Al referendum del 7 ottobre
PASSA LA CONTRORIFORMA FEDERALISTA
ORA IL "CENTRO-DESTRA'' E IL "CENTRO-SINISTRA'' POTRANNO LIBERAMENTE FRANTUMARE L'ITALIA

NON HA VOTATO IL 66% DEGLI ELETTORI SI: 64,2%. NO: 35,8%
La controriforma federalista è passata con il voto di appena il 21,1% dell'elettorato. Al referendum confermativo del 7 ottobre ha partecipato infatti solo il 34% degli aventi diritto e di questi solo i due terzi, ossia il 64,2% ha votato sì alla legge che stravolge in senso federalista e liberista il titolo V della seconda parte della Costituzione, quello che regola i rapporti fra lo Stato e le regioni, le province e i comuni, proposta e approvata dal "centro-sinistra'' nel marzo di quest'anno.
Poiché i referendum confermativi, al contrario di quelli abrogativi, non prevedono alcun quorum, l'esito del referendum è valido indipendentemente dalla scarsa partecipazione al voto che comunque è un dato politico significativo.

DELEGITTIMATO IL FEDERALISMO
In totale sono ben 33.200.294 elettori (su quasi 49 milioni e mezzo) che non si sono recati alle urne, hanno votato nullo o bianco. La partecipazione al voto è stata superiore alla media nazionale al Nord (39,6%) e al Centro (37,8%), inferiore al Sud (25,3%) e nelle Isole (24,6%), con uno scarto di oltre 10 punti percentuali.
Si è votato di più in Emilia- Romagna (47,9%), in Trentino- Alto Adige (46,7%) e in Toscana (43%). Molto più bassa l'affluenza in Calabria (appena il 20%), in Sardegna (24,4%), in Campania (24,6%) e in Sicilia (24,4%).
Come il "centro-sinistra'' possa parlare di una partecipazione "significativa'' e "inaspettata'' poiché supera di appena due punti quella registrata nella primavera 2000 sui 7 referendum sociali, è un po' un mistero. Ancor più immotivata appare la tesi che questa partecipazione al voto dimostra "la volontà degli italiani di ripensare i rapporti fra lo Stato e le regioni, le province e i comuni'' ("l'Unità'' del 9.10.01) o addirittura il ritrovato "gusto per la demo-crazia'' ("la Repubblica'' dell'8.10.01).
Il risultato di questo referendum al contrario conferma il crescente distacco dell'elettorato dai partiti del regime neofascista e dalle loro indicazioni di voto. L'astensionismo è diventato ormai una scelta di voto vera e propria, uno strumento che l'elettorato sceglie volta a volta, in base all'oggetto elettorale, alla situazione e alle circostanze politiche, di usare o meno. E non è certamente un caso che l'affluenza più bassa si registri ogni volta nelle province e nelle regioni più povere ed emarginate del Sud, dove la sfiducia nelle istituzioni borghesi e nei suoi partiti è ancora più grande e profonda.
è vero che molta parte dell'elettorato non era nemmeno informato sul contenuto di questo referendum, grazie a una campagna di fatto disertata da tutti i partiti parlamentari, compresa Rifondazione trotzkista che pure si era dichiarata per il No. Ma è anche vero che gran parte dell'elettorato invece di fidarsi fedelmente e ciecamente delle indicazioni di voto dei propri partiti, ha preferito non recarsi alle urne. E questo di fatto equivale a una delegittimazione della legge varata, ma anche del federalismo sostenuto da entrambi i poli. Tanto più che forze di governo o filogovernative come il Biancofiore e i radicali avevano lasciato "libertà di voto'', mentre ben sette presidenti di Regione del "centro-destra'' (fra cui Formigoni, governatore della Lombardia, Ghigo del Piemonte, Biasotti della Liguria) hanno dato addirittura indicazione di votare Sì.

