Contestati i miseri stanziamenti di Amato nella Finanziaria
INFURIA LA LOTTA PER I CONTRATTI SCUOLA E PUBBLICO IMPIEGO I LAVORATORI VOGLIONO "STIPENDI EUROPEI''
Con lo sciopero generale dei lavoratori della scuola del 9 ottobre scorso, indetto dai confederali e dallo Snals, e la relativa grande manifestazione dei 100 mila insegnanti svoltasi a Roma, con gli scioperi nazionali per il pubblico impiego, il primo organizzato dalle Rdb venerdì 13 ottobre e il secondo promosso dai Cobas, dagli Unicobas e dalla Gilda il 16 ottobre con manifestazioni a Roma, Milano, Napoli, Cagliari e Palermo, la lotta per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro di oltre 5,5 milioni di dipendenti ha subìto di fatto un forte impulso e promette ulteriori importanti sviluppi.
Questo perché accanto alle categorie del pubblico impiego, che conta circa 3 milioni e mezzo di addetti, ci sono altri settori ai quali da tempo è scaduto il contratto oppure scadrà a breve, come: i ferrotranvieri (113 mila); i metalmeccanici (un milione e mezzo); gli elettrici (110 mila); i dipendenti delle imprese artigiane (400 mila); imprese delle pulizie (450 mila); gli addetti alla vigilanza privata (35 mila) e altri. Per non dire del rinnovo del contratto integrativo aziendale alla Fiat ormai sul filo di partenza. Tra le diverse esigenze poste all'attenzione dai lavoratori in questa tornata contrattuale ce n'è una che svetta su tutte, quella di un forte recupero salariale. Le ragioni sono evidenti, ineludibili e non più rinviabili: l'inflazione reale è salita e continua a salire di più di quella programmata e la "politica dei redditti'' stabilita nel famigerato accordo del 23 luglio '93 non ha affatto permesso la difesa del potere d'acquisto dei salari; è aumentata la produttività, sono aumentati i profitti, è aumentata la pressione fiscale, il bilancio statale è stato risanato mentre le retribuzioni dei lavoratori sono arretrate di diversi punti percentuali.

IL CONTRATTO DEL PUBBLICO IMPIEGO E' SCADUTO DA 10 MESI

Come è noto i contratti del pubblico impiego in vigore hanno durata quadriennale (1998-2001) per quanto riguarda la parte normativa, mentre la parte economica è articolata in due bienni (1998-1999 e 2000-2001). Sono dunque quasi 10 mesi, esattamente dal 31 dicembre 1999, che i dipendenti pubblici attendono il rinnovo del secondo biennio del contratto. I primi incontri tra le Confederazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil e l'Aran (l'agenzia per la contrattazione del pubblico impiego) sono iniziati con grave ritardo nel marzo scorso. Ma la trattativa è entrata nel vivo solo alla fine di agosto, cioè quando il governo ha messo mano alla elaborazione della legge finanziaria. Non a caso all'incontro del 30 agosto erano presenti Amato, Visco e Bassanini rispettivamente presidente del Consiglio, ministro del Tesoro e ministro della Funzione pubblica. Al centro della trattativa: la modifica dei tassi d'inflazione programmata per avvicinarli di più a quelli reali e il conseguente aumento degli stanziamenti per adeguare gli stipendi dei pubblici dipendenti al costo della vita.
Con l'inizio del nuovo anno scolastico, com'era prevedibile, ha ripreso vigore la vertenza degli insegnanti rimasta aperta dopo che questi avevano clamorosamente bocciato l'infame proposta dell'ex ministro diessino della Pubblica istruzione Berlinguer, passata alla storia come il "concorsaccio'' per distribuire i 1.260 miliardi disponibili secondo evanescenti e discriminatori metodi "meritocratici''.
Certo, Amato ha dovuto allargare un po' la borsa e fare qualche concessione per tamponare la protesta e soprattutto pensando alle elezioni politiche in programma nella prossima primavera. Nella riunione di fine agosto aveva ridefinito i tassi d'inflazione per il 2000 e 2001 portandoli da 1,2% e 1,1% a 2.3% e 1,7%, lasciandoli però sempre ben al di sotto dell'inflazione reale visto che a fine di quest'anno si attesterà almeno sul 2,6% e per il prossino sarà ancora peggio considerando i rincari già previsti per le tariffe di acqua, luce, gas, trasporti, ecc. Inoltre aveva deciso uno stanziamento aggiuntivo di 350 miliardi di lire per il 2000 e di 1.400 miliardi di lire per il 2001.

