Il decreto attuativo della controriforma sul "mercato del lavoro''
LA PRECARIETA' E LA FLESSIBILITA' ISTITUZIONALIZZATE PER LEGGE
Un grosso regalo ai padroni
LOTTIAMO PER L'ABROGAZIONE DI QUESTA ODIOSA LEGGE ANTIOPERAIA E ANTISINDACALE

Complici i vertici sindacali collaborazionisti di Cisl e Uil e la debole e inconsistente opposizione parlamentare dei partiti del "centro-sinistra'' e del PRC, il governo del neoduce Berlusconi ce l'ha fatta a varare in modo definitivo la controriforma sul "mercato del lavoro'' mutuata dal famigerato "libro bianco'' di Maroni e dal "patto per l'Italia'' siglato nel febbraio scorso dai rappresentanti di Palazzo Chigi, dai vertici della Confindustria e delle altre associazioni padronali e da Pezzotta e Angeletti. Infatti, il Consiglio dei ministri il 31 luglio ha approvato in via definitiva il decreto attuativo delle legge delega sul lavoro votata in parlamento il 5 febbraio 2003. Si tratta della legge 30/2003 che su "Il Bolscevico'' abbiamo criticato più volte duramente e con asprezza lungo tutto il suo iter per le conseguenze devastanti che essa provoca per le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari, sui diritti dei lavoratori, sul potere di contrattazione del sindacato.
Il colmo è che il decreto attuativo, composto da ben 86 articoli, è persino peggiore, in alcune sue parti, della originaria legge delega. Per esempio riguardo all'inserimento lavorativo dei disabili. Come a dire che il governo ha tirato a diritto per la sua strada, se n'è altamente fregato delle misere proposte di modifica avanzate dall'"opposizione'' e men che mai ha accolto la richiesta di chiarimenti e di contrattazione dei sindacati confederali. Viceversa ha mostrato particolare sensibilità e cortesia verso le esose pretese confindustriali.

I CAPISALDI DELLA CONTRORIFORMA
La filosofia antioperaia e antisindacale che regge questa controriforma, così come i suoi contenuti concreti sono chiarissimamente iperliberisti, da capitalismo selvaggio, più esattamente da seconda repubblica neofascista, presidenzialista e federalista oggi imperante nel nostro Paese. Privatizzazione totale del collocamento, flessibilità e precariato fino agli estremi ne sono i capisaldi fondanti. Quando il neoduce afferma che il suo governo ha attuato una "rivoluzione'' in materia di "mercato del lavoro'' rendendolo "tra i più flessibili d'Europa'', quando il ministro del welfare, il leghista Maroni giudica la legge "un cambiamento epocale'' dicono il vero. Ma nascondono che le finalità sono tutte a vantaggio dei padroni e a svantaggio dei lavoratori.
I governi di "centro-sinistra'' sciaguratamente avevano aperto delle brecce pericolose sulla strada della liberalizzazione e privatizzazione del "mercato del lavoro''. Attraverso il "pacchetto Treu'' votato anche dal PRC, avevano inserito il lavoro in affitto, le agenzie interinali e favorito la nascita e l'espansione dei lavoratori atipici, meglio conosciuti come lavoratori parasubordinati o come collaboratori coordinati continuativi (co.co.co.) e altro ancora. Maroni e Berlusconi hanno portato fino in fondo e in modo strutturale questo processo di deregolamentazione, stravolgendo totalmente i rapporti di lavoro sulla base degli interessi e delle esigenze dei capitalisti, tante e tali sono le opportunità che la legge offre loro. Taluni economisti ed esperti giuridici sul lavoro hanno paragonato il "mercato del lavoro'' così riformato come un supermarket dove i padroni possono recarsi a piacimento per comprare la "forza lavoro'' come una qualsiasi merce, per il tempo che gli necessita e al prezzo loro conveniente.
Altro che nuove opportunità per favorire l'ingresso lavorativo dei giovani, delle donne e per disoccupati di lunga data! Altro che strada maestra per aumentare i livelli occupazionali italiani fino al 70% per equipararli alla media europea, come vanno propagandando i megafoni governativi. è sufficiente un esame sommario dei provvedimenti per comprendere come il governo, con un colpo solo abbia cancellato fondamentali tutele legislative e contrattuali, fatto a pezzi diritti individuali e collettivi di carattere normativo e sindacale dei lavoratori. Via a tutti i divieti che, in qualche maniera, impedivano forme di caporalato e di contratti di lavoro precari e supersfruttati. Abolita la legge 1369/60 che vietava l'intermediazione privata della manodopera, cancellato l'art. 2112 del c.c. che sanzionava le finte cessioni di ramo d'azienda per aggirare il fisco e ridurre il "costo del lavoro''.
