
veramente lo sviluppo di un nuovo partito comunista di massa oppure condannarlo
a un ruolo residuo". In un articolo per "La rivista del
manifesto" del mese in corso, Bertinotti allargando la prospettiva afferma
che "la partecipazione organica di Rifondazione a questi movimenti va
ulteriormente approfondita e allargata, proprio perché per questa strada è
possibile non solo alludere ma concretamente pervenire alla costruzione di una
sinistra di alternativa".
Non vogliamo in questa sede entrare in merito alla concezione tipicamente
trotzkista, movimentista e spontaneista del leader di Rifondazione trotzkista a
proposito del rapporto partito-movimenti, ma certamente non possiamo che
denunciare e smascherare il tentativo di Rifondazione di strumentalizzare il
movimento antiglobalizzazione a fini elettoralistici e governativi. La
"Costituente della sinistra alternativa" è un problema che riguarda
il PRC, settori dei DS e dei Verdi e non può essere in nessun caso posto
nell'agenda del movimento. Comunque appare ormai chiaro che Rifondazione e i
suoi lacché vogliono fare del movimento antiglobalizzazione una massa di
manovra del "centro-sinistra" in vista di un futuro governo di tipo
jospiniano. Ed a questo mirano in fondo i ripetuti appelli di Bertinotti,
Agnoletto e la Rossanda affinché i DS non rifuggano il rapporto col movimento
ma si prestino a fargli da sponda istituzionale come appunto ha fatto Jospen in
Francia.
Per quanto riguarda la direzione del movimento per noi vale ciò che abbiamo fin
qui scritto. Il movimento antigloblizzazione non potrà mai maturare pienamente
una strategia, una politica e una pratica antimperialista senza una ideologia,
una linea e una direzione proletaria rivoluzionaria.
All'attuale direzione verticistica e fallimentare, noi contrapponiamo il
principio della "democrazia diretta". Per noi tutto il potere deve
essere dato alle assemblee generali del movimento a livello locale e nazionale
per permettere a tutti di esprimersi e di partecipare alla elaborazione della
linea politica, delle piattaforme rivendicative, delle forme organizzative e di
lotta, degli appuntamenti e di ogni altra decisione. La democrazia diretta e le
assemblee generali sono le uniche armi vincenti e già sperimentate nella
pratica per sottrarsi al controllo e alle infiltrazioni dei partiti governativi
e parlamentari, per far crescere la coscienza politica delle masse, per
elaborare adeguate piattaforme rivendicative veramente rispondenti ai bisogni e
alle aspettative delle masse in lotta, per eleggere, controllare e destituire
quando occorra i propri dirigenti, per organizzare, dirigere e portare al
successo il movimento antiglobalizzazione.
La democrazia diretta peraltro crea le migliori condizioni all'azione del
Partito del proletariato affinché prevalgano attraverso lo scontro delle idee
l'egemonia e la direzione proletaria rivoluzionaria sull'egemonia e la direzione
della borghesia.
LA NOSTRA AZIONE NEL MOVIMENTO
Mentre si riempie la bocca di "contaminazione" e di "interferenza
culturale e politica", l'attuale direzione del movimento
antiglobalizzazione quando si tratta di dar voce ai marxisti-leninisti passa
repentinamente, come un qualsiasi partito borghese, governativo e anticomunista,
alla politica del catenaccio, dell'ostruzionismo, del sabotaggio e
dell'isolamento pur di impedirci di far giungere la nostra voce e le nostre
parole d'ordine all'interno del movimento e degli organismi di massa. Arrivando
persino ad attaccarci subdolamente, come hanno fatto i dirigenti di Rifondazione
per la penna di Ramon Mantovani su "Liberazione" del 9 agosto,
stravolgendo completamente le nostre posizioni.
Dobbiamo porci il problema di come aggirare e rompere questo catenaccio e far
giungere così la nostra linea ai giovani e alle masse antimperialiste in lotta.
Abbiamo già numerose prove che quando i giovani e le masse riescono a entrare
in contatto con noi, le nostre posizioni, le nostre parole d'ordine, il nostro
stile di lavoro e di lotta attirano la loro simpatia e il loro interesse, e il
consenso degli elementi più avanzati meno influenzati dai falsi nemici della
"globalizzazione" e più aperti al confronto.
Anzi tutto occorre premettere che il movimento antiglobalizzazione non è il
"movimento dei movimenti", come sostiene la pseudo-teorica femminista
Naomi Klein e come ripetono i pappagalli Bertinotti e soci. Cioè esso non è il
movimento che abbraccia tutti gli altri, li dirige e di fatto li esaurisce. Per
noi il movimento antiglobalizzazione è uno dei movimenti con il quale il
movimento operaio e sindacale, in primo luogo, il movimento dei disoccupati, il
movimento studentesco, e tutti gli altri movimenti delle masse devono ricercare
un'alleanza, una unità d'azione sulla base di rivendicazioni e obiettivi comuni
e con il quale sostenersi e appoggiarsi l'un gli altri.
Questo significa che il nostro lavoro politico e di massa non può e non deve
concentrarsi ed esaurirsi esclusivamente all'interno di questo nuovo movimento.
Per noi è fondamentale continuare a lavorare negli altri movimenti, e in primo
luogo in quello operaio e sindacale, dei disoccupati e studentesco. Si tratta di
stabilire, da parte di ciascuna istanza, le priorità, in base alle condizioni e
alle situazioni concrete in cui ci troviamo a operare, allo spazio e alle forze
materiali e umane che abbiamo a disposizione.