LE CONCESSIONI DEL GOVERNO SONO DISTANTI DALLE RICHIESTE DEI LAVORATORI

Amato e i suoi ministri della Scuola e della Funzione pubblica, nell'ambito della definizione della legge finanziaria, una finanziaria di stampo elettoralistico, avevano ulteriormente ritoccato queste cifre per "la spesa relativa ai rinnovi contrattuali del personale dipendente del comparto ministeri, delle aziende e amministrazioni a ordinamento autonomo e della scuola'' (art.52) pensando così di chiudere la partita. Ma si illudono perché la distanza con le richieste dei lavoratori rimane enorme.
Vediamole queste cifre: sia per il 2001 che per il 2002 sono previsti 3.047 miliardi che divisi tra tutto il pubblico impiego (3,5 milioni di lavoratori) fanno 37 mila lire mensili nette in busta paga. Per la Scuola il governo ha stanziato altri 900 miliardi di lire. Di questi, 200 sono per i 10 mila dirigenti che si portano via un aumento di 20 milioni l'anno a testa. Altri 650 miliardi di lire sono da suddividere tra i 750 mila docenti per un totale di appena 36 mila lire mensili nette per ognuno. I rimanenti 50 miliardi sono per la retribuzione accessoria del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata) trasferito dagli enti locali allo Stato. Ci sono poi i famosi 1.260 miliardi del "concorsaccio'' che se dati in parti uguali comporterebbero un aumento di 71 mila lire nette. Se si sommano questi tre aumenti (37.000+36.000+71.000), per gli insegnanti si raggiunge un incremento netto di 144 mila lire, ossia le 265 mila lire lorde sbandierate sui giornali dal ministro De Mauro.
E mentre i sindacalisti di regime polemizzano su come applicare questi aumenti (la Cgil li vorrebbe tutti legati al "merito'', la Uil e la Cisl una parte in paga base e un'altra legati alla "valutazione professionale''), i lavoratori scioperano e continuano a rivendicare "stipendi europei'', e cioè aumenti assai più sostanziosi, pari a 500 mila lire mensili uguali per tutti, docenti e non docenti. E hanno tutte le ragioni per rivendicarli. Infatti, stando agli stessi dati di fonte governativa i salari dal '93 ad oggi hanno perso qualcosa come il 10% rispetto all'inflazione reale, il 5% rispetto al pil (prodotto interno lordo) e hanno subìto un 4% in più di pressione fiscale. A ciò si aggiunga che gli stipendi degli insegnanti italiani sono da sempre tra gli ultimi a livello europeo sia per quantità che per "progressione di carriera''.

PRIVATIZZAZIONE E PRECARIATO

Il problema non riguarda solo gli stipendi che, come si è visto hanno perso terreno in tutti i sensi, ma la condizione di lavoro che in questo ultimo decennio è peggiorata pesantemente in tutto il pubblico impiego. In particolare da quando è stato privatizzato il rapporto di lavoro con la legge n.29/93 a cui hanno fatto seguito una serie innumerevole di controriforme che hanno ridotto le scuole, le università, le Usl, gli uffici pubblici alla stregua di aziende private. Di conseguenza sono state introdotte le flessibilità e i lavori precari, il part-time (legge 662/96), i contratti formazione-lavoro, persino il lavoro interinale (d.lgs n.80/98), per non parlare dei lavori socialmente utili (Lsu) e di quelli di pubblica utilita (Lpu) impiegati nelle amministrazioni a salari di fame e senza diritti.
Il governo, la Confindustria, gli stessi sindacati di regime temono che la lotta dei lavoratori della scuola e del pubblico impiego per forti aumenti salariali faccia saltare la gabbia della "politica dei redditi'' e della politica della concertazione, temono che metta in discussione e travolga le controriforme che hanno investito i servizi sociali e le amministrazioni pubbliche, temono che sia di esempio e faccia da battistrada alle altre categorie di lavoratori dei settori privati, metalmeccanici in testa, che si apprestano a mobilitarsi per rinnovare le rispettive vertenze contrattuali, temono infine che la contestazione coinvolga la stessa Finanziaria in discussione in parlamento.
Noi marxisti-leninisti invece lo auspichiamo con forza e per questo appoggiamo i lavoratori in lotta, appoggiamo le loro rivendicazioni salariali, normative, in materia di organizzazione del lavoro, dell'ordinamento professionale e di diritti sindacali, contro il precariato e per l'occupazione.