La controriforma berlusconiana, da un lato liberalizza, come si è detto, il "mercato del lavoro'' nel senso, che offre alle aziende innumerevoli possibilità di attingere "forza lavoro'' con un'ampissima gamma di flessibilità e senza particolari obblighi, dall'altro istituzionalizza per legge la precarietà già esistente in Italia in quantità enormi. Secondo lo studio dell'Ispel-Eurispes gli atipici nel nostro Paese sarebbero ormai più di sei milioni, cioè il 27,7% del totale degli occupati. Di fatto l'assunzione a tempo pieno e indeterminato diventa secondaria e accessoria; mentre quella precaria e a tempo determinato la principale e maggioritaria.
Gli strumenti principali che la controriforma adotta per raggiungere questo (infame) obiettivo sono la cancellazione del collocamento pubblico e la consegna pressoché totale del "mercato del lavoro'' a soggetti privati. L'ampliamento e l'aggiornamento di contratti di lavoro precari già esistenti e l'introduzione di nuove e più aberranti forme di flessibilità. Saranno soprattutto le attuali agenzie per il lavoro interinale che d'ora in poi potranno gestire a scopo di lucro e in modo clientelare servizi di intermediazione, di ricollocazione e anche di appalto della "forza lavoro''. Con un potere discrezionale enorme anche di tipo politico, oltreché professionale e con licenza di indagare sulla vita privata del lavoratore in tutti quei casi che "incidono'' sulle modalità dell'attività lavorativa. In pratica è il vecchio caporalato che si modernizza e si industrializza con forza di legge per realizzare profitti sulla domanda e l'offerta di lavoro.

LE FORME PIU' ODIOSE
Tra queste nuove forme di precariato supersfruttato particolarmente odiose sono: la somministrazione di manodopera in affitto a tempo indeterminato (Staff leasing), che va ben oltre la precedente orrenda normativa sul lavoro interinale, cosicché le imprese potranno affittare senza limiti di tempo interi gruppi di lavoratori per lo svolgimento di una serie di attività; il lavoro intermittente a chiamata (Job on call) che permette alle aziende di assicurarsi la disponibilità di un lavoratore dipendente a tempo indeterminato o a tempo determinato, utilizzandone l'attività solo durante periodi specifici e in base alle loro esigenze; il lavoro ripartito (Job sharing) che costringe due o più dipendenti a dividersi lo stesso unico posto di lavoro con l'obbligo di garantire sempre la presenza sostituendosi a vicenda in caso di assenza (malattia, congedi, gravidanza, ecc.); il lavoro occasionale pagato col sistema dei vocher (pari a 7,5 euro l'uno) comprensivo di retribuzione e contributi previdenziali. Potranno lavorare al massimo un mese all'anno. E gli altri 11?
Il governo bara quando afferma di aver superato in positivo i problemi dei collaboratori coordinati continuativi (oltre 2 milioni attualmente) con l'introduzione del lavoro a progetto. Intanto perché per i contratti attualmente vigenti possono andare avanti ancora almeno un anno senza cambiare nulla. Inoltre perché la normativa offre alle aziende tante possibilità per continuare ad utilizzare questa forma di lavoro parasubordinato, solo formalmente autonomo, che libera l'azienda dagli obblighi contrattuali e previdenziali. L'espediente della certificazione di questo rapporto di lavoro e del relativo programma, presso gli Enti bilaterali, composti dalle organizzazioni sindacali e da quelle padronali, non è di nessuna garanzia per i co.co.co. che pur di lavorare firmerebbero qualsiasi cosa; nel contempo privandosi, rispetto al passato, della possibilità di aprire vertenze per rivendicare i loro diritti. è vero, in caso di malattia, infortuni e gravidanza il contratto non sarà annullato, ma non vi sarà copertura economica e non vi sarà nessuna proroga del contratto stesso, a parte la gravidanza.
Sui nuovi Enti bilaterali di prossima formazione meriterebbe fare un discorso a parte per metterne a fuoco nel dettaglio natura, scopi e compiti. Qui possiamo accennare che il governo, il padronato e Cisl e Uil (la Cgil è contraria) hanno modificato sostanzialmente i vecchi enti bilaterali già esistenti, per esempio nella categoria degli edili per gestire la Cassa edile, per farne un istituto cogestionario che stravolge la natura del sindacato di rappresentante dei lavoratori, assegnando ad esso compiti assolutamente impropri, quali la certificazione di particolari rapporti di lavoro e funzioni conciliatorie di conflitti di lavoro.