GLI SFORZI DEL PMLI
Resta il rammarico che la stragrande maggioranza degli elettori di sinistra che in questa circostanza hanno scelto di astenersi non ha potuto conoscere l'indicazione del nostro Partito e comprendere che rispetto a questo referendum la scelta più matura e cosciente politicamente era quella di andare a votare ed esprimere un chiaro ed inequivocabile no alla controriforma federalista. Il PMLI ha fatto con generosità, impegno e sacrificio la sua parte per propagandare il No, grazie soprattutto ai suoi infaticabili militanti e simpatizzanti e alcuni amici ai quali va il nostro elogio, la nostra ammirazione e il profondo ringraziamento nostro e dei dirigenti del Partito. Sovente sui tabelloni elettorali, nelle città dove il Partito è presente, vi erano solo i nostri manifesti. Ma certamente sono del tutto inadeguate le attuali forze e mezzi del Partito, al quale come sempre i mass media non hanno concesso alcuno spazio, per far giungere come avremmo voluto alle masse le nostre indicazioni di voto.
è quindi assai significativo che ben 5.819.187 elettori abbiano comunque deciso di votare No. E ancora più significativo e indicativo è che questa legge abbia trovato la maggiore opposizione proprio nelle regioni del Sud che sono quelle che risulteranno le più penalizzate da questa controriforma. Per esempio in Sicilia i No hanno registrato il 40,9% dei voti validi, nonostante che persino il presidente polista della Regione, Antonino Cuffaro, fosse per il Sì, come lo erano i suoi omologhi governatori della Puglia e della Calabria, dove il No ha raggiunto invece rispettivamente il 37,5% e il 36,2% dei voti validi.
Il fatto è che questa legge costituzionale, voluta dal "centro-sinistra'', ma che ricalca sostanzialmente il progetto che era stato approvato all'unanimità dalla Bicamerale golpista di D'Alema, capovolge l'ordinamento dello Stato permettendo da ora in avanti sia al "centro-destra'' che al "centro-sinistra'' di frantumare liberamente l'Italia.
Essa infatti ribalta completamente la piramide istituzionale dando il primato di poteri e competenze ai comuni, alle province e alle regioni e lasciando in coda lo Stato, trasformato in uno Stato federale a tutti gli effetti, al quale rimarrà, per ora, solo la potestà legislativa su: politica estera, difesa, moneta, legge elettorale, ordine pubblico, giustizia, ambiente, norme generali sull'istruzione, previdenza sociale. Mentre su tutte le altre materie spetterà alle Regioni legiferare. Inoltre introduce per la prima volta nella Costituzione il liberista "principio di sussidiarietà'', che lascia allo Stato una competenza residuale nel campo dei servizi, dell'assistenza, della sanità, della scuola, ecc., a tutto vantaggio del mercato privato e l'"autonomia finanziaria di entrata di spesa'', il famigerato "federalismo fiscale'', ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni.
In questo modo lo Stato unitario nazionale viene distrutto. Ogni regione-Stato penserà a se stessa e ne faranno le spese le più deboli e povere, specie quelle del Sud. Tutto sarà subordinato al mercato e agli interessi economici delle borghesie regionali. Regnerà la legge della giungla all'interno di ciascuna regione e tra una regione e l'altra.

STRADA SPIANATA AL FEDERALISMO DEL "CENTRO-DESTRA''
Questa legge non è né in contraddizione né pone alcun freno al federalismo del "centro-destra'', anzi gli spiana la strada. Tant'è vero che il governo del neoduce Berlusconi ha già annunciato che entro una decina di giorni sarà varato il disegno di legge sulla "devolution'', un progetto che porta ancora più in là la controriforma federalista della Costituzione prevedendo il trasferimento alle Regioni di pieni ed esclusivi poteri in materia di sanità, istruzione e formazione, sicurezza e altro e che potrebbe introdurre formalmente anche il presidenzialismo a livello del governo centrale.
La seconda repubblica presidenzialista e federalista sarà così completata anche sul piano formale. Una vera e propria iattura per l'unità del popolo italiano e del Paese, un ritorno al passato, all'Italia divisa in molti Stati prima dell'Unità, un regalo fatto ai capitalisti delle regioni del Nord che hanno bisogno di sganciare il Sud per poter meglio competere con le altri parti d'Europa nel mercato unico europeo e mondiale e di disporre di normative regionali fatte a propria misura che subordino ogni scelta politica, economica, finanziaria e sociale ai propri specifici interessi di mercato e di profitto capitalistici.

10 ottobre 2001