La parola d'ordine da tenere a mente nel nostro lavoro politico, come ha
indicato il 4° Congresso, è "Studiare, concentrasi sulle priorità,
radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare".
Anche là dove il lavoro nel movimento antiglobalizzazione non ha la priorità,
non dobbiamo comunque lasciarci sfuggire l'occasione di partecipare ad assemblee
e manifestazioni nazionali e locali e in quelle sedi intervenire e diffondere il
nostro materiale affinché la linea antimperialista del Partito giunga comunque
in qualche modo alle masse.
Là dove abbiamo la forza e le condizioni per fare un lavoro politico e di massa
specifico all'interno del movimento antiglobalizzazione dobbiamo elaborare dei
programmi e organizzarsi di conseguenza.
Si tratta innanzitutto di studiare attentamente la linea del Partito e le
tematiche che vengono affrontate all'interno del movimento. Fondamentali a
questo riguardo sono i discorsi del compagno Scuderi "Mao e
l'imperialismo" e "Mao e le due culture", pronunciati in
occasione delle commemorazione di Mao del 1996 e di quest'anno, il Rapporto al
4° Congresso nazionale del Partito, nonché il nostro Programma d'azione nelle
parti che trattano i temi in discussione nel movimento. A questi documenti si
accompagnano gli interventi de "Il Bolscevico" che via via aggiornano
e approfondiscono la nostra posizione e le posizioni delle altre correnti
politiche.
Dobbiamo assumere nel movimento una posizione di punta, di avanguardia, facendo
però bene attenzione a non sopravanzare di molto la coscienza media delle masse
con cui operiamo. Mai dobbiamo confondere quelli che sono i compiti strategici
del Partito con quelli del movimento antiglobalizzazione.
Il nostro scopo in ogni movimento è quello di unire la sinistra, conquistare il
centro e isolare e battere le posizioni arretrate e di destra. In quest'ambito
facendo perno sulla democrazia diretta e sull'Assemblea generale, il Partito
deve praticare un'abile e intelligente politica di fronte unito verso la
sinistra del movimento cercando di unire tutte quelle forze che, pur non
marxiste-leniniste per ideologia, cultura, appartenenza organizzativa,
concordano con la linea e le parole d'ordine antimperialiste del Partito, con le
sue proposte politiche e organizzative. E vanno soprattutto ricercati il
dialogo, il confronto e la collaborazione con la base del PRC, del PdCI e dei
DS, con i giovani dei centri sociali che in generale rappresentano la componente
politicamente più avanzata e più ricettiva verso la linea antimperialista del
Partito. Ma anche con settori delle masse cattoliche che non solo sono
particolarmente sensibili alla lotta antiglobalizzazione, ma, come hanno
dimostrato nel passato, sono sensibili e conquistabili alla causa del
socialismo.
Allo scopo di spezzare il cordone sanitario che i dirigenti neorevisionisti,
trotzkisti e movimentisti ci tengono intorno, occorre agire con intelligenza
tattica. Per esempio promuovendo incontri separati, per scambi di informazioni,
consultazioni e confronti con i vari partiti, gruppi o organizzazioni che
operano nel movimento e che sono disposti al dialogo con i marxisti-leninisti.
Pensiamo a sezioni di Rifondazione o dei centri sociali, ma anche a
organizzazioni e gruppi cristiani, cattolici e del volontariato. Si tratta di
tentare di far cadere gradualmente la pregiudiziale antimarxista-leninista e far
affermare il diritto del nostro Partito allo stesso spazio e trattamento delle
altre correnti politiche che operano, più o meno alla luce del sole, ma
inevitabilmente, nel movimento.
Questo lavoro diplomatico e tattico sarà certamente tanto più efficace quanto
più riusciremo a crearci una nostra base di massa che è un nostro obiettivo
primario in ogni movimento e organismo di massa in cui operiamo.
Attualmente non ci pare ci siano le condizioni per una nostra adesione al Forum
sociale italiano in via di costituzione. Sembra ormai chiaro, in base anche alle
dichiarazioni rilasciate da Agnoletto a conclusione del consiglio dei portavoce
del Genoa Social Forum riunito a Bologna il 9 e 10 settembre scorsi, che questo
organismo nazionale nascerà come distaccamento del Forum sociale mondiale di
Porto Alegre che viene ormai presentato come una sorta di "Internazionale
antiliberista". Una "Internazionale" sostanzialmente egemonizzata
dalla socialdemocrazia internazionale e in particolare europea, sia nella sua
versione di destra, riformista, che di "sinistra", trotzkista, e la
cui guida sembra destinata a essere affidata a Marcos che, abbandonato il
passamontagna e disarmato il suo esercito in Chiapas, ora è pronto a indossare
giacca e cravatta per il ruolo di leader politico pacifista e non-violento.
Altro discorso sono i Forum sociali locali rispetto ai quali tatticamente, là
dove vi sono le opportunità e le condizioni, e dove ne abbiamo la forza,
abbiamo interesse ad aderire e a partecipare.
Anche per quanto riguarda il nostro lavoro nel movimento antiglobalizzazione
dobbiamo impugnare le nostre coordinate del lavoro politico e di massa e agire
di conseguenza. Dobbiamo sempre tenere presenti quali sono gli elementi
costitutivi della nostra linea di massa, ossia: avere fiducia nelle masse, aver
cura dei loro interessi, mettersi alla loro testa, partire dalle loro esigenze e
non dai nostri desideri, tener conto del loro attuale livello di coscienza,
avere un corretto metodo di direzione, praticare una larga politica di fronte
unito.
Coi maestri vinceremo!
L'Ufficio politico del PMLI
Firenze, 16 settembre 2001
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