E per l'occupazione femminile e giovanile? Il governo non trova di meglio che peggiorare notevolmente la normativa del part-time (utilizzato in maggioranza, come è noto, dalle donne), di quella dell'apprendistato e introdurre un contratto di inserimento anch'esso precario e sottopagato. Sul part-time la legge opera una completa manomissione per renderlo aderente alle esigenze produttive del padrone. Al quale dà il potere di imporre ai lavoratori interessati del lavoro supplementare che non possono rifiutare se vogliono evitare provvedimenti disciplinari e alla fine il licenziamento. In altri casi potranno pretendere lavoro straordinario.
L'Istituto dell'apprendistato viene dilatato e articolato in tre tipi. Il primo legato alla formazione scolastica e alla controriforma dell'istruzione della Moratti. Il secondo è finalizzato a conseguire una qualche formazione professionale che può durare addirittura sei anni per giovani tra i 18 e i 29 anni. In pratica lavorano e "imparano'' il mestiere inseriti in categorie più basse di due livelli rispetto a quanto prevede il contratto. Il terzo sarebbe legato a conseguire, con modalità da chiarire, un diploma di scuola superiore. Vedremo se e quanto le aziende saranno interessate e si renderanno disponibili a favorire quest'ultimo modello di apprendistato.
Il contratto di inserimento prende il posto (nel settore privato) del vecchio contratto di formazione-lavoro. Sulla carta interessa i giovani, i disoccupati di lunga durata (da 29 a 32 anni) e i cinquantenni che sono stati licenziati. Si tratta di un lavoro a tempo determinato e retribuito con una paga inferiore a quella spettante contrattualmente. Non è immediatamente utilizzabile in quanto deve essere completato da un accordo di applicazione tra datori di lavoro e sindacati.
Infine, non va sottaciuta la pericolosità della norma che elimina i vincoli per le cessioni di ramo di azienda e la esternalizzazione (outsourcing) di produzioni con lavoratori annessi. Spesso si tratta di finte cessioni senza una reale autonomia funzionale. In questo modo potrebbero nascere, persino nello stesso perimetro aziendale, tante piccole imprese fittizie sotto i 15 dipendenti senza la copertura dei diritti sindacali sanciti nello "Statuto dei lavoratori'', ivi compresa la tutela contro i licenziamenti facili.
Secondo le intenzioni del governo parti della legge sul "mercato del lavoro'' saranno oggetto di negoziazione tra le "parti sociali'', per individuare modalità di applicazione, da recepire poi nei contratti nazionali di lavoro. Questo è l'unico spazio "negoziale'' concesso ai sindacati. Uno spazio di stampo neocorporativo, subordinato e vincolato alle decisioni prese da Maroni e Berlusconi. Da sindacato istituzionalizzato, di regime.

L'OPPOSIZIONE DA FARE
Possono i lavoratori, i giovani, le donne, i disoccupati le masse popolari delle zone dove più c'è fame di lavoro accettare questa controriforma che fa a pezzi il diritto a un lavoro stabile e a salario pieno e li condanna alla precarietà, al supersfruttamento, alla mancanza di tutele sindacali e previdenziali, all'incertezza sul loro futuro? No, non possono! Allora occorre sviluppare un movimento di contestazione e di lotta nelle fabbriche, nelle scuole, con il contributo e la partecipazione dei comitati dei disoccupati per il lavoro. Occorre fare pressione verso i sindacati, in particolare la Cgil, la sola delle confederazioni che abbia espresso un giudizio critico e di condanna, affinché tempestivamente organizzi un programma di informazione e di mobilitazione. Ma anche i sindacati non confederali (Cobas, Rdb, Slaicobas, ecc.) possono dare un contributo importante.
Dato che in parlamento la partita si è chiusa a favore della maggioranza governativa la parola passa alla piazza. Si deve seguire l'esempio delle grandi lotte condotte nel 2002 in difesa dell'art.18. L'obiettivo deve essere quello di battersi per l'abrogazione di questa controriforma, non escludendo lo sciopero generale e nemmeno la promozione di una consultazione referendaria. Intanto si deve impedire che in tutto o in parte la legge sia recepita nei contratti nazionali di lavoro in fase di rinnovo.