Diminuiscono i consumi secondo il rapporto Istat sulla "Povertà in Italia nel 2002"
10 milioni di poveri sempre più poveri
Nel Mezzogiorno sono il doppio
Nell'Italia di Berlusconi diminuiscono i consumi e i poveri non solo non diminuiscono ma sono sempre più poveri e si conferma il distacco del Sud dal resto del Paese. Questo è in sostanza quanto emerge dall'annuale rapporto dell'Istat su "La povertà in Italia nel 2002".
Elaborata su un campione di 27 mila famiglie, l'indagine dell'Istat rivela infatti che 10.056.000 persone, il 17,7% della popolazione, sopravvivono con redditi mensili da fame, e tra questi quasi tre milioni (2.916.000 persone, quasi un milione di famiglie, pari al 4,2% del totale) non riescono nemmeno a raggiungere quella che è considerata ufficialmente la soglia della povertà assoluta, 573 euro mensili per una famiglia di due persone. Si tratta di quelle famiglie che per l'Istat non sono neanche in grado di acquistare un minimo di beni e servizi ritenuti indispensabili per la sopravvivenza, rappresentati da un "paniere" che comprende un minimo di cibi per il sostentamento e di spese per affitto, acqua, luce, gas, telefono, vestiario, istruzione e sanità.
Ci sono poi altre 2.456.000 famiglie, l'11% del totale, che pur restando statisticamente al di sopra di quella spaventevole soglia, vivono però in condizioni di "povertà relativa", cioè con un reddito inferiore alla media dei consumi di tutti gli italiani nel loro complesso. Che non è poi molto più alto della soglia di povertà assoluta, dal momento che per il 2002 è stato calcolato dall'Istat in una spesa di 823,45 euro pro capite, e rapportato sempre a una famiglia di due persone. Vale a dire che ben 7.140.000 persone (il 12,4% dell'intera popolazione), pur non considerate ufficialmente povere, sopravvivono con un reddito che è circa la metà di quello medio pro capite.
E se questo è il caso di una famiglia di due persone, la situazione è ancor peggiore per le famiglie più numerose, dato che il reddito complessivo di riferimento non cresce in proporzione al numero di componenti (per una famiglia di quattro persone, ad esempio, il reddito di "povertà relativa" non è il doppio di 823,45 ma aumenta solo del 63%). Cosicché la povertà, sia in termini assoluti che "relativi", è più frequente tra le famiglie con tre o più figli. Si calcola infatti che ben un quarto delle famiglie con cinque o più componenti sia povera, ben al di sopra della media del 17,7%.
E la povertà colpisce sempre più al Sud che al Centro e al Nord del Paese: al Sud le famiglie povere sono il 22,4% (il 32,4% se si considerano le famiglie più numerose). Al Sud sono concentrate ben il 66% delle famiglie e il 68% delle persone povere, praticamente il doppio che in tutto il Centro-Nord. E se a livello nazionale è povero il 17,4% delle famiglie con due o più anziani, nel Mezzogiorno sono il 33%.
Ma la situazione generale e quella del nostro Meridione in particolare assumerebbero dimensioni ancor più gravi se le cifre fornite dall'Istat non fossero in una certa misura "truccate" dal meccanismo contabile che calcola la soglia della "povertà relativa". Quest'ultima infatti è legata al tasso di inflazione e ai consumi, e nel 2002 i consumi sono complessivamente diminuiti, specialmente quelli non alimentari. Per mantenere lo stesso livello del 2001, in presenza di un'inflazione stimata al 2,5%, i consumi avrebbero dovuto attestarsi a una spesa pro capite di 844 euro mentre invece, come abbiamo visto, questa è stata inferiore, e pari a 823,45. Cioè l'aumento nominale dei consumi è stato inferiore all'inflazione, e il tenore di vita medio degli italiani si è abbassato.
Uno smacco reale per il governo del neoduce Berlusconi, che si vanta di aver aumentato il "benessere" e lo "sviluppo" del Paese, ma che paradossalmente viene sfruttato proprio per dimostrare la validità "virtuale" di questa falsa tesi. Infatti, l'abbassamento del reddito pro capite abbassa anche la soglia di "povertà relativa", e di conseguenza il numero di famiglie che vivono al di sotto di quella soglia. C'è quindi un certo numero di famiglie, circa 198 mila che erano classificate relativamente povere nel 2001, che non lo sono più nel 2002, pur non avendo aumentato il loro tenore di vita reale, o addirittura avendolo perfino diminuito.
è questo meccanismo che ha permesso ai responsabili dell'Istat, evidentemente ansiosi di assecondare la propaganda del governo, di sostenere che la povertà sarebbe diminuita dal 12 all'11% nel 2002 rispetto al 2001, e che al Centro e al Sud (al Nord è aumentata comunque anche in cifra) ci sarebbe stata "un'inversione di tendenza dovuta ad una leggera ripresa dell'occupazione".
Ma anche a prescindere da questo relativo "abbellimento" le cifre dell'Istat disegnano un quadro assai desolante, specie se si considera che in ogni caso le famiglie che restano classificate come povere lo sono ancora di più nel 2002 che nel 2001: è cioè aumentata quella che viene definita "intensità di povertà", che indica di quanto la spesa delle famiglie povere è in percentuale al di sotto della soglia di povertà, e che è salita mediamente dal 21,1 al 21,4%.
Resta confermato inoltre che nell'Italia capitalista disoccupazione e mancanza di istruzione sono strettamente collegate alla povertà, dato che oltre il 20% delle famiglie nelle quali un componente è in cerca di lavoro risulta povero, percentuale che sale al 37,7% se senza lavoro sono due o più familiari. Mentre se il capofamiglia non ha alcun titolo di studio o al massimo solo la licenza elementare la sua famiglia ha il 17,8% di probabilità di cadere nella povertà, contro il 3,7% di quelle con capofamiglia diplomato.
E tutto questo, naturalmente, prendendo per buona l'ipotesi che le due soglie di povertà, assoluta e "relativa", siano determinate con criteri adeguati a una fotografia reale della povertà nel nostro Paese. Cosa su cui altri milioni di famiglie, che l'Istat non considera povere, ma che devono ugualmente lottare tutti i giorni per far fronte all'incessante aumento dei prezzi con redditi sempre più bloccati e svalutati, non sarebbero al pari di noi assolutamente d'accordo.